Ok

En poursuivant votre navigation sur ce site, vous acceptez l'utilisation de cookies. Ces derniers assurent le bon fonctionnement de nos services. En savoir plus.

jeudi, 12 janvier 2012

L’Ungheria, punto critico del polo egemone

hongrie royaume.JPG

L’Ungheria, punto critico del polo egemone

di Lorenzo Scala

Fonte: statopotenza

A seguito delle elezioni parlamentari del mese scorso, Russia Unita ha mantenuto la maggioranza dei seggi nella Duma di Stato, riconfermandosi come la maggior forza politica del Paese. Nonostante infatti il sensibilissimo calo dei consensi rispetto al 2007, il partito di Vladimir Putin ha totalizzato una maggioranza di un 49,5 %. Lo svolgimento delle votazioni è stato poi valutato come positivo dagli osservatori della Comunità degli Stati Indipendenti. D’altro canto però, numerosi membri dell’opposizione hanno contestato i risultati , denunciando brogli e pressioni di ogni tipo. Gli esponenti dell’Unione Europea e degli Stati Uniti d’America non si sono lasciati scappare l’occasione e, rispolverando la vecchia demagogia dei “diritti civili” (cara ad una certa subcultura oramai dominante in Occidente, certamente partorita dall’ideologia del consumismo di tipo capitalistico), hanno anch’essi attaccato il premier russo, mettendo in discussione la legittimità del risultato finale ed invitando il popolo alla protesta. Di conseguenza, numerose organizzazioni extraparlamentari sono scese in piazza con l’intento di destabilizzare lo scenario della Federazione Russa. A Mosca abbiamo quindi visto delle sparute folle inneggiare ad un’ambigua e quanto mai poco probabile “rivoluzione bianca”. Partigiani di quest’ultima erano liberali, sedicenti socialisti, ultranazionalisti, monarchici ed esponenti della “sinistra” più radicale ed anarcoide. Insomma, un miscuglio composto da schieramenti politici ed ideologici totalmente differenti, ma tutti raccolti, per quest’occasione, sotto la grande bandiera dell’anti-putinismo. Anche il Partito Comunista della Federazione Russa ha protestato contro l’oligarchia al governo, ma al contempo si è voluto dissociare dalle mire espansionistiche dell’Occidente sulla Russia, mettendo in guardia i suoi militanti dal cadere in certe “trappole”. D’altro canto, il Cremlino non ha voluto sentire ragioni: “gli Stati Uniti non vogliono alleati, ma vassalli”. Un altro tentativo di “rivoluzione colorata”, ben più ampio e propagandato, l’abbiamo potuto vedere ultimamente anche in Ungheria. E’ innegabile come la tensione fra l’asse Washington-Bruxelles e la linea neo-conservatrice del primo ministro ungherese, Viktor Orbàn, stia raggiungendo livelli che, fino a qualche mese fa, sarebbero stati inimmaginabili. L’Unione Europea si dice preoccupata per la “svolta autoritaria” di Budapest, le cui posizioni potrebbero portare alla nascita di una “nuova” Bielorussia, altre bestia nera europea della casta politica occidentale. Hilary Clinton ha personalmente indirizzato ad Orban una lettera, nella quale si dice perplessa ed indignata per i recenti cambiamenti in seno alla vita politica ed economica della Repubblica d’Ungheria. Di concerto, le nostre testate giornalistiche non hanno esitato a denunciare le misure anti-democratiche in atto nel Paese ex-comunista. Cosa potrebbe mai spingere la Casa Bianca ed il suo braccio mediatico a criticare l’amministrazione dell’Ungheria, nazione membra dell’Unione Europea e della NATO? Per capirlo è necessario andare per ordine ed analizzare i “crimini” di Viktor Orbàn, ex-dissidente del regime comunista di Budapest. Quest’ultimo è un esponente del partito populista e democristiano Fidesz che, alleatosi col Partito Popolare Cristiano (KDNP) , ha ottenuto una maggioranza di 52,73% nelle elezioni parlamentari del 2010. In questo modo ha conquistato i due terzi dei seggi del parlamento, quorum sufficiente per modificare la carta costituzionale, rimasta ancora invariata dal 1989. Nonostante questo però, il viscerale anticomunismo dei governi “neodemocratici” sorti dalle macerie della Repubblica Popolare d’Ungheria l’hanno ampliamente delegittimata nel tempo. Nell’Aprile del 2011, il parlamento ungherese ha approvato una nuova Costituzione, con 262 voti a favore e 44 contro. A votare contro sono stati gli esponenti del partito di estrema destra Jobbik, mentre si sono astenuti 79 deputati fra “socialisti” e liberali. L’opposizione si è anche rifiutata per partito preso di partecipare a qualsiasi discussione sul nuovo provvedimento, esigendo peraltro l’aumento della maggioranza richiesta per la sua attuazione (da due terzi a quattro quinti). La maggioranza ha comunque trovato il modo di coinvolgere l’opinione pubblica e gli elettori, inviando a questi ultimi un questionario di dodici domande, che comprendevano varie proposte per la nuova Costituzione. Le stime ufficiali sostengono che almeno 920.000 persone – il 10% dell’elettorato – abbiano compilato il documento. Il governo ha esaminato le risposte date, apportando diverse modifiche al progetto. In questo modo sono aumentati i diritti dei cittadini ungheresi all’estero e si è eliminato il diritto di voto plurimo per le madri con più di una gravidanza sulle spalle. La stesura definitiva della Costituzione, firmata dal Presidente della Repubblica Pal Schmitt il 25 aprile, presenta i principi morali e politici propri al Fidesz, fra i quali si nota subito l’oltranzismo religioso. All’inizio del documento si può infatti leggere “Riconosciamo il ruolo del cristianesimo nella preservazione della nazione. Rispettiamo le tradizioni religiose diverse presenti nel nostro paese”. Si fa riferimento ai valori del matrimonio, della famiglia, della maternità, dell’impegno sociale e scolastico ed affini. La svolta cattolica dell’Ungheria, nonostante già da sola rappresenti un affronto relativamente grande al fenomeno dell’omologazione culturale europea all’insegna del “sogno americano”, viene integrata da un inedito spirito nazionalistico. Probabilmente è proprio da qui che nasce l’opposizione occidentale ad Orbàn, reo di aver nazionalizzato le principali aziende strategiche, di aver aumentato il controllo statale sulla Banca Centrale d’Ungheria e di aver posto dei limiti alla stampa, in maniera tale che essa non interferisca con le riforme in atto. La Banca Centrale Europea ed il Fondo Monetario Internazionale minacciano di sospendere la cooperazione bilaterale con Budapest, cosa che andrebbe a danneggiare ancora di più la già difficile situazione economica ungherese. Ad ogni modo, molte delle forze cosmopolite ungheresi, ansiose di regalare al loro Paese un futuro simile a quello di Ucraina e Georgia, hanno risposto agli appelli delle potenze estere. Si è quindi formato ufficialmente il movimento degli “indignati” magiari, composto, oltre che dai membri dell’opposizione al parlamento, da organizzazioni quali la Federazione Ungherese delle lesbiche, degli omosessuali, dei bisessuali e transessuali, l’Unione delle lesbiche e via discorrendo. Tuttavia la sigla che salta più all’occhio è Szolidaritàs, comitato a salvaguardia dei “diritti umani” e della “democrazia”, spaventosamente simile, sia nella denominazione che nella grafia utilizzata, al suo ben più noto omologo polacco degli anni Ottanta. Ridicola appare invece la partecipazione alle manifestazioni dei “Civili contro l’estrema destra”, dato che il Fidesz non ha alcuna nostalgia per l’epoca “fascista” ungherese; tutt’al più lo si potrebbe paragonare al nostro Popolo delle Libertà, mantenendo ovviamente le dovute differenze. L’unico partito di destra radicale è il già citato Jobbik, peraltro avverso ad Orbàn e alla nuova Costituzione. Vedere levate di scudi improvvise contro il governo ungherese che, fino a poco tempo fa era un semplice Paese-costola dell’espansione atlantica verso Est, è sicuramente strano ed anacronistico. Di questo ne ha parlato il Partito dei Lavoratori d’Ungheria (Munkaspart) in una riunione del suo Comitato Centrale. Nonostante si tratti di una fazione politica molto ristretta ed ancora legata a schemi vecchi e stantii, le sue osservazioni circa i recenti accadimenti si fondano su analisi relativamente corrette. All’iniziato del comunicato troviamo questa premessa: “Il Partito Comunista dei Lavoratori Ungherese è del parere che il vero cambiamento storico non ha avuto luogo nel 2010 (anno della nuova Costituzione, nda), ma nel 1989-1990, quando fu distrutto il socialismo in Ungheria. E’ stata una controrivoluzione capitalista. Il potere della classe operaia è stato sostituito dal potere delle forze capitalistiche. Le industrie e le banche di proprietà statale, e le aziende agricole collettive furono privatizzate. L’Ungheria ha aderito alla NATO nel 1999 ed è entrata nell’UE nel 2004. Il sistema capitalista basato sull’economia privata e sulla democrazia borghese fu stabilizzato […]Fu il passaggio dal socialismo al capitalismo che portò all’impoverimento generale del popolo ungherese”. I comunisti ungheresi vedono le cause dei disagi del popolo nell’instaurazione dell’economia di libero mercato, nella subordinazione al blocco nord-atlantico e nella consequenziale soppressione delle conquiste derivate dal Socialismo Reale. Nella disputa fra Orbàn ed i “manifestanti” non vedono una contrapposizione fra una potenziale “neo-dittatura” ed una declinante “democrazia”, ma fra le due facce di una già vecchia e logora medaglia. Infatti: “Da un lato c’è il Fidesz […] che esprime gli interessi dei conservatori, la parte dalla mentalità nazionale della classe capitalista […]D’altra parte ci sono il Partito Socialista Ungherese e il Partito de “La politica può essere diversa“, che rappresentano la parte liberale e socialdemocratica della classe capitalista. Sono più vicini agli Stati Uniti e ad Israele”. Il passo dello scritto più importante e significativo è quello che segue, poiché rinuncia per un attimo a riflessioni “di classe” (che in questo contesto possono sicuramente rientrare, ma fino a un certo punto) a favore di un calcolo un po’ più geopolitico: “Gli Stati Uniti d’America hanno apertamente interferito negli affari interni di Ungheria. L’ambasciatore statunitense a Budapest critica apertamente il governo ufficiale e sostiene la posizione delle forze liberal-socialiste”. Secondo il parere di chi scrive però, manca una risoluzione chiara e decisa. L’Ungheria dovrebbe essere, almeno sulla carta, indipendente e sovrana. In caso di ulteriori pressioni estere contro Viktor Orbàn e di eventuali sanzioni economiche, il Partito Comunista dei Lavoratori d’Ungheria non dovrà esitare nel fare causa comune col proprio governo, eletto, secondo le regole “democratiche”, a suffragio universale. E’ poi innegabile come, nonostante tutte le palesi contraddizioni interne del caso, i recenti cambiamenti in seno all’amministrazione di Budapest rappresentino certamente un passo avanti, in quanto sintomo di una disperata necessità di maggior autonomia e di un recupero della propria sovranità nazionale.


Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it

Débat sur le post-nationalisme

Débat sur le post-nationalisme

par Georges FELTIN-TRACOL

 

À l’origine, en parallèle au trimestriel ID Magazine, les Identitaires voulaient se doter d’opuscules à périodicité irrégulière destinés à mieux former cadres et militants : les Cahiers Identitaires. L’arrêt d’ID Magazine, dirigé par Pierre Chatov, et la transformation du Bloc identitaire en une formation politique effective ont fait avorter ce projet. Il n’en demeurait pas moins la volonté de participer par ces temps troublés aux discussions sur la question européenne. Ainsi est parue en décembre 2011 la brochure Orientations identitaires qui, malgré la présence d’un numéro 1 sur la couverture, ne devrait pas connaître de suite.

 

Avant de détailler le dossier central, regardons un peu sa partie « Chroniques ». Outre un éloge bienvenu de la frontière sous la signature de Zentropa, on y découvre une analyse rapide et chaleureuse du romancier « mécontemporain et enchanteur » Olivier Maulin. Deux articles dénoncent les méfaits en France et dans l’« école de la République » du racisme anti-blanc, ce seul racisme dénié par les autorités. On lit enfin une sévère et vigoureuse dénonciation de la lubie encore en vogue chez les ecclésiastiques catholiques du « dialogue interreligieux » avec l’islam. L’auteur de cette philippique condamne l’incroyable soumission de la hiérarchie catholique envers les mahométans. Rongée par le modernisme et le progressisme, l’Église de France ne tient plus depuis longtemps son rang !

 

La partie centrale reste cependant un dossier de six entretiens. Pour son maître d’œuvre, Xavier Eman, « l’aboulie suicidaire des peuples d’Europe et leur progressif remplacement par les populations déracinées du tiers-monde, les menaces écologiques, la folie matérialiste et spéculative du capitalisme financier composent une situation dramatiquement inédite dans notre histoire ». Outre deux membres du Bureau exécutif du Bloc identitaire, Philippe Millau et Jacques Cordonnier, par ailleurs responsable du mouvement régionaliste Alsace d’abord, sont interrogés Frédéric Pichon, le journaliste du Choc du Mois Pierre-Paul Bartoli et deux amis d’Europe Maxima, Arnaud Guyot-Jeannin et Pierre Le Vigan dont l’entretien sera mis en ligne la semaine prochaine et qui ne sera donc pas commenté ici.

 

Le concept de « post-nationalisme » est-il viable ? Difficilement ! Déjà que le nationalisme « est un terme diffus », estime Philippe Millau. Arnaud Guyot-Jeannin rappelle, pour sa part, que « le nationalisme est une idéologie moderne »; c’est un individualisme de masse « ontologiquement centralisateur ». Il est bien de déblayer le terrain des idées et d’écarter sans hésitation des notions porteuses de la mort de millions d’Européens. C’est la raison pour laquelle Philippe Millau soutient que « le terme d’identitaire, lui, évite les funestes “ ismes ”, et définit une conception actuelle, dynamique et ouverte à la fois ».

 

Ouvertement régionaliste, Jacques Cordonnier insiste sur le fait que « les régionalistes ne sont ni séparatistes ni indépendantistes ». Favorable à la fusion en une seule collectivité territoriale des conseils généraux du Haut- et Bas-Rhin et du conseil régional alsacien, il juge que l’État central parisien et la partitocratie U.M.P.S. nuisent gravement à l’identité substantielle de l’Alsace. Le centralisme parisien est aussi mis en accusation par Arnaud Guyot-Jeannin. « L’État-nation centralisé et administratif français ne représente plus le cadre approprié à la mise en forme d’une identité collective. […] Il a dépossédé la France de sa diversité régionale, nationale et populaire ». Bref, « la République une et indivisible ne correspond pas à la res publica (chose publique), en uniformisant et réifiant le corps social ». Pour Frédéric Pichon, « la nation, qui ne se réduit pas à l’État, reste un point de jonction entre le particulier et l’universel, entre les régions et l’Europe », mais l’Europe est-elle l’universel ou, si elle ne l’est pas, est-elle une généralité plus étendue que les autres ? En affirmant que « l’identité est un concept dynamique et non statique », Frédéric Pichon rejoint sur ce point Philippe Millau.

 

Le sujet témoigne d’une divergence flagrante entre cinq des intervenants et le sixième, Pierre-Paul Bartoli, qu’on range parmi les souverainistes sans qu’il se reconnaisse lui-même dans cette expression galvaudée. Selon lui, « le propre du génie de l’Europe réside dans la pluralité des nations en quoi elle s’incarne ». Il assène même que l’esprit européen a seulement inventé l’État-nation et la grande musique orchestrale, lyrique et symphonique !

 

Si tous s’accordent sur la médiocrité profonde de l’actuelle Union européenne, les condamnations demeurent personnelles. Ainsi, Bartoli vomit « l’Union européenne de Bruxelles, les gnomes qui la dirigent et les hommes politiques qui la servent, mais [il] n’éprouve aucune nostalgie adolescente envers une mythique unité carolingienne [sic !] disparue qu’il faudrait à tout prix ressusciter ». Au contraire, Millau considère que « l’Europe des Six (le noyau carolingien : France, Allemagne, Italie, Bénélux) était plus forte, plus indépendante, et plus respectueuse des nations que l’Europe marchande et diluée d’aujourd’hui ».

 

Soucieux de « sortir […] de cette dialectique stérile contre les partisans d’une Europe mondialiste et technocratique et les souverainistes germanophobes et jacobins », Frédéric Pichon dissocie clairement l’Europe, son Alter Europa, de l’Occident moderne « sécularisé [qui] correspond à l’avènement de l’idéologie des droits de l’homme, de l’économie de marché et de la standardisation des modes de vie ». La distinction s’impose en cette époque floue. L’Europe est un impératif : « nous sommes au XXIe siècle, lance Philippe Millau. La confrontation est à l’échelle des continents. Pour autant un fort attachement à sa nation, s’il n’est pas jaloux et exclusif, reste un grand atout et un important point de repère. En particulier en France, du fait de sa longue histoire ».

 

L’attachement aux patries charnelles, aux nations et à l’Europe est revendiqué par Arnaud Guyot-Jeannin, ardent défenseur de la subsidiarité et d’un fédéralisme qui « se construit par le bas » – sans nécessité par conséquent de fédérateur hégémonique ! Il prône « une Europe de l’identité et de la puissance reconnaissant les origines du christianisme et en y intégrant le meilleur de l’Antiquité païenne, tout en se dotant d’un statut des minorités ». Ainsi, ce serait « une Europe confédérale basée sur la démocratie subsidiaire et les peuples » alliée avec la Russie.

 

En permettant un débat de toute première importance qui mériterait en cette période de pré-campagne électorale d’être discuté par les candidats (ne rêvons quand même pas !), cette brochure, Orientations identitaires, a le mérite de témoigner du changement de paradigme en cours. « Le nationalisme […] est la loi qui domine l’organisation des peuples modernes », assurait Maurice Barrès dans le Journal en 1897. Aujourd’hui, les peuples post-modernes s’organisent autour des identités et des communautés.

 

Georges Feltin-Tracol

 

Orientations identitaires, n° 1, décembre 2011, « Vers un post-nationalisme ? Entretiens sur la question européenne », 50 p., 5 € (+ 1,5 € pour le port), à commander sur le site <http://orientationsidentitaires.over-blog.com/> ou à l’adresse <orientationsidentitaires@gmail.com>.

 


 

Article printed from Europe Maxima: http://www.europemaxima.com

 

URL to article: http://www.europemaxima.com/?p=2357

 

mercredi, 11 janvier 2012

Former Soviet States: Battleground For Global Domination

forces_russes_en_cei.jpg

Former Soviet States: Battleground For Global Domination

A Europe united under the EU and especially NATO is to be strong enough to contain, isolate and increasingly confront Russia as the central component of U.S. plans for control of Eurasia and the world, but cannot be allowed to conduct an independent foreign policy, particularly in regard to Russia and the Middle East. European NATO allies are to assist Washington in preventing the emergence of "the most dangerous scenario...a grand coalition of China, Russia, and perhaps Iran" such as has been adumbrated since in the Shanghai Cooperation Organization.

 

Four years after the publication of The Grand Chessboard, Brzezinski's recommended chess move was made: The U.S. and NATO invaded Afghanistan and expanded into Central Asia where Russian, Chinese and Iranian interests converge and where the basis for their regional cooperation existed, and Western military bases were established in the former Soviet republics of Kyrgyzstan, Tajikistan and Uzbekistan, where they remain for the indefinite future.

 

As the United States escalates its joint war with NATO in Afghanistan and across the Pakistani border, expands military deployments and exercises throughout Africa under the new AFRICOM, and prepares to dispatch troops to newly acquired bases in Colombia as the spearhead for further penetration of that continent, it is simultaneously targeting Eurasia and the heart of that vast land mass, the countries of the former Soviet Union.

 

Within months of the formal breakup of the Union of Soviet Socialist Republics in December of 2001, leading American policy advisers and government officials went to work devising a strategy to insure that the fragmentation was final and irreversible. And to guarantee that the fifteen new nations emerging from the ruins of the Soviet Union would not be allied in even a loose association such as the Commonwealth of Independent States (CIS) founded in the month of the Soviet Union's dissolution.

 

Three of the former Soviet republics, the Baltic states of Estonia, Latvia and Lithuania, never joined the CIS and in 2004 became full members of the North Atlantic Treaty Organization, in all three cases placing the U.S.-led military bloc on Russian borders.

 

That left eleven other former republics to be weaned from economic, political, infrastructural, transportation and defense sector integration with Russia, integration that was extensively and comprehensively developed for the seventy four years of the USSR's existence and in many cases for centuries before during the Czarist period.

 

A change of its socio-economic system and the splintering of the nation with the world's largest territory only affected U.S. policy toward former Soviet space insofar as it led to Washington and its allies coveting and moving on a vast expanse of Europe and Asia hitherto off limits to it.

 

Two months after the end of the Soviet Union then U.S. Undersecretary of Defense for Policy Paul Wolfowitz and his deputy in the Pentagon, Lewis Libby, authored what became known as the Defense Planning Guidance document for the years 1994–99. Some accounts attribute the authorship to Libby and Zalmay Khalilzad under Wolfowitz's tutelage.

 

Afghan-born Khalilzad is a fellow alumnus of Wolfowitz at the University of Chicago and worked under him in the Ronald Reagan State Department starting in 1984. From 1985-1989 he was the Reagan administration's special adviser on the proxy war against the Soviet Union in Afghanistan and on the Iran-Iraq war. In the first capacity he coordinated the Mujahideen war against the government of Afghanistan waged from Pakistan along with Deputy Director of the Central Intelligence Agency Robert Gates, now U.S. Secretary of Defense. (Gates has a doctorate degree in Russian and Soviet Studies, as does his former colleague the previous U.S. secretary of state Condoleezza Rice.)

 

The main recipient of U.S. arms and training within the Mujahideen coalition during those years was Gulbuddin Hekmatyar, whose still extant armed group Hezb-e-Islami assisted in driving American troops out of Camp Keating in Afghanistan's Nuristan province this October. Hekmatyar remains in Afghanistan heading the Hezb-e-Islami and top U.S. and NATO military commander General Stanley McChrystal in his Commander's Initial Assessment of September - which called for a massive increase in American troops for the war - identified the party as one of three main insurgent forces that as many as 85,000 U.S. and thousands of NATO reinforcements will be required to fight.

 

The Wolfowitz-Libby-Khalilzad Defense Planning Guidance prototype appeared in the New York Times on March 7, 1992 and to demonstrate that the end of the Soviet Union and the imminent fall of the Afghan government (Hekmatyar and his allies would march into Kabul two months later) affected U.S. policy toward Russia not one jot contained these passages:

 

"Our first objective is to prevent the re-emergence of a new rival, either on the territory of the former Soviet Union or elsewhere, that poses a threat on the order of that posed formerly by the Soviet Union. This is a dominant consideration underlying the new regional defense strategy and requires that we endeavor to prevent any hostile power from dominating a region whose resources would, under consolidated control, be sufficient to general global power."

 

"We continue to recognize that collectively the conventional forces of the states formerly comprising the Soviet Union retain the most military potential in all of Eurasia; and we do not dismiss the risks to stability in Europe from a nationalist backlash in Russia or efforts to reincorporate into Russia the newly independent republics of Ukraine, Belarus, and possibly others....We must, however, be mindful that democratic change in Russia is not irreversible, and that despite its current travails, Russia will remain the strongest military power in Eurasia and the only power in the world with the capability of destroying the United States."

 

In its original and revised versions the 46-page Defense Planning Guidance document laid the foundation for what would informally become known as the Wolfowitz Doctrine and later the Bush Doctrine, indistinguishable in any essential manner from the Blair, alternately known as Clinton, Doctrine enunciated in 1999: That the U.S. (with its NATO allies) reserves the unquestioned right to employ military force anywhere in the world at any time for whichever purpose it sees fit and to effect "regime change" overthrows of any governments viewed as being insufficiently subservient to Washington and its regional and global designs.

 

Five years later former Carter administration National Security Adviser Zbigniew Brzezinski, who launched the Afghan Mujahideen support project in 1978 and worked with Khalilzad at Colombia when the latter was Assistant Professor of Political Science at the university's School of International and Public Affairs from 1979 to 1989 and Brzezinski headed the Institute on Communist Affairs, wrote an article called "A Geostrategy for Eurasia."

 

It was in essence a precis of his book of the same year, The Grand Chessboard: American Primacy And It's Geostrategic Imperatives, and was published in Foreign Affairs, the journal of the New York-based Council on Foreign Relations.

 

The framework for the piece is contained in this paragraph:

 

"America's status as the world's premier power is unlikely to be contested by any single challenger for more than a generation. No state is likely to match the United States in the four key dimensions of power - military, economic, technological, and cultural - that confer global political clout. Short of American abdication, the only real alternative to American leadership is international anarchy. President Clinton is correct when he says America has become the world's 'indispensable nation.'"

 

Brzezinski identified the subjugation of Eurasia as Washington's chief global geopolitical objective, with the former Soviet Union as the center of that policy and NATO as the main mechanism to accomplish the strategy.

 

"Europe is America's essential geopolitical bridgehead in Eurasia. America's stake in democratic Europe is enormous. Unlike America's links with Japan, NATO entrenches American political influence and military power on the Eurasian mainland. With the allied European nations still highly dependent on U.S. protection, any expansion of Europe's political scope is automatically an expansion of U.S. influence. Conversely, the United States' ability to project influence and power in Eurasia relies on close transatlantic ties.

 

"A wider Europe and an enlarged NATO will serve the short-term and longer-term interests of U.S. policy. A larger Europe will expand the range of American influence without simultaneously creating a Europe so politically integrated that it could challenge the United States on matters of geopolitical importance, particularly in the Middle East...."

 

The double emigre - first from Poland, then from Canada - advocated a diminished role for nation states, including the U.S., and Washington's collaboration in building a stronger Europe in furtherance of general Western domination of Eurasia, the Middle East, Africa and the world as a whole.

 

"In practical terms, all this will eventually require America's accommodation to a shared leadership in NATO, greater acceptance of France's concerns over a European role in Africa and the Middle East, and continued support for the European Union's eastward expansion even as the EU becomes politically and economically more assertive....A new Europe is still taking shape, and if that Europe is to remain part of the 'Euro-Atlantic' space, the expansion of NATO is essential."

 

While giving lip service to the role of the European Union, he left no doubt as to which organization - the world's only military bloc - is to lead the charge in the conquest of the former Soviet Union as well as the world's "periphery." It is NATO.

 

Already stating in 1997, two years before his native Poland, the Czech Republic and Hungary would become full members of the Alliance, that "Ukraine, provided it has made significant domestic reforms and has become identified as a Central European country, should also be ready for initial negotiations with the EU and NATO," he added:

 

"Failure to widen NATO, now that the commitment has been made, would shatter the concept of an expanding Europe and demoralize the Central Europeans. Worse, it could reignite dormant Russian political aspirations in Central Europe. Moreover, it is far from evident that the Russian political elite shares the European desire for a strong American political and military presence in Europe....If a choice must be made between a larger Europe-Atlantic system and a better relationship with Russia, the former must rank higher."

 

That a former U.S. foreign policy official and citizen of the country would so blithely determine years before the event which nations would join the European Union went without comment on both sides of the Atlantic. That the nominal geographic location of a nation - placing Ukraine in Central Europe - would be assigned by an American was similarly assumed to be Washington's prerogative evidently.

 

Despite vapid maunderings about desiring to free post-Soviet Russia from its "imperial past" and "integrating [it] into a cooperative transcontinental system," Brzezinski presented a blueprint for surrounding the nation with a NATO cordon sanitaire, in truth a wall of military fortifications.

 

"Russia is more likely to make a break with its imperial past if the newly independent post-Soviet states are vital and stable. Their vitality will temper any residual Russian imperial temptations. Political and economic support for the new states must be an integral part of a broader strategy....Ukraine is a critically important component of such a policy, as is support for such strategically pivotal states as Azerbaijan and Uzbekistan."

 

Adding Georgia and Moldova, the three states he singles out became the nucleus of the GUUAM (Georgia, Ukraine, Uzbekistan, Azerbaijan, Moldova) bloc originally created in the same year as Brzezinski's article and book appeared. (Uzbekistan joined in 1999 and left in 2005.)

 

GUAM was promoted by the Bill Clinton and Madeleine Albright administration as a vehicle for planned Trans-Eurasian energy projects and to tear apart the Commonwealth of Independent States by luring members apart from Russia toward the European Union, the so-called soft power preliminary stage, and NATO, the hard power culmination of the process.

 

In the above-quoted article Brzezinski also wrote, in addressing Turkey, that "Regular consultations with Ankara regarding the future of the Caspian Sea basin and Central Asia would foster Turkey's sense of strategic partnership with the United States. America should also support Turkish aspirations to have a pipeline from Baku, Azerbaijan, to Ceyhan on its own Mediterranean coast serve as a major outlet for the Caspian sea basin energy reserves."

 

Eight years later, in 2005, the Baku-Tbilisi-Ceyhan pipeline transporting Caspian Sea oil to Europe came online, followed by the Baku-Tbilisi-Erzurum natural gas pipeline and the Kars-Akhalkalaki-Tbilisi-Baku railway, with the Nabucco natural gas pipeline next to be activated. The last-named is already slated to include, in addition to Caspian supplies, gas from Iraq and North Africa.

 

The book whose foreword Brzezinski's "A Geostrategy for Eurasia" in a way was, The Grand Chessboard: American Primacy And It's Geostrategic Imperatives, laid out in greater detail plans that have been expanded upon in the interim.

 

The volume's preface states, "It is imperative that no Eurasian challenger emerges capable of dominating Eurasia and thus of also challenging America. The formulation of a comprehensive and integrated Eurasian geostrategy is therefore the purpose of this book....Potentially, the most dangerous scenario would be a grand coalition of China, Russia, and perhaps Iran....Averting this contingency, however remote it may be, will require a display of US geostrategic skill on the western, eastern, and southern perimeters of Eurasia simultaneously.”

 

In pursuance of "America's role as the first, only, and last truly global superpower," Brzezinski noted that "the chief geopolitical prize is Eurasia. For half a millennium, world affairs were dominated by Eurasian powers and peoples who fought with one another for regional domination and reached out for global power. Now a non-Eurasian power is preeminent in Eurasia - and America's global primacy is directly dependent on how long and how effectively its preponderance on the Eurasian continent is sustained."

 

The military fist inside the diplomatic glove is and will remain NATO.

 

"The emergence of a truly united Europe - especially if that should occur with constructive American support - will require significant changes in the structure and processes of the NATO alliance, the principal link between America and Europe. NATO provides not only the main mechanism for the exercise of US influence regarding European matters but the basis for the politically critical American military presence in Western Europe....Eurasia is thus the chessboard on which the struggle for global primacy continues to be played."

 

In a section with the heading "The NATO Imperative," the author reiterated earlier policy demands: "It follows that a wider Europe and an enlarged NATO will serve well both the short-term and the longer-term goals of US policy. A larger Europe will expand the range of American influence — and, through the admission of new Central European members, also increase in the European councils the number of states with a pro-American proclivity — without simultaneously creating a Europe politically so integrated that it could soon challenge the United States on geopolitical matters of high importance to America elsewhere, particularly in the Middle East."

 

A Europe united under the EU and especially NATO is to be strong enough to contain, isolate and increasingly confront Russia as the central component of U.S. plans for control of Eurasia and the world, but cannot be allowed to conduct an independent foreign policy, particularly in regard to Russia and the Middle East. European NATO allies are to assist Washington in preventing the emergence of "the most dangerous scenario...a grand coalition of China, Russia, and perhaps Iran" such as has been adumbrated since in the Shanghai Cooperation Organization.

 

Four years after the publication of The Grand Chessboard, Brzezinski's recommended chess move was made: The U.S. and NATO invaded Afghanistan and expanded into Central Asia where Russian, Chinese and Iranian interests converge and where the basis for their regional cooperation existed, and Western military bases were established in the former Soviet republics of Kyrgyzstan, Tajikistan and Uzbekistan, where they remain for the indefinite future.

 

Western-controlled pipelines traverse the South Caucasus - Azerbaijan and Georgia - to drive Russia and Iran out of the European and ultimately world energy markets, with a concomitant U.S. and NATO takeover of the armed forces of both nations. The two countries have also been tapped for increased troop deployments and transport routes for the war in South Asia.

 

The West is completing the process described by Brzezinski in his 1997 book in which he stated "In effect, by the mid-1990s a bloc, quietly led by Ukraine and comprising Uzbekistan, Turkmenistan, Azerbaijan and sometimes also Kazakhstan, Georgia and Moldova, had informally emerged to obstruct Russian efforts to use the CIS as the tool for political integration."

 

Note, not to obstruct a new "imperial" Russia from exploiting the Commonwealth of Independent States to dominate much less absorb former parts not only of the Soviet Union but of historical Russia, but to integrate - or rather maintain the integration of - nations which were within one state until eighteen years ago. At that time, 1991, the Soviet Union precipitately disintegrated into fifteen new nations and four independent "frozen conflict" zones - Abkhazia, Nagorno-Karabakh, South Ossetia and Transdniester - and Russia made a 180 degree turn in its political structure and orientation, both domestically and in its foreign policy.

 

The response to those developments by the U.S. and its NATO cohorts was to scent blood and move in for the kill.

 

Starting in 1994 NATO recruited all fifteen former Soviet republics into its Partnership for Peace program, which has subsequently prepared ten nations - all in Eastern Europe, three of them former Soviet republics - for full membership.

 

As noted above, in 1997 the West absorbed four and for a period five former Soviet states - Georgia, Ukraine, Azerbaijan, Moldova and Uzbekistan - into the GUAM, now Organization for Democracy and Economic Development, format, which has recently been expanded to include Armenia and Belarus with the European Union's Eastern Partnership initiative. The latter includes half (six of twelve) of the CIS and former CIS nations, all except for Russia and the five Central Asian countries. [1]

 

Armenian, Azerbaijani, Georgian and Ukrainian troops have been enlisted by the U.S. and NATO for the war in Afghanistan, with Moldova to be the next supplier of soldiers. All five nations also provided forces for the war and occupation in Iraq.

 

The five Central Asian former Soviet republics - Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Turkmenistan and Uzbekistan - have provided the Pentagon and NATO with bases and transit rights for the war in South Asia and as such are being daily dragged deeper into the Western military nexus. Kazakhstan, for example, sent troops to Iraq and may soon deploy them to Afghanistan.

 

In recent days the West has stepped up its offensive in several former Soviet states.

 

GUAM held a meeting of its Parliamentary Assembly in the Georgian capital of Tbilisi on November 9 and the leader of the host nation's parliamentary majority, David Darchiashvili, said "GUAM has significant potential, as its member states have common interests while the CIS is a union of conflicting interests" and "It is important for GUAM members to have a specific attitude to the EU. GUAM has a potential to develop a common direction with the EU under the policy of the Eastern Partnership." [2]

 

Georgian Foreign Minister Grigol Vashadze said at the event that "Our relations are extending, new partners appear. The US, the Czech Republic, Japan and the Baltic states will become GUAM partners soon. They will participate in economic projects with us." [3]

 

The Secretary General of the Council of Europe Torbjorn Jagland met with GUAM member states' permanent representatives to the Council of Europe and during the meeting "the Azerbaijani side emphasized the need to intensify the Council of Europe's efforts in the settlement of 'frozen conflicts' in the GUAM area." [4] The allusion is again to Abkhazia, Nagorno-Karabakh, South Ossetia and Transdniester where several thousand lives were lost in fighting after the breakup of the Soviet Union and, in the case of South Ossetia, where a Georgian invasion of last year triggered a five-day war with Russia.

 

Later at the NATO Parliamentary Assembly meeting in Edinburgh, Scotland from November 13-17, Azerbaijani member of parliament Zahid Oruj said that "the territories of both Georgia and Azerbaijan were occupied and the Collective Security Treaty Organization’s policy in the region proved that" and he "characterized these steps as an action against NATO." [5] The Collective Security Treaty Organization (CSTO) is a post-Soviet security bloc consisting of Russia, Armenia, Belarus, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan and Uzbekistan. Belarus (initially) and Uzbekistan both boycotted the creation of the new CSTO rapid reaction force last month and the Eastern Partnership is designed in part to pull Armenia and Belarus out of the organization. Comparable initiatives are underway in regards to the four Central Asian members states, with the Afghan war the chief mechanism for reorienting them toward NATO.

 

During the NATO Parliamentary Assembly session, for example, a Turkish parliamentarian said "Armenia’s releasing the occupied Azerbaijani territories [Nagorno Karabakh] will create a security zone in the South Caucasus and pave the way for NATO’s cooperation with this region."

 

An Azerbaijani counterpart was even more blunt in stating "NATO should defend Azerbaijan” and stressing "that otherwise, security will not be firm in the region, stability can be violated anytime [and a] new military conflict will be inevitable." [6]

 

The day after the NATO session ended the president of Azerbaijan, Ilham Aliyev, revealed the context for NATO "defending Azerbaijan" when he announced that "There is strong support for building the national army. Our army grows stronger. We are holding negotiations but we should be ready to liberate our territories any time from the invaders by military means." [7]

 

The same day Daniel Stein, senior assistant to the U.S. Special Envoy for Eurasian Energy, was in Azerbaijan where he confirmed strategic ties with the nation's government and said that as "global energy security is one of the priorities of US foreign policy, his country supports diversification of energy resources while delivering them to world markets." [8]

 

Also on November 18 Stein's superior, U.S. Special Envoy for Eurasian Energy Richard Morningstar, addressed the European Policy Center, a Brussels-based think-tank, and said "Turkey will become a very strong transit country in transporting the gas of the Caucasus and Central Asia to Europe” - via Azerbaijan and Georgia - and "Turkmenistan and Iraq could join in as other suppliers besides Azerbaijan...." [9]

 

The following day, November 19, a conference on NATO's New Strategic Concept: Contribution to the Debate from Partners was held in Baku, the capital of Azerbaijan. The host country's deputy foreign minister, Araz Azimov, stated at the meeting:

 

"I offer the signing of bilateral agreements between NATO and partner countries to cover security guarantees for partner countries along with the responsibility and commitments of the parties.

 

"Yes, we (partner countries) are important for NATO in general for the security architecture of the Euro-Atlantic area. Today Azerbaijan's borders are the borders of Europe." [10]

 

On November Azerbaijan hosted an international conference titled Impediments to Security in the South Caucasus: Current Realities and Future Prospects for Regional Development, co-sponsored by Britain's International Institute for Strategic Studies. Speakers included Ariel Cohen, Senior Research Fellow at the Heritage Foundation, and the Washington, D.C.-based Jamestown Foundation's President Glenn Howard and Senior Fellow Vladimir Socor.

 

Socor, a Romanian emigre and former Radio Free Europe/Radio Liberty employee, in addressing the Armenian-Azerbaijani conflict over Nagorno Karabakh, "stressed the necessity of an undertaking by NATO of analogous steps in this conflict taken for the settlement of the conflicts in the Balkans and former Yugoslavia." [11]

 

Novruz Mammadov, head of the Foreign Relations Department of Azerbaijan's presidential administration, said that "Azerbaijan is the only country in the post-Soviet space usefully and really cooperating with the West," and Elnur Aslanov, head of the Political Analysis and Information Department for the President of Azerbaijan, said:

 

"The Baku-Tbilisi-Ceyhan, Baku-Tbilisi-Erzurum and Baku-Tbilisi-Kars
projects...stimulate the development of regional cooperation, and also are important from the security standpoint....Azerbaijan is a reliable partner of the European security architecture...the country plays an important role in ensuring European energy security." [12]

 

Jamestown Foundation chief Glenn Howard added "that Azerbaijan is an important partner for NATO in terms of energy security," and backed the nation's deputy foreign minister's demand the previous day that NATO must offer Yugoslav war-style support to its Caucasus partners "especially after the war in Georgia last year."

 

Howard added:

 

"NATO can give security guarantees to a country in case of an attack, which is what happened in 1979 in the Persian Gulf - after the fall of the Shah of Iran the US gave security guarantees to countries through bilateral agreements with those countries....If Azerbaijani troops are going to help in one area, that will lessen the need for NATO troops in this particular area, so that they can be involved in some other area, for example, that helps put more troops in fighting the Taliban...." [13]

 

Azerbaijan is not the only former Soviet republic the U.S. intends to use to penetrate the Caspian Sea Basin. After leaving Baku the State Department's Daniel Stein arrived in Turkmenistan where he stated that "The United States offers its mediating mission in Turkmen-Azerbaijan disputes over the Caspian status," in relation to a border demarcation conflict in a sea that the two nations share with Russia and Iran. He added, "The U.S. and EU member countries try to assure Azerbaijan and Turkmenistan that they should reach an agreement on the division of the Caspian to create real opportunities for Nabucco and other projects." [14]

 

The same day U.S. Deputy Assistant Secretary of State for South and Central Asia George Krol was also in the Turkmen capital to deliver an address at the the annual Oil and Gas Conference there and said, "The U.S. considers energy security as a priority issue, and Central Asia is an important region in the global energy map." [15]

 

In Azerbaijan's fellow GUAM member state Moldova, the new government of acting president Mihai Ghimpu, which came to power after April's so-called Twitter Revolution, announced that it was establishing a national committee to implement an Individual Partnership Action Plan for NATO membership. To indicate the importance the new administration attaches to integration with the bloc, "Minister of Foreign Affairs and European Integration Iurie Leanca has been appointed committee chairman." [16]

 

Earlier this month it was reported that the government's Prosecutor General's Office had "dropped criminal proceedings against the people accused of masterminding riots in the republic's capital in April, following the Opposition's protest against the results of the parliamentary election....After the early parliamentary election on July 29 when the Opposition came to power, most cases were closed" and instead "When the new prosecutor general was appointed, criminal cases were opened against police who took part in driving the protesters from the city center and their arrests." [17]

 

On the same day that the Jamestown Foundation's Glenn Howard and Vladimir Socor were in Azerbaijan advocating NATO intervention in the South Caucasus, U.S. Vice President Joseph Biden held a phone conversation with Georgian president and former U.S. resident Mikheil Saakashvili in which the first "reiterated the United States' 'strong support' for Georgia´s sovereignty and territorial integrity" and "underscored the importance of sustaining the commitment to democratic reform to fulfill the promise of the Rose Revolution." [18]

 

Also on November 20 a major Russian news source reported that Washington had shipped nearly $80 million in weapons to Georgia in 2008 and plans to supply more in the future.

 

"Despite the economic crisis, Georgia is increasing expenditure on arms purchases in the U.S.," although "Independent sources say[ing] Georgia´s unemployment stands at about one-third of its able-bodied population." [19]

 

On the same day a delegation from the Pentagon was in the Georgian capital to meet with Temur Iakobashvili, the nation's State Reintegration Minister - for "reintegration" read forcible incorporation of Abkhazia and South Ossetia - and the Georgian official announced "We introduced to the guests our plan to ensure security in the occupied territories. We also talked about the role the U.S. will play in assisting the ensuring of regional security." [20]

 

The U.S. Defense Department representatives, including Deputy Assistant Secretary of Defense for Russia/Ukraine/Eurasia Celeste Wallander, met with Georgian Defense Minister Bacho Akhalaia "to hold consultations on defence cooperation issues concerning the two countries," and "Wallander personally inspected ongoing military trainings aimed at the preparation of the 31st Battalion of the GAF [Georgian Armed Forces] for participation in the ISAF operation in Afghanistan. The sides evaluated the US assistance provided during 2009 and considered in detail future cooperation prospects for 2010/2011.

 

"Under the visit's agenda the high-ranking US official met with the Security Council Secretary, Eka Tkeshelashvili, State Minister for Reintegration Temur Iakobashvili and Defence and Security Committee members of parliament." [21] The inspection mentioned above was of training following that conducted by U.S. Marines. The first contingent of new Georgian troops thus prepared was sent to Afghanistan four days before.

 

Two days earlier NATO spokesman James Appathurai announced that the Alliance was forging ahead with plans for both Georgia's and Ukraine's full membership and that "assessments would be made at a meeting of the NATO-Ukraine and NATO-Georgia Commissions to be held in Brussels in early December at the level of NATO foreign ministers." [22]

 

Also on November 18 Georgian Vice Premier and State Minister for Euro-Atlantic Integration Giorgi Baramidze met with NATO Secretary General Anders Fogh Rasmussen in Brussels. "The Georgian delegation also included Deputy Foreign Minister Giga Bokeria and Deputy Defense Minister Nikoloz Vashakidze. A meeting of the NATO-Georgia Commission at the ambassadorial level was also held in Brussels." [23]

 

The day preceding the meeting, U.S. Assistant Secretary of State Michael Posner and Deputy Assistant Secretary of State for European and Eurasian Affairs Tina Kaidanow were in Georgia to convene "working meetings with Georgian authorities within the Strategic Partnership Charter.

 

"The delegation will monitor the implementation of the U.S.-Georgia Strategic Partnership Plan" inaugurated in January of this year, less than four months after the war with Russia. [24]

 

The prior week Russian Foreign Minister Sergey Lavrov accused Western and allied nations of continuing to arm Georgia, stating “I hope many take lessons from last year’s August events. But I have to say that according to the reports of various sources, some countries are sending arms and ammunition demanded by the Georgian leadership via different complicated schemes.” [25]

 

Russian Deputy Foreign Minister Grigory Karasin warned on the same day that "[Georgian] military drones have started flying over South Ossetia and Abkhazia" [26} and the day before Nikolay Makarov, Chief of the General Staff, said "Georgia is getting large amounts of weapons supplied from abroad" and "Georgian military potential is currently higher than last August." [27]

 

Makarov's contention was confirmed by Georgian Defense Minister Bacho Akhalaia on November 14 when he said "the country’s defense capabilities are now better than they were a year ago and they are further improving."

 

The defense chief added, “a strong army will be one of our key priorities until the last occupant leaves our territories.” [28] The "occupants" in question are Russian troops in Abkhazia and South Ossetia.

 

Azerbaijan is not the only South Caucasus NATO partner preparing for war.

 

Regarding the recently concluded two-week Immediate Response 2009 exercises run by the U.S. Marine Corps in Georgia, a leading Russian news site wrote "Perhaps, the exercises were aimed at issuing a warning to Russia." [29]

 

On November 13 the Russian General Staff revealed that "Russian secret services have declassified information about Georgia’s plans to start forming its special forces in a move that will be implemented in close cooperation with Turkey," and "voiced concern about Georgia’s ongoing push for muscle-flexing amid efforts by Israel, Ukraine and NATO countries to re-arm the Saakashvili regime." [30]

 

In Ukraine, on November 19 Deputy Foreign Minister Kostiantyn Yeliseyev said of American ambassador to Georgia and ambassador designate to Ukraine John Tefft that "The U.S. Senate [Foreign Relations] Committee has approved his candidacy and we are expecting him to arrive soon." [31] In time for January's presidential election. Incumbent president and U.S. client Viktor Yushchenko is running dead last among serious candidates and his poll ratings are never higher than 3.5%. Tefft's task is to engineer some variant of the 2004 "Orange Revolution."

 

Yushchenko is a die-hard, intractable, unrelenting advocate of forcing his nation into NATO despite overwhelming popular opposition and for evicting the Russian Black Sea Fleet from the Crimea.

 

On November 16 NATO Secretary General Anders Fogh Rasmussen addressed High-Level NATO-Ukraine Consultations at the Alliance's headquarters in Brussels and said:

 

"In 2008 at the Bucharest Summit NATO Heads of State and Government welcomed Ukraine’s aspirations for membership in NATO and agreed that Ukraine will become a member of the Alliance. To reflect this spirit of deepening cooperation, Ukraine has developed its first Annual National Programme which outlines the steps it intends to take to accelerate internal reform and alignment with Euro-Atlantic standards." [32]

 

The same day Reuters revealed that "Poland and Lithuania want to forge military cooperation with Ukraine to try to bring the former Soviet republic closer to NATO." Poland's Deputy Defense Minister Stanislaw Komorowski was quoted as saying of the initiative, "This reflects our support for Ukraine. We want to tie Ukraine closer to Western structures, including military ones." [33]

 

The agreement was reached at talks in Brussels attended by Ukraine's acting Defense Minister Valery Ivashchenko, Lithuania's Minister of National Defense Rasa Jukneviciene and Poland's Komorowski.

 

The combined military unit will be stationed in Poland and include as many as 5,000 troops. The joint buildup on Russia's western and northwestern borders "may have a political objective. It is meant to set up an alternative center of military consolidation for West European projects, a center which could embrace former Soviet republics (above all Ukraine), now outside NATO. There is no doubt who will control this process, considering U.S. influence in Poland and the Baltics." [34]

 

On the same day that the Polish, Lithuanian and Ukrainian defense chiefs reached the agreement, Poland hosted multinational military exercises codenamed Common Challenge 09 with "2,500 troops from Germany, Slovakia, Lithuania, Latvia and Poland - forming the so-called EU Combat Group....Common Challenge is being held for the first time in Poland. Exercises are conducted simultaneously in Poznan, western Poland, and the nearby military range in Wedrzyn." [35]

 

In a complementary development, The Times of London published an interview with Italian Foreign Minister Franco Frattini on November 15 in which he "said Italy would push for the creation of a European Army after the 'new Europe' takes shape at this week's crucial November 19 EU summit following the adoption of the Lisbon Treaty." [36] A commentary from Russia, which of course will not be included in the plans, mentioned that "NATO has been actively discussing the possibility of establishing a joint European army for a long time" and that Frattini had "reiterated the need for deploying a joint naval fleet or air force in the Mediterranean or other areas crucial to European security." [37]

 

In a Wall Street Journal report titled "Central Europe Ready To Send More Soldiers To Afghanistan," Polish Foreign Minister Radoslaw Sikorski, again emphasizing the connection between war zone training in Afghanistan and preparation for action much closer to home, was quoted as saying "The credibility of NATO will be decided in Afghanistan. If NATO can be successful with what was a success in the Balkans and Iraq, its deterrent potential will rise, and it is in Poland’s national interest.” [38]

 

On November 18 the ambassadors from all 28 NATO member states gathered in Brussels commented on Belarusian-Russian military exercises conducted months earlier, Operation West, and "expressed concerns about the large scale of the exercises and a scenario that envisioned an attack from the West...." [39]

 

Sikorski's allusion to so-called NATO deterrent potential is, then, clearly in reference to Russia.

 

On November 17 the European Union's Special Representative for the South Caucasus Peter Semneby announced that the first foreign ministers meeting of the Eastern Partnership program will be held next month. He said that "The Eastern Partnership will be under the jurisdiction of a new representative for foreign affairs and security. The appointment will come after the Lisbon summit,” [40] as will the creation of the new European Army Italian Foreign Minister Frattini spoke of earlier.

 

Participants will include the foreign ministers of Armenia, Azerbaijan, Belarus, Georgia, Moldova and Ukraine, half - six of twelve - of the members or former members of the Commonwealth of Independent States and all those in Europe and the Caucasus except for Russia, which is not invited.

 

Comparable efforts to pull the five Central Asian CIS members - Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Turkmenistan and Uzbekistan - away from cooperation with Russia through a combination of an analogous EU partnership, energy project agreements and involvement in the Afghan war are also proceeding apace.

 

The eighteen-year-old project of Paul Wolfowitz, Zbigniew Brzezinski et al. to destroy the post-Soviet Commonwealth of Independent States and effect a cordon sanitaire around Russia, enclosing it with NATO member states and partners, has continued uninterruptedly since 1991.

 

Washington will not tolerate rivals and will ruthlessly attempt to eliminate even the potential of any nation to challenge it globally or regionally. In any region of the world. Russia, because of what it was, what it is, where it is and what it has - massive reserves of oil and natural gas, a developed nuclear industry and the world's only effective strategic triad outside the U.S. - is and will remain the main focus of efforts by the United States and NATO to rid themselves of impediments to achieving uncontested global domination.

 

Carthage must be destroyed is the West's policy toward the former Soviet Union.

NOTES

 

1) Eastern Partnership: The West’s Final Assault On the Former Soviet Union, Stop NATO, February 13, 2009
http://rickrozoff.wordpress.com/2009/08/26/eastern-partnership-the-wests-final-assault-on-the-former-soviet-union
2) Georgia Online, November 9, 2009
3) Azeri Press Agency, November 10, 2009
4) Azeri Press Agency, November 12, 2009
5) Azeri Press Agency, November 17, 2009
6) Azeri Press Agency, November 16, 2009
7) Azertag, November 18, 2009
8) Azeri Press Agency, November 18, 2009
9) Azeri Press Agency, November 18, 2009
10) Azerbaijan Business Center, November 19, 2009
11) Azertag, November 20, 2009
12) Ibid
13) Ibid
14) Azeri Press Agency, November 18, 2009
15) Trend News Agency, November 18, 2009
16) Focus News Agency, November 11, 2009
17) Itar-Tass, November 12, 2009
18) Civil Georgia, November 20, 2009
19) Voice of Russia, November 20, 2009
20) Trend News Agency, November 20, 2009
21) Georgia Ministry of Defence, November 20, 2009
22) Rustavi2, November 19, 2009
23) Civil Georgia, November 18, 2009
24) Rustavi2, November 17, 2009
25) Azeri Press Agency, November 11, 2009
26) Russian Information Agency Novosti, November 11, 2009
27) Voice of Russia, November 10, 2009
28) Civil Georgia, November 14, 2009
29) Voice of Russia, November 9, 2009
30) Voice of Russia, November 13, 2009
31) Interfax-Ukraine, November 19, 2009
32) NATO, November 16, 2009
33) Reuters, November 16, 2009
34) Russian Information Agency Novosti, November 18, 2009
35) Polish Radio, November 16, 2009
36) Russian Information Agency Novosti, November 17, 2009
37) Ibid
38) Wall Street Journal, November 12, 2009
39) Reuters, November 18, 2009
40) Azertag, November 17, 2009

mardi, 10 janvier 2012

Krantenkoppen - Januari 2012 (1)

Krantenkoppen

Januari 2012 (1)

HET UITVERKOREN VOLK MOET PERFECT ZIJN:
"Zwanger zijn in Israël is welhaast een militaire operatie. Talloze echo's en bloedonderzoeken moeten de perfecte baby opleveren, niets mag aan het toeval worden overgelaten. De staat eist gezonde baby's, en veel ook. (...) 'Wat is dat hier in dit land?', verzuchtte ik. 'Het Joodse volk is het uitverkoren volk', antwoordde ze. 'En dat moet perfect zijn'.":
http://www.trouw.nl/tr/nl/4720/Jodendom/article/detail/3104916/2012/01/04/Het-uitverkoren-volk-moet-perfect-zijn.dhtml#.TwTWZjm78lg.facebook
 
 
WOULD THE US BE DEFEATED IN THE PERSIAN GULF IN A WAR WITH IRAN?
"US naval forces in the Strait of Hormuz and the Persian Gulf are very vulnerable to Iran. Despite its might and shear strength, geography literally works against US naval power in the Strait of Hormuz and the Persian Gulf. The relative narrowness of the Persian Gulf makes it like a channel, at least in a strategic and military context. (...) The aircraft carriers and warships of the US are confi...ned to narrow waters or are closed in within the coastal waters of the Persian Gulf. This is where the Iranian military’s advanced missile capabilities come into play. The Iranian missile and torpedo arsenal would make short work of US naval assets in the waters of the Persian Gulf where US vessels are constricted. This is why the US has been busily erecting a missile shield system in the Persian Gulf (...) in the last few years":
http://www.voltairenet.org/Would-the-US-be-defeated-in-the
 
 
IRANIAN MISSILE SPIN FORCES HORMUZ CLOSURE FOR 5 HOURS:
"By a media trick, Tehran proved its claim that closing the Strait of Hormuz is as 'easy as drinking water'. (...) Saturday morning, Dec. 31, Iran’s state agencies 'reported' long-range and other missiles had been test-fired as part of its ongoing naval drill around the Strait of Hormuz. Ahead of the test, Tehran closed its territorial waters.
For 5 hours Saturday, not a single warship, merchant... vessel or oil tanker ventured into the 30-mile wide Hormuz strait, waiting to hear from Tehran’ that the test was over. Instead, around 0900 local time, a senior Iranian navy commander Mahmoud Moussavi informed Iran’s English language Press TV that no missiles had been fired after all. (...) For 5 hours therefore, world shipping obeyed Tehran’s warning (...)."
http://www.voltairenet.org/Iranian-missile-spin-forces-Hormuz
 
 
THE US-IRANIAN COLD WAR IN THE MIDDLE EAST AND THE THREAT OF BROADER WAR:
‎'The Obama Administration has used 2011 to unleash Washington’s 'Coalition of the Moderate' against the Resistance Bloc, which pins together all the countries and forces united by their opposition to US and Israeli hegemony in the Middle East-North Africa region":
http://www.voltairenet.org/The-US-Iranian-cold-war-in-the
 
 
THOUSANDS OF US TROOPS DEPLOYING TO ISRAEL:
"The Israeli military will together with America host the largest-ever joint missile drill by the 2 countries. (...) Additionally, new command posts will be established by American forces in Israel and Israel’s own IDF army will begin working from a base in Germany. (...) The US will now have added forces on the ready in Israel and Germany under what Tehran fears is a guise being merely perpetrated as a test-run": 
https://rt.com/usa/news/us-troops-israel-iran-257/
 
 
WORDT GRIEKENLAND EEN NIEUWE OLIESTAAT?
"Er is al heel wat internationale aandacht voor de mogelijke aardgas- en oliereserves van Griekenland (...). Voorlopige berekeningen hebben aangegeven dat er ongeveer 250 tot 300 miljoen vaten zouden kunnen worden bovengehaald uit de Ionische Zee":
http://www.dewereldmorgen.be/artikels/2012/01/04/wordt-griekenland-een-nieuwe-oliestaat
 
 
SCHALIEGAS VERANDERT MACHTSVERHOUDINGEN IN DE WERELD:
"Van schaliegas, een gas dat gewonnen kan worden uit gesteente, zouden wel eens veel grotere voorraden op onze planeet kunnen bestaan dan van het conventionele aardgas, zegt de Amerikaanse Energy Information Administration. De EIA stelt ook dat schaliegas rijkelijk aanwezig is op plaatsen die voorheen afhankelijk waren van import. China, de VS en Argentinië voeren de lijst aan, gevolgd door Zuid-Afrika, Australië, Polen, Frankrijk, Chili, Zweden, Paraguay, Pakistan en India":
http://www.dewereldmorgen.be/artikels/2012/01/04/schaliegas-verandert-machtsverhoudingen-in-de-wereld
 
 
SYRIE: APPEL A L'AIDE DE MERE AGNES-MARYAM DE LA CROIX ET DU MONASTERE DE SAINT JACQUES L'INTERCIS:
"J’ai été remuée au plus profond de ma conscience par la tragédie que vit la population civile, notamment les chrétiens. Ces derniers sont surtout concentrés dans les quartiers centraux de la ville qui sont devenus le repaire de bandes armées que personne jusqu’à présent n’a réussi à identifier. (...) Les résultats (...) sont des plus terribles: chaque jours des innocents son...t égorgés ou kidnappé...s. Des familles perdent ainsi le père, le fils ou le frère. Les veuves et les orphelins sont dans la nécessité. Ceux qui n’ont pas affronté le spectre de la mort doivent faire face à la séquestration forcée dans leurs domiciles où ils cherchent à survivre sans travail":
http://www.legrandsoir.info/+syrie-appel-a-l-aide-de-mere-agnes-maryam-de-la-croix-et-du-monastere-de-saint-jacques-l-intercis+.html
 
 
THE DECISION TO ATTACK SYRIA WAS MADE AT A MEETING AT CAMP DAVID ON 15 SEPTEMBER 2001:
"When the Western powers want to invade a state, their media mouthpieces claim that it is a barbaric dictatorship, that their armies can protect civilians and that they should overthrow the regime and bring democracy. We witnessed the truth in Iraq and Libya: the colonial powers couldn’t be less interested in the fate of the populations; they go in to devastate and plunder the country":
http://www.voltairenet.org/The-decision-to-attack-Syria-was
 
 
OVER HET MISBRUIK VAN DE TERM ANTISEMITISME:

Het zionisme, de basisideologie van Israël, is om volgende redenen een te bestrijden politieke stroming:

1. Het geeft een foute oplossing voor de problemen van de joden in Europa.
2. Het zionisme creëerde een menselijk drama voor het Palestijnse volk.
3. Het vernietigde grotendeels de eigen identiteit van grote groepen niet-Europese joden.
4. Een laatste, kwalijk gevolg was de gelijkschakeling 'Israël' met 'jood'.
http://www.dewereldmorgen.be/artikels/2011/12/29/over-het-misbruik-van-de-term-antisemitisme

 

 
 
DAS HEILIGES LAND UNSERES HERRN IST IM BESITZ SEINER KREUZIGER:
"Gegenwärtig läuft eine fieberhafte Kampagne, die großen Druck ausübt und Propaganda verbreitet (...) um die Welt davon zu überzeugen, daß der jüdische Mißbrauch des Heiligen Landes die netteste Sache sei, die diesem Gebiet passieren konnte. (...)
Das Heilige Land unseres Herrn ist im Besitz seiner Kreuziger":
http://www.kreuz.net/article.14417.html
 
 
US ARMY REVEALS HELICOPTER DRONE:
"The army said the technology promised an unprecedented capability to track and monitor activity on the ground":
http://www.bbc.co.uk/news/technology-16358851
 
 
THE DEFEAT OF THE AMERICAN EMPIRE:
"Iran and Hezbollah’s superiority in the electronic war with the US and Israel (...) constitutes a serious threat due to the accomplishments secured by both sides in exposing spy networks, obstructing sophisticated devices and dismantling their systems. This (...) constitutes the most prominent challenge facing Israel and the US in the region":
http://www.voltairenet.org/The-defeat-of-the-American-empire
 
 
JFK AND RFK: THE PLOTS THAT KILLED THEM, THE PATSIES THAT DIDN'T:
"The assassinations of RFK and JFK were both conspiracies. Both involved the destruction of evidence. Both involved the fabrication of evidence. Both involved framing their patsies. Both involved complicity by local officials. Both involved planning by the CIA. Both were used to deny the American people of the right to be governed by leaders of their own choosing":
http://www.voltairenet.org/JFK-and-RFK-The-Plots-that-Killed
 
 
FRIEDRICH NIETZSCHES ÜBERRASCHENDE NÄHE ZUR THEOLOGIE:
"Nietzsches Text macht auf äußerst einprägsame Weise deutlich, welche tiefe geistesgeschichtliche Revolution sich seit dem siebzehnten Jahrhundert in Europa vollzogen hatte. Indem man die Existenz Gottes in Frage stellte, wurden zugleich auch die Grundfesten der staatlichen Ordnung, von Recht und Moral, aber auch das ganze Weltbild, eben Oben und Unten, in Frage gestellt. Die explizite Leugnung d...er Existenz Gottes war eben nicht nur irgendeine beliebige philosophische Aussage, sondern führte zunächst einmal dazu, dass vieles, was zuvor religiös legitimiert war, fundamental unklar und unsicher werden mußte – insbesondere Lebensordnungen wie Ehe und Familie oder die Staatsordnung einer Monarchie von Gottes Gnaden."
 
 
L'UNION EURASIATIQUE, PROJECTIONS ET POTENTIALITE D'UN NOUVEAU POLE GEOPOLITIQUE:
"Une étroite intégration sur des bases économiques et de nouvelles valeurs est un impératif des temps; c’est ainsi (...) que Vladimir Poutine aborde le sujet de l’Union Eurasiatique, un des piliers de sa campagne électorale et de son prochain mandat présidentiel. L’intention (...) semble toujours davantage celle de bâtir un grand projet, au travers duquel la (...) Russie puisse retrouver son rôle dans les relations internationales, conforme à l’esprit qui depuis toujours distingue les leaders et l’histoire russes":
http://www.geopolintel.fr/article438.html
 
 
CIA'S DAILY MENU: 5 MLN FOREIGN TWEETS!
"The CIA (...) monitors everything available regardless of its significance and language. This also includes TV news channels, internet chat rooms, local radio stations and newspapers":
https://rt.com/news/twitter-facebook-cia-watches-743/
 
 
CHINA EN JAPAN STIMULEREN GRENSOVERSCHRIJDENDE HANDEL IN EIGEN MUNTEN:
"China en Japan werken een plan uit om voor hun wederzijdse handelsrelaties en financiële transacties het gebruik van de Japanse yen en de Chinese yuan te bevorderen. De 2 landen willen zo hun sterke economische banden ondersteunen en hun afhankelijkheid van de dollar afbouwen": 
http://www.standaard.be/artikel/detail.aspx?artikelid=DMF20111226_053
 
 
IRAK: HET MINST LEEFBARE LAND VAN DE PLANEET:
"Bagdad is de minst leefbare stad op de planeet. Dit is te wijten aan de volledige vernietiging van rioleringen, waterzuiveringsinstallaties, fabrieken, scholen, ziekenhuizen, musea en energiecentrales door het Amerikaanse leger":
http://www.dewereldmorgen.be/artikels/2011/12/21/irak-het-minst-leefbare-land-van-de-planeet
 
 
IRAK: TOTALE VERNIETIGING DOOR INVASIE EN BEZETTING:
"Het oorlogsgeld van de Amerikaanse belastingbetaler heeft niet alleen de Amerikaanse economie geruïneerd en de rest van de wereld in een economische crisis gestort, het heeft ook een soevereine natie verwoest die geen deel wenste te worden van de 'New World Order'. De dramatische situatie in Irak staat in schril contrast met de positieve echo's over 'vooruitgang in Irak' in de massamedia":
http://www.dewereldmorgen.be/artikels/2011/12/20/irak-totale-vernietiging-door-invasie-en-bezetting
 
 
NOAM CHOMSKY: TOP 10 MEDIA MANIPULATIONS:

 

‎1 - THE STRATEGY OF DISTRACTION
2 - CREATE PROBLEMS, THEN OFFER SOLUTIONS
3 - THE GRADUAL STRATEGY
4 - THE STRATEGY OF DEFERRING
5 - GO TO THE PUBLIC AS A LITTLE CHILD
6 - USE THE EMOTIONAL SIDE MORE THAN THE REFLECTION
7 - KEEP THE PUBLIC IN IGNORANCE AND MEDIOCRITY
8 - TO ENCOURAGE THE PUBLIC TO BE COMPLACENT WITH MEDIOCRITY
9 - SELF-BLAME STRENGTHEN
10 - GETTING TO KNOW THE INDIVIDUALS BETTER THAN THEY KNOW THEMSELVES

 

 
 
UN VENT D'ESPOIR SE LEVE!
"Luis de Guindos, ancien président de la banque Lehman Brothers pour l’Espagne et le Portugal, a été nommé mercredi ministre espagnol de l’Economie":
http://www.pauljorion.com/blog/?p=32179%3Fp%3D%3Cb%3EUN+VENT+D%E2%80%99ESPOIR+SE+L%C3%88VE+%21%3C%2Fb%3E
 
 
GRIEKS-MELKITISCHE PATRIARCH ROEPT OP TOT DIALOOG:
De Syrische patriarch Gregorios III Laham van Antiochië (...) roept het westen op om de huidige Syrische regering te steunen (...): "Het westen weet enkel dat de troepen van Assad bloed vergoten. Maar wij hebben contacten in het hele land. Er bevinden zich ook katholieke gemeenten in het centrum van de opstand. Die melden ons gevallen waarbij betogers wapens tegen burgers en militairen gebruiken. De staat heeft dan de plicht om burgers en soldaten te beschermen":
http://www.rorate.com/nieuws/nws.php?id=69315
 
 
THE GREATER EUROPE PROJECT:
"The inertia of political thinking and the lack of historic imagination among the political elites of the victorious West has led to a simplistic option: the conceptual basis of western liberal democracy, a market-economy society, and the ...strategic domination of the USA on the world scale became the only solution to all kinds of emerging challenges and the universal model that should be imperatively accepted by all of humanity. (...)
In such a uni-polar vision, Europe is considered the outskirts of America, the world capital, and as a bridgehead of the American West on the large Eurasian continent. Europe is seen as a part of the rich North, not a decision maker, but a junior partner without proper interests and specific characteristics of its own. (...) Being geographically a neighbour to regions with diverse non-European civilisations and with its own identity weakened or directly negated by the approach of the Global American Empire, Europe can easily lose its own cultural and political shape. (...)
The identity of Europe is much wider and deeper than some simplistic American ideological fast-food of the global Empire complex – with its caricaturist mixture of ultra-liberalism, free market ideology and quantitative democracy. (...)
The positive basis for a united West in the future is almost totally lacking. The social choice of European countries and states is in stark contrast of Anglo-Saxon (today American) option towards ultra-liberalism. Present-day Europe has its own strategic interests that differ substantially with American interests or with the approach of the Global West project. (...)
The only feasible alternative in present circumstances is to found in the context of a multi-polar world. Multi-polarity can grant to any country and civilisation on the planet the right and the freedom to develop its own potential, to organise its own internal reality in accordance with the specific identity of its culture and people, to propose a reliable basis of just and balanced international relations amongst the world’s nations. (...) Differences between civilisations do not have to necessarily culminate in an inevitable clash between them – in contrast to the simplistic logic of some American writers. 
Concerning Europe directly, (..) we suggest, as a concretisation of the multi-polar approach, a balanced and open vision of a Greater Europe as a new concept for the future development of our civilisation in strategic, social, cultural, economic and geopolitical dimensions. (...) No country – except the USA – as things stand today, can afford and defend its true sovereignty, relying solely on its own inner resources. No one of them could be considered as an autonomous pole capable of counterbalancing the Atlantist power. So multi-polarity demands a large-scale integration process. (...) 
We imagine this Greater Europe as a sovereign geopolitical power, with its own strong cultural identity, with its own social and political options – based on the principles of the European democratic tradition – with its own defence system, including nuclear weapons, with its own strategic access to energy and mineral resources, making its own independent choices on peace or war with other countries or civilisations – with all of the above depending on a common European will and democratic procedure for making decisions.
In order to promote our project of a Greater Europe and the multi-polarity concept, we appeal to the different forces in European countries, and to the Russians, the Americans, the Asians, to reach beyond their political options, cultural differences and religious choices to support actively our initiative, to create in any place or region Committees for a Greater Europe or other kinds of organisations sharing the multi-polar approach, rejecting uni-polarity, the growing danger of American imperialism and elaborating a similar concept for other civilisations. If we work together, strongly affirming our different identities, we will be able to found a balanced, just and better world, a Greater World where any worthy culture, society, faith, tradition and human creativity will find its proper and granted place."
 
 
US MILITARY PERSONNEL AROUND THE WORLD:
 

Le Qatar achète nos banlieues ou La diversité, cheval de Troie de l’islamisme

Le Qatar achète nos banlieues ou La diversité, cheval de Troie de l’islamisme

Ex: http://mediabenews.wordpress.com/

L’imprudence de nos dirigeants n’a décidément pas de limite; elle frôle, parfois, l’irresponsabilité. En plein débat sur le vote des étrangers aux élections locales, l’annonce de financements du Qatar dans certaines banlieues aurait du soulever bien des interrogations.

Le Qatar est, en effet, un émirat rigoriste qui achète tout: le sport, la culture. Pour améliorer son image. Mais il est aussi derrière tous les mouvements islamistes dans le monde arabe. Du Maroc à Damas, notre collègue algérien, Chems Eddine Chitour, l’a récemment rappelé dans nos pages. Il a été l’un des éléments moteurs de la guerre en Libye, derrière la France ou la poussant, selon les versions. Il finance tous les mouvements islamistes: au Maroc, en Tunisie ou en Egypte.


Le Qatar et la France : de l’amitié ?

Au Maroc, les islamistes ont remporté les élections, comme en Egypte et en Tunisie. La Syrie va connaître une guerre civile qui profitera aux religieux extrémistes. Il n’y a plus de Libye (BHL s’en félicite), mais des territoires soumis à l’autorité de chefs de guerre plus ou moins islamistes. Si un califat se constitue c’est, pour le moment, celui de Doha.

Le Qatar a pris la relève du wahhabisme saoudien dans l’exportation d’un Islam fondamentalisme qu’il fait coexister avec une économie dynamique et ultra moderniste, fondée sur l’or noir. Voilà les sauveurs des banlieues. Tout de même, cela ne choque-t-il personne ?

A quand les élus « qatari» de nationalité française?

“Le Qatar a créé un fonds d’investissement de 50 M€ pour financer des projets économiques portés par les habitants des banlieues de France”, a annoncé jeudi soir son ambassadeur à Paris, Mohamed Jahan Al-Kuwari.


L’Association nationale des élus locaux pour la diversité reçue par l’Emir du Qatar

Mais le financement des associations, l’aide aux élus de “la diversité” aura sans doute une contrepartie: la ré-islamisation, dans l’obédience, de nos banlieues. Nous aurons donc des élus « qatari» de nationalité française et des associations d’étrangers « qataris » qui pourront exiger des piscines non-mixtes et des repas halal partout, ainsi que le respect du port du voile…. Surtout, en cas d’obtention du droit de vote. Ce serait la coutume étrangère qui ferait la loi, dans les mairies par l’élection ou par pression.

Accepter le financement de nos banlieues à population immigrée, forte ou majoritaire, par le Qatar est absolument irresponsable. Que fait-on du principe de précaution ? Qui s’inquiète ou dénonce ce véritable danger d’ingérence religieuse par le canal économique ?

Ni les pouvoirs publics, qui étaient déjà restés étrangement silencieux lorsque, au printemps dernier, des membres de l’administration américaine avaient procédé avec une totale impudence à des manoeuvres d’instrumentalisation des “jeunes de banlieues” d’ascendance africaine.   Ni la presse. Tétanisée par ses complexes anti-racistes, elle ne voie que l’encouragement à “la diversité”, se contente de retranscrire la communication quatari. « Des élus de banlieue rentrent du Qatar. Leur but : promouvoir les talents des quartiers dans un pays en plein essor, où la culture franco-arabe n’est plus un handicap. Un voyage qui fait suite à deux séjours aux Etats-Unis.”

Qu’en pensent les intéressés ? « Alors que l’Europe est en crise, le Qatar explose”, répond Fouad Sari, élu écologiste et professeur à Vigneux-sur-Seine (Essonne). “Dans nos quartiers, le nouveau propriétaire du PSG et organisateur de la Coupe du monde de football 2022 fait rêver les jeunes.» « Au Qatar, les compétences comptent plus que la couleur de la peau », ajoute Houaria Hadj-Chikh, adjointe (apparentée PC) à Marseille.

Derrière les talents de la diversité, l’uniformité de l’islamisme?

Le Qatar ce n’est pas que des paroles. Il faut agir.” La bourse grande ouverte et ne cachant pas que les 50ME de l’émir n’était qu’un plancher, l’ambassadeur a été clair, devant la dizaine d’élus locaux des quartiers, tous originaires du Maghreb, en présence d’un journaliste de l’AFP “J’espère que ce partenariat sera noué très vite pour servir la relation entre le Qatar et la France“,  pays “stratégique” et “très important pour nous“, a poursuivi l’ambassadeur.  ”Les Français d’origine arabe peuvent nous aider dans notre partenariat avec la France“.

La France: objectif Qatari. Personne ne peut en douter. Attention, derrière les talents de la diversité, il peut se cacher l’uniformité de l’islamisme Qatari.

Jean Bonnevey

La voix pertinente de la Hongrie

La voix pertinente de la Hongrie

Ex: http://synthesenationale.hautetfort.com/

orban.jpgLe gouvernement conservateur hongrois de Viktor Orbàn vient d’adopter une nouvelle  Constitution qui vise à réduire considérablement l’influence des partis politiques, à maîtriser sa monnaie par sa mainmise sur sa banque centrale et en rappelant quelques principes identitaires fondamentaux. Pour Viktor Obàn, la démocratie n’est pas une panacée sans pour autant tomber dans les travers du bon vieux  stalinisme d’hier, mais vu de droite. Evidemment le Système regimbe face à cet acte d’indépendance et Bruxelles, temple du politiquement correct, ne sait trop comment réagir. Mais la finance internationale et apatride veille au grain. Pourtant, Viktor Orbàn semble montrer une voie originale à ce que pourrait être une Europe enfin décidée à défendre ses intérêts et surtout son identité.

Les principaux changements dans la Constitution :

 - La «République de Hongrie» devient la «Hongrie».

 - Les dirigeants de l’actuel Parti socialiste sont tenus rétroactivement responsables des «crimes communistes» commis jusqu’en 1989.

- «Dieu» fait son entrée dans la Constitution, tout comme le nombre de communautés religieuses, limité à 14.

- Le nouveau mode de scrutin fait la part belle au parti arrivant en tête.

- Les Hongrois de souche à l’étranger (minorités dans les pays voisins) bénéficient du droit de vote.

- Le mandat des titulaires de postes importants de l’appareil d’Etat (économie, justice, police et armée) est porté à neuf ou douze ans.

- L’impôt sur le revenu à taux unique de 16% et le niveau des retraites est fixé dans la Constitution.

- L’influence du gouvernement est renforcée dans la Banque centrale. Le président de cette institution ne peut plus choisir ses trois adjoints, nommés par le gouvernement. De plus, le Conseil monétaire passe de 7 à 9 membres. Ces deux membres supplémentaires sont choisis par le gouvernement.

- Le forint devient constitutionnellement la monnaie hongroise, bloquant pratiquement le passage à l’euro.

- La Constitution fait de l’embryon un être humain dès la conception.

- Le mariage n’unit qu’un homme et une femme.

- Les sans-abri peuvent être punis de peines de prison.

- La radio-télévision publique et l’agence de presse MTI sont chapeautées par un Conseil des médias, dirigé par le Premier ministre.

- L’unique radio d’opposition, Klubradio, perd sa fréquence.

- Le Parlement a par ailleurs adopté une modification de ses règles de fonctionnement, qui donne à la majorité la possibilité de modifier l’ordre du jour et faire passer ses lois sans débat.

dimanche, 08 janvier 2012

La Belgique a un gouvernement!

dirupo.jpg

La Belgique a un gouvernement!

Entretien avec Paul Barbain, animateur du “Mouvement Identitaire Démocratique” (Namur), sur les problèmes de la Belgique actuelle

Q.: Monsieur Barbain, votre pays, la Belgique, a enfin réussi à se doter d’un gouvernement au bout de plus de 540 jours de crise politique! Que doit-on en penser, ici en l’Hexagone, où personne ne comprend guère ce qui se passe chez vous?

PB: Oui. La Belgique a un gouvernement mais il a fallu la menace d’une sanction de la part de la Commission Européenne pour qu’une tripartite soit vaille que vaille mise sur pied avant le 15 décembre. Les tripartites, composées de socialistes, de démocrates-chrétiens et de libéraux, sont, en règle générale, de piètres expédients qui présentent de nombreuses faiblesses. D’abord, comment concilier les visions socio-économiques des socialistes et des libéraux? Par des compromis qui ne satisferont jamais personne: ipso facto une telle tripartite équivaut à une absence de gouvernement réel, à un vide politique. Une tripartite de partis, considérés en Belgique comme “traditionnels”, est par définition hostile à toute nouveauté, donc à toute audace dans la gestion des problèmes qui, pourtant, s’accumulent. La nouveauté, on le sait depuis 2007 et encore davantage depuis les élections de juin 2010, a été l’irruption sur le théâtre politique belge d’un néo-nationalisme flamand porté par la NVA (= “Nouvelle Alliance Flamande”) de Bart De Wever. Cette formation réclamait une réforme fondamentale de l’Etat dans le sens de plus d’autonomie aux régions et communautés composant le royaume, c’est-à-dire une réforme allant dans le sens des seuls intérêts flamands et négligeant tous les autres grands problèmes qui affectent la société. Les partis francophones n’étaient pas demandeurs d’une telle réforme. Le résultat de ces interminables négociations, qui se sont étalées sur plus de dix-huit mois, a été d’isoler dans l’opposition le parti nettement majoritaire de la Flandre. Celui-ci est exclu de l’échelon fédéral, tout comme le petit parti francophone de Bruxelles, le FDF d’Olivier (alias “Olibrius”) Maingain, exclu de toutes mangeoires et prébendes pour dorer la pillule aux Flamands: l’opposition à l’une des revendications majeures des Flamands, soit la scission de l’arrondissement électoral et judiciaire de “Bruxelles/Hal/Vilvorde” était éliminée, de même que la voix qui réclamait à tue-tête un élargissement démesuré et déraisonnable de Bruxelles par inclusion de nombreuses communes flamandes de la grande périphérie mais aussi de communes wallonnes comme Waterloo, Braine-l’Alleud, Ohain, etc. Comme si toutes ces communes idylliques, où il fait bon vivre, étaient mues par le désir irrépressible de faire partie du “Bruxellistan” en ébullition constante, en voie d’islamisation, où on ne trouvera bientôt plus un saucisson pur porc dans les rayons des magasins, sans même parler du jambon de Parme. En bout de course, cela signifie que le gouvernement hissé aux affaires début décembre 2011 n’a pas de majorité parmi les députés flamands au Parlement fédéral belge.

On peut dire dorénavant que le “cordon sanitaire” imposé au Vlaams Belang, c’est-à-dire à la formation nationaliste qui avait jadis défrayé les chroniques et alarmé les bonnes consciences, s’est considérablement élargi: cette fois, il s’applique désormais à tous les électeurs de la NVA, soit à 30% de l’électorat flamand. Ce qui doit, en toute bonne logique, nous amener à dire que ce fameux “cordon sanitaire” n’avait pas été établi, en fait, pour combattre le racisme réel ou imaginaire des dirigeants et des militants du Vlaams Belang (ex Vlaams Blok). Le “racisme” ici n’avait été qu’un bon prétexte car, rappellons-le une fois pour toutes, il est vrai, et bien vrai, que les réactions négatives à l’égard de certaines catégories d’immigrés sont bien partagées en Belgique: elles ne sont pas seulement virulentes chez les militants du Vlaams Blok ou chez les seuls Flamands car j’entends régulièrement, depuis un an ou deux, en terre wallonne ou chez des Wallons qui travaillent au “Bruxellistan”, tous ex-petits gauchistes bien-pensants ou syndicalistes FGTB voire mèmères démocrates-chrétiennes, proférer des horreurs racistes à qui mieux mieux, en un langage plus fleuri que celui des Flamands plus prudes et plus réservés. Le pamphlet le plus corrosif, et le mieux construit, contre les débordements de la population immigrée au “Bruxellistan” n’est d’ailleurs pas l’oeuvre d’un sectataire du Vlaams Belang mais d’un député vert flamand de la capitale, Lucas Van der Taelen. Le “cordon sanitaire” a servi et continue à servir à endiguer toute volonté de réformer l’Etat dans un sens plus fédéraliste: isoler une frange très conséquente de l’électorat flamand en déclarant que c’est essentiellement pour ce motif politique-là, pour cette option constitutionnelle précise, aurait révélé en plein jour les velléités anti-démocratiques de l’établissement belge; en revanche, décrier les contrevenants comme “racistes” permettait de parader avec bonne conscience dans les allées de l’eurocratie du Quartier Léopold ou de Strasbourg, en criant bien haut que la Belgique était un exemple à suivre dans la lutte interplanétaire voire intergallactique contre l’hydre hideuse du racisme qu’avançait un noir complot d’indécrottables et pervers nazillons

Le recours au croquemitaine du “racisme” était ridicule, bouffon, aussi stupide que l’idéologie républicaine hexagonale dont l’anti-racisme militant actuel procède, depuis que Mitterrand avait hissé sur les pavois médiatiques un certain Harlem Désir. Mais finalement, si on y réfléchit un peu, un “racisme” qui aurait été toléré avec condescendance —c’est-à-dire, entendons-nous, aurait équivalu à une liberté démocratique de critiquer les débordements de l’immigration incontrôlée— aurait généré moins de dangerosité pour le système belge dans son ensemble, tares comprises, que l’application de la stratégie du “cordon sanitaire” élargi dans le contexte actuel. En effet, c’est désormais plus de 40% de l’électorat flamand qui est condamné à la marginalité politique et à demeurer une vaste frange de citoyens de seconde zone. Il devient difficile d’accuser 40% de la population de “racisme” ou de velléités extrême-droitistes. On ne le fait donc pas —ce serait trop gros— mais on manoeuvre habilement pour que cet électorat soit exclu de toute représentation, comme s’il était effectivement raciste. Il en résulte une sourde colère dans près de la moitié des chaumières flamandes: pire, quand on organise, en guise de sondage, des “élections” fictives mais significatives dans les collèges et écoles flamandes pour les élèves entre 16 et 18 ans (les futurs électeurs), on constate, comme très récemment en Campine, que les scores unis de la NVA et du Vlaams Belang atteignent 72%! Les partis de la tripartite au pouvoir ne recueillent que des miettes car les Verts flamands et quelques petits partis gauchistes (dont les maoïstes du PvdA) emportent parfois plus de voix juvéniles que les socialistes du SP.A!

Nous sommes donc plongés dans une situation où 45 à 48% de l’électorat flamand n’a pas la possiblité d’exercer un impact quelconque sur la gestion des affaires. Etat fédéral à deux composantes majeures, la Belgique est forcément instable car un Etat fédéral idéal, c’est-à-dire idéalement équilibré, compte généralement un nombre impair de composantes, car cela permet d’absorber les déséquilibres ou les différences existant entre l’électorat d’une entité sub-étatique A (qui générerait un vote atypique) et ceux des entités sub-étatiques B, C, D et E (qui génèreraient des comportements autres voire plus conventionnels). Avec deux entités seulement, tout déséquilibre, tel celui que nous connaissons aujourd’hui en Belgique, réduit la fédéralisation à une pure fiction ou à une impossibilité pratique.

On me rétorquera que la Belgique compte trois régions (Wallonie, Flandre et Bruxelles-Capitale) et trois communautés (francophone, flamande et germanophone). La communauté germanophone est excentrée territorialement et numériquement très réduite. Quant à Bruxelles, elle est une région exclusivement urbaine, réduite à dix-neuf communes; elle est dépendante financièrement des deux autres régions (surtout la Flandre). Bruxelles accumule, qui plus est, une masse de problèmes inconnus dans les deux autres entités sub-étatiques. La vie économique bruxelloise s’est considérablement réduite au fil des dernières décennies: bon nombre d’activités industrielles, de services de qualité dont les performances ne sont pas niables, ont émigré vers une périphérie flamande, vers des zones d’activités comme celles de Zellik, Zaventem ou Diegem. Fiscalement, le départ de ces entreprises est un désastre pour la capitale belge, devenue dortoir pour les eurocrates, qui ne paient pas un sou d’impôt et constituent une masse mouvante non ancrée dans le tissu historique de la ville. Ensuite, l’immigration débridée et non assimilée, dénoncée par le député vert Van der Taelen, ne paie pas davantage d’impôts et génére des coûts exorbitants que la ville-région, fiscalement exsangue, ne peut plus financer. L’ironie veut qu’à peine mis en selle, le gouvernement a dû faire face à deux semaines d’émeutes violentes, fomentées par les partisans d’un obscur candidat malchanceux à la présidence congolaise, dont la majorité des Belges n’avaient jamais entendu parler et ne peuvent ni retenir ni prononcer le nom (un certain Tchisekedi, paraît-il...). Sous le prétexte que des malversations auraient été commises dans le comptage des voix quelque part dans le vaste Congo, des bandes de furieux, escortés par des pillards flairant l’aubaine, ont saccagé le haut de la ville, les commerces jadis prestigieux de la Chaussée d’Ixelles qui jouxte, pour son malheur, le quartier dit de “Matongé”, devenu le lieu de séjour de la minorité congolaise à Bruxelles, en apparence majoritairement partisane de ce Tchisekedi. Avec les manifestations multiples de paysans ou de syndicalistes européens qui se succèdent dans le quartier Schuman contre l’eurocratie, avec les débordements de la communauté marocaine (maroxelloise...) et maintenant avec les fureurs de Congolais marris, le budget de la capitale, pour le maintien de l’ordre, est solidement entamé et ne pourra jamais être bouclé sans apports venus des deux autres régions, qui, elles, ont besoin de leurs fonds pour des projets valables en Flandre et en Wallonie. Pourra-t-on gérer encore à l’avenir de telles joyeusetés nocturnes à la lueur des cocktails Molotov? Et pourra-t-on un jour rendre à la ville sa convivialité d’antan, qui formait la trame charnelle et émouvante des nostalgies d’un Jacques Brel?

Si des élections nouvelles devaient se dérouler demain, les résultats seraient exactement les mêmes voire encore plus substantiels pour la NVA (les sondages avancent le chiffre de 38%). Les problèmes réels de la société et surtout la crise bancaire (Dexia, Fortis) ne seraient pas résolus (et ne le seraient pas davantage par les exclus de la NVA ou du Vlaams Belang, ne nous leurrons pas...). Pire: en fait, la tripartite en place depuis début décembre ne se compose que des vaincus des deux scrutins fédéraux précédents, celui de 2007 et celui de 2010, ce qui est contraire à toute saine gouvernance démocratique: il n’y a pas eu de rénovation du personnel, alors que l’électorat l’exigeait, surtout en Flandre; si quelques clowns ont disparu du sinistre théâtre de la politique fédérale belge, bon nombre d’autres clowns et surtout de clownesses —de véritables calamités— sont demeuré(e)s en piste.

gouvDiRupo.jpg

Q.: Vous venez de nous parler de la crise politique belge, mais celle-ci se déploie tout de même sur fond de crise générale, votre pays étant, comme le Portugal ou l’Espagne, dans le collimateur des agences de notation? Qu’avez-vous à nous dire sur la crise financière et économique que traverse votre pays dans la zone euro?

PB: La crise financière est pour moi une expression particulière (et pas si nouvelle...) des guerres indirectes menées contre tout ce qui pourrait contrarier ou ralentir le capitalisme anglo-saxon en Europe ou ailleurs dans le monde: la nouvelle offensive de cette guerre de “quatrième dimension” a commencé à l’automne 2008, sans que le personnel politique n’ait formulé la moindre réponse, ni en Wallonie où le déclin industriel est une histoire ancienne, ni en Flandre, où les délocalisations et le chômage commencent à exercer leurs ravages, en dépit des ports de mer d’Anvers et de Zeebruges qui permettent à la Flandre d’attirer plus facilement les investisseurs. La crise financière, outre la défense et la consolidation les intérêts géopolitiques et géoéconomiques des nouvelles classes et de la finance internationale, vise le démantèlement de toutes les structures politiques (au sens noble, celui que lui ont donné Carl Schmitt et Julien Freund) qui subsistent, même à l’état résiduaire, dans le monde. Les crises grecque et italienne ont amené au pouvoir, à Athènes et à Rome, des gouvernements directements inféodés au système bancaire international, conduits par des anciens employés de Lehman & Brothers ou d’autres machins ploutocratiques, qui n’ont évidemment aucune légitimité démocratique. L’objectif final de la conjuration néo-libérale aujourd’hui triomphante est de démolir définitivement l’Etat populaire, de lui donner le coup de grâce après l’avoir fait mourir à petit feu pendant une trentaine d’années.

En Belgique, le nouveau paradoxe, qui surgit dans ce contexte global d’offensive néo-libérale et ploutocratique, est le suivant: Elio Di Rupo, qui est, électoralement parlant, tributaire d’un vaste mouvement syndical socialiste, a bien sûr promis une politique sociale fort généreuse, basée pour l’essentiel sur la perpétuation du système belge ad vitam aeternam, où un bon paquet d’allocataires sociaux, légitimes ou illégitimes, perçoivent des allocations ou des revenus de substitution jusqu’à la fin de leurs jours, sans qu’il ne leur soit demandé aucun compte ni aucun effort d’insertion réel, a fortiori s’ils appartiennent à la catégorie désormais dûment privilégiée des immigrés du Bruxellistan. Je ne raisonne pas comme les libéraux donc je ne dis pas que c’est une mauvaise idée d’aider des faibles ou des précarisés sur le long terme —et même sur le très long terme— mais pour perpétuer une telle générosité et une telle solidarité, il faut produire, sans jamais fléchir la cadence, des biens agro-alimentaires ou industriels selon des rythmes de croissance continue et soutenue, comme en connaissent aujourd’hui des pays comme la Chine ou la Turquie. Il faut de grandes entreprises performantes, privées si ça marche ou nationalisées s’il le faut, et un bon tissu de petites entreprises familiales, bien soustraites à la perspective de la faillite grâce à toute une série de filets protecteurs, notamment contre toute ingérence indue des banques. Il faut mettre un terme à la pratique néfaste des délocalisations (qui frappe toute l’Europe) et éviter que les privatisations (les “consolidations” selon l’euphémisme chéri de Di Rupo il y a quelques années) ne conduisent à des démantèlements, des déménagements ou des délocalisations. Remarque complémentaire: l’idéologie festiviste, dénoncée en termes philosophiques et esthétiques par le regretté Philippe Muray, ou l’idéologie du “non-travail”, analysée par un Guillaume Faye au début des années 80, servent à désindustrialiser l’Europe, à générer un esprit de farniente qui avantage les autres grands blocs géoéconomiques de la planète. L’Europe, comme s’inquiétait déjà le penseur gaulliste Claude Debbasch dans les années 60, a connu l’inflation d’un secteur tertiaire tentaculaire et improductif, générateur d’emplois peu utiles, surtout quand on songe à une ineptie belge déjà ancienne, je veux parler du fameux “Plan Spitaels”, consistant à lutter contre le chômage en créant, pour les ouvriers jetés hors de leurs usines, des postes administratifs dans la fonction publique! On a ainsi décrédibilisé le statut de fonctionnaire et apporté de l’eau au moulin du discours néo-libéral, posant dogmatiquement tout fonctionnaire comme “inutile”. Avec des dizaines de milliers de fonctionnaires-bidons, la critique était aisée, même si elle était fondamentalement fausse quant au fond.

Un gouvernement fédéral belge, où les socialistes wallons constituent l’incontournable dominante, doit être au minimum keynésien, défendre le keynésianisme pratique à tous les échelons, belges ou européens voire mondiaux, faire appel à toutes les ressources de l’économie dite “régulationniste” et travailler à créer des zones aussi vastes que possible d’autarcie, selon des techniques modernes qui ne soient pas pures nostalgies d’un hypothétique ancien régime que l’on poserait comme absolument parfait. Je pense notamment à la création de monnaies locales parallèles, comme il en existe en Bavière depuis quelques mois. Plusieurs régions de Wallonie pourraient imiter cet exemple bavarois, en Ardenne comme au Condroz. L’autarcie pure a toujours été une impossibilité matérielle dans le cadre limité que constituent les 30.000 km2 de la Belgique. Or nous constatons que bon nombre de figures du socialisme belge capitulent devant la vogue néo-libérale qui a déferlé dès 1979 avec l’avènement du premier gouvernement de Madame Thatcher en Angleterre. On songera notamment à feu Karel Van Miert, socialiste flamand nommé commissaire européen à la concurrence, qui ne ménageait jamais ses efforts pour réduire à néant toute mesure protectionniste, fut-elle vitale ou diantrement timide, contexte néo-libéral oblige, un contexte qui empoisonne le monde depuis maintenant trois bonnes décennies. Ce n’est pas avec des socialistes pareils que l’on va effacer les affres de la crise ni réduire une misère qui commence à asphyxier les classes moyennes actives.

dirupo2222.JPG

Depuis Edmond Leburton, au début des années 70, plus aucun premier ministre belge n’avait été wallon. Di Rupo, fils d’immigrés italiens installés à Mons dans le Borinage hennuyer, est donc le premier “Wallon” socialiste à reprendre le flambeau de Leburton, tombé à la suite d’un scandale financier. Mais voilà que ce premier ministre socialiste, tant attendu par les militants ouvriers et syndicalistes, surtout dans le Borinage et dans le Hainaut, va devoir faire face à une fronde sociale et syndicale sans pareille depuis les émeutes contre la “Loi unique” entre décembre 1960 et janvier 1961. Certes Di Rupo a eu l’habilité du Florentin pour faire porter le chapeau des mesures d’austérité les plus impopulaires à un libéral flamand, Van Quickenborne, mais, avec ou sans ce “Van Quick”, l’année 2012 sera chaude sur le plan social pour le nouveau premier ministre, preuve par neuf qu’une tripartite avec les libéraux, prête à faire tous les caprices du système bancaire international, ne convient pas aux classes laborieuses du pays, y compris aux indépendants et aux gérants des PME qui votent généralement pour les libéraux. Mais il n’y aura pas que les manifestations syndicales, les grèves et les protestations classiques du monde ouvrier et salarié: on peut s’attendre à des rébellions dans les quartiers immigrés de Bruxelles car la réduction dans le temps (trois ans au lieu de toute la vie) des allocations pleines et complètes de chômage, suivie, après ce délai de trente-six mois, d’une diminution drastique et graduelle des revenus de substitution, va bouleverser les douces habitudes d’une communauté dont les ressortissants ne trouvent généralement jamais d’emplois stables (sauf à la STIB, la “Société des Transports Intercommunaux Bruxellois” où l’on a même recyclé d’anciens braqueurs, dont l’un d’eux, l’an passé à Uccle, a vidé le chargeur de son revolver dans la tête d’une paisible mère de famille qui n’entendait pas se faire “car-jacker”, tandis qu’un de ses potes récidivait à Laeken en jouant de la Kalachnikov au sortir d’une agence bancaire qu’il venait de braquer).

A Bruxelles, plus encore qu’en Wallonie, le bon vieux système va cesser de fonctionner. Il sera certes, pendant un premier temps, freiné par toutes sortes d’artifices, dont les certificats médicaux, réels ou de complaisance, établis pour que l’on passe du statut de chômeur à celui d’handicapé, mais quoi qu’il en soit le système idyllique des Trente Glorieuses, poursuivi en dépit du bon sens pendant les Trente Piteuses, va s’enliser et chavirer, très probablement sous les quolibets des Turcs et des Chinois, qui se moqueront copieusement des moeurs socio-politiques des Européens. Avec ceci de très drôle: les parrains de l’idéologie anti-raciste, partisans officiels de ce bon et généreux système de redistribution, vont passer pour des “racistes” plus abominables que les “racistes” posés comme tels, parce que ce seront eux qui confisqueront sucettes-allocations et bonbons-subsides et non les “racistes” en titre, exclus du pouvoir par le “cordon sanitaire” et crossés par les lois scélérates appliquées par des magistrats marron. Bref, le boa de “Tintin au Congo” qui se bouffe lui-même en avalant sa propre queue.

Les systèmes sociaux généreux, que nous avons connus, et dont nous allons avoir la nostalgie pendant les années de crise que nous connaîtrons immanquablement, étaient effectivement la “sucette” que l’on avait laissée aux Européens pour qu’ils ne redeviennent pas “fachos” ou ne tournent pas “bolchos” pendant les années 50. Et surtout, avec le Plan Marshall, pour qu’ils achètent américain... Or il faut être bête et archi-bête comme les veaux qui gobent tout ce que racontent les médias ou font miroiter les productions d’Hollywood pour croire que les gentils Américains et les gentlemen anglais, dopés par la faconde de Churchill, sont venus nous libérer des méchants Allemands, avec l’aide de l’Uncle Joe (Staline) et de ses maquisards FTP ou autres, tout ça pour nos seuls beaux yeux, parce que nous étions de “bons petits Belges”, des enfants martyrs de la “poor little Belgium” (les Anglais ont d’ailleurs facturé très lourdement les frais de leur armée en exigeant une bonne part du cuivre du Congo et du charbon de Wallonie et de Campine et en facturant au prix plein leurs surplus militaires, vieux Spitfire défectueux qui ont causé la mort de plusieurs pilotes, casques “plats-à-barbe”, fusils mitrailleurs Bren, chenillettes démodées et autres ceinturons “web” utilisés jusque dans les années 80!).

Le but des deux guerres mondiales a été de briser toute forme d’autarcie européenne; les fonds du Plan Marshall ont été fournis sous conditions, notamment celle d’unifier le marché pour favoriser les importations d’Outre-Atlantique. D’où les traités de la CECA en 1951 et de Rome en 1957. Au fil du temps, l’Europe unifiée par l’eurocratie est (re)devenue une puissance économique. On est ainsi revenu à la case départ, mais cette fois sans un Kaiser ou sans un Führer. Il faut donc briser cette Europe performante en la harcelant au départ de son ventre mou méditerranéen. Est-ce un hasard si la Grèce, avant la crise de l’automne 2008, a subi une quantité incroyable et inédite d’incendies de forêts et de garrigues, allumés, pensent certaines sources, par des séides des services secrets turcs? De même, les incendies de forêt en Russie, qui n’avaient jamais connu pareille ampleur dans l’histoire, sont-ils, eux aussi, produits du “hasard”? La Grèce comme la Russie ont été déstabilisées par cette série de catastrophes. Et voilà qu’après ces feux apocalyptiques, surgissent à Athènes une crise financière, qui entraîne une crise générale de l’euro, et à Moscou, une “révolutions des neiges”, visant à déboulonner une direction politique qui entend placer des garde-fou après le laisser-aller de l’ère Eltsine. La guerre de “quatrième dimension” ne vise-t-elle pas à commettre autant de destructions qu’une guerre conventionnelle, sans pour autant avoir l’air d’une guerre?

Si la Belgique est dans le collimateur, ce n’est pas tant pour la dette de l’Etat qu’elle constitue mais pour le déséquilibre induit par la crise bancaire qui a contraint l’Etat à se porter garant de deux grandes banques, Fortis et Dexia, à payer partiellement leurs dettes ou à éponger leurs déficits. Pour Dexia, le jeu a été pervers: des mercenaires flamands (et non pas wallons... n’en déplaisent aux nationalistes purs et durs du Nord du pays...) ont livré l’épargne des Belges (toutes catégories confondues) à des requins français, tout comme, précédemment, le secteur énergétique, avec Electrabel, avait été vendu aux Français qui rançonnent les familles belges à tire-larigot, pire qu’au temps des sans-culottes arrivés dans le sillage des généraux Dumouriez, Jourdan et Pichegru. Bizarre que les nationalistes flamands ne hurlent que contre quelques précarisés wallons qui profitent chichement de la manne de l’Etat-Providence mais ne soufflent mot ou ne lancent aucune campagne violente contre le pillage systématique et inouï de toutes les provinces du royaume, exercé depuis l’état-major de Suez/Gaz de France à Paris. Chaque famille de Flandre et de Wallonie est pompée et grugée à qui mieux mieux par cette pompe aspirante mais ni les nationalistes ni les syndicalistes socialistes (FGTB ou CSC/ACW), forts en gueule, ne vont jamais bomber en grandes lettres noires les façades d’Electrabel ni occuper les locaux des petits et gros complices flamands des sinistres pillards français. Une bonne idée à creuser dans les états-majors de De Wever et de Dewinter: organiser dans toute la Flandre la grève du paiement des notes énergétiques. De Wever, Dewinter et leurs cliques ne frôleraient pas les 50% aux prochaines élections mais au moins les 80%. Tirer à boulets rouges sur les seuls Wallons et immigrés n’est pas aussi rentable électoralement que ne le serait une bonne jacquerie bien orchestrée contre les pillards du secteur énergétique: dans les années 20, le grand-père de Maître Bart Laeremans, zélé député Vlaams Belang de Grimbergen, organisait des escouades d’étudiants armés de cannes à la mode des Camelots du Roi d’AF, pour protester contre les accords militaires franco-belges. Et pourquoi pas de nouvelles escouades contre le pillage dû aux accords énergétiques franco-belges? Ce serait une réactualisation pertinente du “Los van Frankrijk” du grand-père maternel de Bart Laeremans! Et beaucoup de Wallons, de Germanophones et même d’immigrés suivraient comme un seul homme, s’achèteraient une canne de bon bambou et une faluche rouge bordeaux, pour participer à l’action! Mais avant d’en arriver là, le ministère fédéral des finances pourrait prendre enfin conscience qu’une réduction de la facture énergétique de tous les citoyens, issus de toutes les communautés composant le royaume, serait une aubaine pour la caisse de l’Etat.

electrabel.gif

Pour sortir de ce faisceau de crises et de problèmes, ni la Wallonie ni la Flandre ne possèdent le personnel politique adéquat. Je pense, comme le pensait aussi l’analyste flamand Hubert de Sy, aujourd’hui décédé, que cette absence de personnel politique valable et compétent est essentiellement dû à la “débâcle éthique” qui frappe le pays depuis la fin de la première guerre mondiale. Le pôle catholique —puis “démocrate-chrétien” après la parenthèse “maritainiste” des années 20 et 30 et le triste passage du vénérable Chanoine Jacques Leclercq, aristotélicien et thomiste à ses heures de gloire, à un démocratisme chrétien personnaliste et communisant— a donné le spectacle affligeant d’une telle débâcle éthique, qui nous a amené à la fange excrémenteuse du pôle démocrate-chrétien résiduaire actuel avec des figures porcines et nauséabondes comme Dehaene, le patapouf fossoyeur de Dexia, ou de personnages délirants et ridicules comme la cheftaine verbeuse du CdH, Joëlle Milquet, ou encore à des nullités à bobine d’idiot comme quelques présidents historiques du CD&V. Le catholicisme belge est bel et bien tombé dans une gadoue fécale, depuis le Père Daens, l’avocat Carton de Wiart et le Cardinal Mercier (même les historiens flamands, qui critiquent, déplorent ou fustigent ses incompréhensibles et irrationnelles “flamandophobie” et “germanophobie”, admettent que ses exigences éthiques, dérivées surtout d’un philosophe comme Maurice Blondel, méritent le respect et surtout méritent d’être réactivées). Seul le Professeur Marcel De Corte, de l’Université de Liège, a tenté de restaurer une éthique traditionnelle après le basculement de Jacques Leclercq dans les sottises post-maurrassiennes du démocratisme chrétien, communisant, existentialiste et pseudo-personaliste: en vain! Son oeuvre est oubliée et seuls quelques courageux essaient d’en sauver l’esprit. Les libéraux et les socialistes, au départ, excluaient les questions éthiques de leurs préoccupations. C’est pour cette raison qu’on leur collait sur le dos l’étiquette infâmante de “matérialistes”. C’est aussi dans ce sens qu’Arthur Moeller van den Bruck, traducteur allemand de Dostoïevski, disait qu’après quelques dizaines d’années de libéralisme, un peuple crevait, tout simplement. Il est vrai que ceux qui parlent, sans réfléchir et sans ouvrir les yeux, de “peuple belge”, —que ce soit au sein de la tripartite actuelle qui veut sauver ce “peuple belge” des manigances du méchant Bart De Wever et du très méchant Dewinter ou que ce soit au sein de petites formations qui se donnent l’étiquette de “nationale”— ne voient pas qu’ils ont affaire à un cadavre en état de putréfaction avancé. C’est le résultat navrant, non pas des coups assénés par le mouvement flamand ou par la permissivité gauchiste ou par les complots imaginaires d’une extrême-droite squelettique, mais de plusieurs décennies de libéralisme sans éthique, pire, sans contre-poids éthique dans le paysage politique et surtout de trois décennies de néo-libéralisme, poison plus violent encore. Cependant, on ne peut nier l’honnêteté d’un Paul Hymans, à la fin du 19ème siècle, l’homme qui donne son nom aujourd’hui au centre d’études des libéraux francophones. Comme son homologue italien Minghetti, Hymans a voulu limiter les effets pervers de la partitocratie. Mais ses efforts ont été bien oubliés. De même, les socialistes ont eu un théoricien hors pair, Henri De Man, qui, lui, avait le souci de l’éthique. Henri De Man a été précipité dans la géhenne des auteurs maudits. Et le socialisme, oublieux de ses leçons, a basculé dans une corruption éhontée.

Q.: Nous les Français sommes nostalgiques de la monarchie, depuis Maurras et la saga de l’Action Française, et nous regardons les monarchies européennes avec un mélange d’envie et de sympathie. Qu’en est-il de la monarchie belge aujourd’hui?

PB: Ne cultivez pas d’illusions inutiles. La monarchie ne représente plus rien de valable ou d’utile depuis l’éviction de Léopold III entre 1945 et 1950. Le départ forcé de ce roi a discrédité le pouvoir royal et évacué, dans la foulée, une institution informelle mais séduisante que Léopold III avait mise sur pied: le Conseil de la Couronne. Sous l’impulsion de sa mère, la Reine Elizabeth, née dans la famille bavaroise des Wittelsbach, Léopold III avait rassemblé autour de lui de grands esprits, soucieux du Bien public, comme Henri De Man, Jacques Crokaert et bien d’autres, dont, en coulisses, Pierre Daye, oublié aujourd’hui parce qu’il a eu un passé rexiste, mais dont les analyses et les récits de voyage, dans les années 30, n’avaient rien de figé ou ne relevaient d’aucune de ces bêtes ritournelles idéologiques qui entâchent tous les paysages politiques européens. Obligé d’abdiquer après la mort de quatre manifestants communistes dans la banlieue liégeoise, tués par des gendarmes qu’ils avaient assiégés dans une taverne, Léopold III a néanmoins épaulé son jeune fils dans les premières années de son règne: le médiocre monde des canules politiciennes a fait pression pour que le père rompe avec le fils et soit exilé dans le Château d’Argenteuil en Brabant wallon. Pourquoi cette hargne tenace contre Léopold III? Pour une raison, encore peu connue du grand public: le Roi, au début des années 30, avait refusé de payer les intérêts de la dette imposée par les Etats-Unis au lendemain de la première guerre mondiale. Roosevelt et Churchill lui voueront une haine tenace qui, finalement, lui coûtera son trône.

roileopold-iii.jpg

Le collaborateur Turcksin, commandant de la Flakbrigade flamande au service de Goering pendant la seconde guerre mondiale et, par ce fait même, chef de la plus grande formation militaire “belge” dans le camp de l’Axe, raconte dans ses mémoires comment il a été affamé, battu et torturé par des membres des services secrets américains dans un camp de prisonniers en Allemagne vaincue pour qu’il “mouille” Léopold III et sa seconde épouse, Liliane de Réty. Le but manifeste de cette séance écoeurante et bestiale, où Turcksin, figure étonnante, ancien acteur de théâtre de rue, a résisté courageusement, était d’impliquer Léopold III dans la collaboration pour le faire tomber plus tôt en Belgique et le remplacer par son frère, le Régent Charles, ou par un système républicain. On peut aussi imaginer que les puissances anglo-saxonnes convoitaient le Congo. Avec le départ de Léopold III, s’estompe dangereusement un état d’esprit, au sommet de l’Etat belge, où subsistait encore intact le sens de l’Etat, doublé d’un sens aigu de la valeur de la civilisation européenne, dont on peut saisir l’esprit dans l’appel à la sagesse lancé par le Roi à l’adresse des belligérants au moment où éclate la deuxième guerre mondiale. Je ne dis pas que ce sens a disparu totalement dans les rangs de la monarchie belge, je dis qu’il s’est dangereusement estompé et ne peut tout simplement plus se faire entendre. La monarchie, échaudée par les émeutes socialo-communistes de 1945 à 1950, émeutes suscitées en sous-main par les services anglo-saxons, craint par dessus tout de heurter le pôle socialiste wallon, qui est devenu paradoxalement son principal soutien aujourd’hui.

Les années 50 et le début des années 60 ont vu s’opérer un basculement dans le paysage politique belge: les socialistes wallons, au départ républicains et anti-monarchistes, vont progressivement soutenir la monarchie, tandis que les Flamands, d’abord soutiens de la monarchie par catholicisme, pour qui l’Etat monarchique est un microcosme dans le macrocosme où le Roi a, dans son royaume-microcosme, une place équivalente à Dieu-le-Père dans le “macrocosmos”, vont graduellement se défier d’une monarchie qui ménage trop le pôle socialiste dominant en Wallonie et va freiner l’avènement du fédéralisme et des autonomies réclamés par les électeurs flamands. De ce mécontentement et de cette déception va naître un républicanisme flamand, dont le Vlaams Blok (puis Vlaams Belang) va se faire le principal porte-voix, dès les années 80. L’affaire va se corser quand l’idéologie catholique de la monarchie va se doubler, non pas d’un recours à ces formes de traditionalisme thomiste ou aristotélicien ou à ces exigences éthiques formulées par Blondel, Mercier ou De Corte, mais à de curieuses et bizarres concoctions pseudo-théologiques, connues sous la dénomination de “charismatiques” aux Etats-Unis où elle ont émergé, ou à une sorte d’humanisme mondialiste confus, tiré de tous les avatars abscons de la pensée d’un Jacques Maritain voire, pire, à un “positive thinking” totalement biscornu émis par un “penseur” américain dont j’ai déjà oublié le nom. La pensée catholique flamande est, elle, restée plus fidèle à certaines traditions catholiques et plus en prise sur les débats théologiques néerlandais et allemand, où progressistes et traditionalistes s’affrontent dans des joutes de haute voltige. Je ne dis pas que la pensée théologique et philosophique flamande, au départ du “Hoog Instituut voor Wijsbegeerte” de Louvain, fondé en son temps par Mercier, est “conservatrice”; bien au contraire, l’influence des théologiens non traditionnels hollandais y est grande voire prépondérante. La théologie de la libération a laissé des traces profondes en Flandre. Mais, en dépit de cette effervescence théologique flamande, donc née sur le territoire de l’Etat belge, les références théologiques de la monarchie sous Baudouin I et sous la houlette de l’Archevêque de Malines, le Cardinal Suenens, relèveront de ce charismatisme “made in USA”, flanqué de niaiseries mondialistes, de tiers-mondisme, de maritainisme tardif (avec humanisme sans ancrage et sans substance) et de ce “positive thinking” d’Amerloques loufoques qui a terminé dans les poubelles où l’on déverse les mauvais pensums philosophiques. Le caricaturiste “Alidor”, du journal satirique “Pan”, croquait toujours de manière fort plaisante le Cardinal Suenens avec une colombe attachée à son poignet par une fine laisse: l’homme était accompagné du “Saint-Esprit”, comme d’autres sont accompagnés d’un caniche ou d’un Jack Russell: le génial caricaturiste liégeois, qui avait commencé sa carrière au journal “Le XXème siècle”, patronné par le Cardinal Mercier, stigmatisait ainsi la médiocre qualité de la nouvelle théologie cardinalice dans les années 60, 70 et 80. En dépit de la haute élévation morale du Roi Baudouin, de la pureté incontestable de son âme, tout esprit cohérent, et catholique, peut légitimement considéré ce fatras comme “impolitique” ou comme un ballast inutile qui a quelque peu ridiculisé son règne. Il eut mieux fallu suivre l’itinéraire d’un théologien plus pointu comme ce Cardinal bavarois Joseph Ratzinger, devenu Benoît XVI, d’un philosophe comme Peter Koslowski ou même de revenir à cet Italo-Bavarois surprenant, à l’oeuvre époustouflante, Romano Guardini.

Albert+Paola.jpg

Le règne d’Albert II, commencé en août 1993, a certes mis un bémol à cette mauvaise théologie royale mais n’a rien apporté de constructif au royaume; au contraire, le Kali Yuga fait son oeuvre: le déclin s’accélère et aucun “katechon” n’est en vue. Ce n’est pas une raison, à mes yeux, de faire du “républicanisme”. Il n’y a jamais eu de “république flamande” ni d’ailleurs de “république wallonne”. Il faut de la profondeur temporelle pour faire un sujet de l’histoire. La monarchie a perdu son aura à cause de la timidité qu’elle a cultivée suite aux émeutes de la question Royale dans l’immédiat après-guerre, à cause des élucubrations pseudo-théologiques que l’on a fait gober au malheureux Roi Baudouin (peu scolarisé vu les déboires que la seconde guerre mondiale et la question royale lui ont infligés) et à cause des idéologies mondialistes qui ont pullulé au cours des dernières décennies et que semblait affectionner le Grand Maréchal de la Cour. Des républiques locales, vernaculaires comme auraient dit Edward Goldsmith et l’écologiste français Laurent Ozon (passé un moment conseiller de Marine Le Pen, quel destin!), n’auraient guère d’épaisseur historique. La critique de la monarchie, qui produit beaucoup de volumes en Flandre qui ne sont jamais traduits en français, est tantôt amusante, quand elle souligne des travers que bon nombre de monarques dans l’histoire ont cultivés, tantôt agaçante, comme chez un Paul Belien, proche du Vlaams Belang sans en être, qui brosse, en anglais, une histoire de la monarchie en énumérant ce qui a opposé la dynastie des Saxe-Cobourg aux puissances anglo-saxonnes: Belien reprend, sans recul, toute la critique adressée à Léopold II par les Britanniques depuis que celui-ci avait reçu, au Congrès de Berlin en 1885, le bassin du Congo. Soit. Mais “fasciser” ou “nazifier” Albert I et Léopold III comme d’autres nazifient le Vlaams Belang pour être dans l’air du temps, est une opération vaine et ridicule, surtout quand elle se borne à des anecdotes sans analyser le contexte international: ni Albert I ni Léopold III n’ont accepté les diktats de Paris, à l’instar du mouvement flamand, que Belien le veuille ou non. Le pauvre Belien sombre dans un mode historiographique aussi lamentable que les idioties que débite une professeur d’université de Toulouse, franchouillarde, laïcarde et complètement illuminée, sur un très hypothétique complot flamando-léopoldiste, donc vaticano-hitléro-oustachiste, visant la destruction de la pauvre Troisième République. Pour cette bonne femme aux lubies obsessionnelles, les Flamands, les Croates, les Hongrois, le Pape, Degrelle, Hitler, Léopold III, etc. ont uni leurs efforts pour réduire à néant tous les acquis, pour elle sublimes, du Traité de Versailles de 1919. Pour Belien, qui travaille tout autant du chapeau (il se présente souvent coiffé d’un magnifique borsalino), le mouvement flamand doit servir de mercenaire aux puissances anglo-saxonnes, pour détacher la Flandre de son contexte eurocratique (soit...) et européen/continental (impossible, mon cher Watson...). Belien croit faire d’une pierre deux coups: en tablant sur les Anglo-Saxons, il mobilise le mouvement flamand contre la France, en pensant s’inscrire dans une tradition avérée, et contre l’Allemagne, en imaginant ainsi effacer les souvenirs des deux collaborations... Ce qu’il oublie, c’est que Churchill était francophile (sauf quand ses rapports se sont envenimés avec De Gaulle). Que l’Angleterre était alliée à la France (qui devait fournir la chair à canon, sacrifiant ainsi son paysannat). Et que le mouvement flamand ne voulait d’aucune alliance française.

S’il faut redonner un destin aux peuples qui composent l’espace belge, surtout en son noyau entre Meuse, Escaut et Sambre où la fameuse frontière linguistique ne correspond à aucun obstacle naturel, il faut se rémémorer les sentiments d’une grande figure nationale, le Prince Charles de Ligne, Feldmarchall autrichien à cheval sur les 18ème et 19ème siècles: aimer charnellement sa patrie charnelle, ne jamais rien entreprendre contre elle, même si de mauvais bergers politiciens la rendent momentanément folle (il pensait à la “Révolution brabançonne” de 1789), mais, en respectant ce serment et cette fidélité, il faut simultanément se mettre au service d’un loyalisme plus élevé, celui de l’Empereur et de l’Empire, incarnation de la civilisation européenne, dont Charles de Ligne fut un doux et charmant exposant, aimé de Paris (celui de Marie-Antoinette) à Vienne et de Vienne au Saint-Pétersbourg de la Grande Catherine II. L’imitation de ce Prince de Ligne nous permettrait d’être les agents aimés de cette belle et grande Europe, aujourd’hui culbutée dans les affres suscités par l’inéluctable Kali Yuga. Mais après la mort des dieux, après le Ragnarök, il aura un nouveau matin. Soyons les derniers d’hier et les premiers de demain. Nous le pouvons —Yes, we can— car nous détenons les bonnes références, nous sommes, nous, animés par la “longue mémoire”.

Propos recueillis par Bertrand Goffic.

(Namur, janvier 2012).

De republikeinse uitdaging

Ex:

http://vlaamserepubliek.wordpress.com/2012/01/03/de-republikeinse-uitdaging/

 

De republikeinse uitdaging

3 januari 2012

by : Johan Sanctorum

Pleidooi om het begrip “cultuurnatie” op te frissen

Vlaamse_leeuw.jpgVoor wie er nog aan moest twijfelen: minister-president Kris Peeters is niét voor Vlaamse onafhankelijkheid. Die vaststelling lijkt op het intrappen van een open deur, maar de laatste weken was daar enige verwarring over ontstaan, o.m. door een hoogstvreemde oproep aan Kris Peeters vanwege een zekere Jan Rogiers, broer van de overleden CD&V-topmedewerker Kris Rogiers, om “over te stappen naar de partij met de zuiverste, onbezoedelde en humane Vlaamse lijn”, zijnde de N-VA, die statutair nog altijd een oprichting van de Vlaamse republiek beoogt.

Uiteraard kwam daar geen antwoord op, maar als proefballon kan het tellen. En zou een grootscheepse “inbraak” van de CD&V in de N-VA geen gedroomde tactiek van het Trojaanse paard zijn, onder het motto “If you can’t beat them, joint hem”? De natuurlijke aanleg van Bart De Wever om met centrumrechts te flirten zou een en ander vergemakkelijken, en de belegen droom van een Vlaamsnationaal-Christelijk réveil nieuw leven inblazen, als het ware onder een opgefriste AVV/VVK-vlag.

Maar op maandag 2 januari zette Kris Peeters in De Standaard de puntjes op de i: neen, de CD&V kiest niet voor een onafhankelijkheidsverhaal, maar wel voor de deelstaatlogica binnen de Belgische federale context. Het is goed dat hier duidelijkheid over geschapen wordt: de positie van de CD&V is en blijft belgo-reformistisch, waarbij excuusflaminganten en onderkoningen zoals Kris Peeters, voorafgegaan door o.m. Gaston Geens en Luc Van den Brande, een mistgordijn moeten optrekken. Hun taak is om de republikeinse tendens, de onvermijdelijke politieke vertaling van de beruchte Vlaamse “onderstroom”, af te buigen naar een utilitair-pragmatisch compromismodel dat vooral gericht blijft op de verbouwing van het Belgische huishouden.

De Vlaamse christendemocraten hebben daarin een indrukwekkende staat van dienst. Het redden van de Belgische meubelen was onder Gaston Eyskens al de missie van de eerste staatshervorming in 1970, waar de Vlaamse meerderheid definitief werd geneutraliseerd via de beruchte grendelgrondwet. Als compensatie kregen we een jaar later een Cultuurraad, die zichzelf daarna tot “Vlaams parlement” zou bombarderen, zonder ooit de bevoegdheid te hebben van een echt parlement. Men denke ook aan de Byzantijnse discussies over een “Vlaamse grondwet”, die zo niet mocht heten, omdat die anders in tegenspraak zou komen met… de Belgische grondwet. Al deze mislukte eieren zijn uitgebroed onder CVP- en CD&V-kloekhennen, in dienst van een neo-Belgicistische agenda.

Vandaag klinkt het Peeters-pragmatisme vooral door in de talloze actieplannen en promotiecampagnes, gaande van de fameuze cuberdons (“neuzekens”, zie afbeelding) tijdens het Belgische EU-voorzitterschap, tot ronkende maar weinig substantiële “innovatieprojecten” zoals Vlaanderen in Actie: marketingballonnen die de Vlaamse regering tot op vandaag lanceert om het politieke onafhankelijkheidsthema te overstemmen.

Vlaanderen onder Di Rupo: een schrik-bewind?

En met succes. 541 dagen federale regeringscrisis hebben de Vlamingen, mede dankzij de ratingbureau’s en het Di Rupo-theater mentaal op de knieën gekregen. Ze hebben zich verzoend met een eeuwigdurend regime van lopende zaken. Er is nooit een separatistische meerderheid geweest, maar nu durft zelfs de N-VA het woord “splitsing” niet meer hanteren, zich bewust van het feit dat de tijdsgeest zich niet meer leent tot politieke avonturen, laat staan een revolutie. Volgens het conservatief adagium van De Wever heet het nu dat vooral de “middenklasse” moet worden beschermd,- een hypothetische categorie van welstellenden die zwalpt zoals het Medusa-vlot: iedereen probeert in het veilige midden te blijven, en wie van de rand afglijdt heeft pech gehad.

De schrik zit er dus in, Lamme Goedzak is helemaal terug. Terwijl, contradictorisch genoeg, de Waalse socialistische vakbond tegen “haar eigen” premier actie voert, bibbert de Vlaamse kleinburger en dankt de heer dat we een federale regering hebben. De N-VA kan, met haar heterogene achterban, dit jaar nog wel een lokale verkiezing winnen, maar neem van mij aan dat het woord “onafhankelijkheid” niet zal voorkomen in de electorale slogans. Het idee leeft sterker dan ooit dat België om den brode moet geregeerd worden, en dat Vlaanderen zich moet tevreden stellen met het afknabbelen van bevoegdheden, om vooral zijn “middenklasse” te vrijwaren. Het fameuze centenflamingantisme dus. Onafhankelijkheid wordt daarbij als een irrealistische en zelfs catastrofale optie voorgesteld (K. Peeters: “Ik durf zelfs denken dat een volledig onafhankelijk Vlaanderen ons veel pijn zou doen, en ons jaren achteruit zou slaan”, DS, 2/1/12).

    De schrik zit er dus in, Lamme Goedzak is helemaal terug: de Vlaming heeft zich verzoend met een eeuwigdurend Belgisch regime van lopende zaken.

Deze collectieve Vlaamse depressie is eigenlijk veel erger dan het feit Di Rupo-I op zich, met zijn kwakkele representativiteit. Het idee dat wij met een propere lei kunnen beginnen vanuit een historisch herstelpunt, en dat Vlaanderen zich als autonome natie kan profileren die op alle gebieden het verschil kan maken (sociale zekerheid, milieu, tewerkstelling, asiel en migratie,…) , is gedegradeerd tot een doemdenkbeeld. Dat is ook de reden waarom de francofonie, veel slimmer en listiger dan de Vlaamse meerderheid (zie ook verder), op een zeker ogenblik met een “Plan B” op de proppen kwam, zijnde een splitsingsscenario. Dat was nooit een ernstige optie, maar daarmee kon de Vlaamse weerbaarheid uitgetest worden, en die bleek nul komma nul.

Vanaf dan kon het chantagespel beginnen en kreeg het “Vlinderakkoord” vaste vorm, met als protagonisten de zielige hansworsten Beke en Decroo die met hun rug tegen de muur stonden, terwijl de Vlaamse linkerzijde, onder leiding van Caroline Gennez, hen mee het pistool tegen het hoofd hield. De schrik voor de hete adem van de N-VA, maar ook de angst voor een desintegratie van de Belgische staat, dreef de traditionele partijen tot het even traditionele compromis (met Guy Verhofstadt als deus-ex-machina), waarin BHV werd gesplitst, maar waarin bijvoorbeeld gans Vlaams Brabant geruisloos in een Brusselse invloedssfeer werd opgezogen,- de zgn. “metropolitane gemeenschap”. Dat laatste is dan weer een essentiële hoeksteen in een verfransingsstrategie die de Vlaamse meerderheid moet breken.

Het verdriet van België

Dat brengt ons op de valstrik van het meerderheidsdenken binnen de Belgische constructie. Onlangs las ik het tractaat “De Kwantumsprong – De wet breken om recht te halen” van Brecht Arnaert. Volgens zijn stelling volstaan vijf minuten Vlaamse politieke moed om, met de boekjes van de obscure filosofe/romanschrijfster Ayn Rand in de hand, de grondwet eenzijdig aan te passen, de grendels te verwerpen en onze meerderheid voluit te laten spelen. “De wet breken om recht te halen”, klinkt het stoer. België hoeft dan niet afgeschaft te worden, de Vlaamse onafhankelijkheid is “een zwaktebod”. In Laken springt koning Albert zonder twijfel een gat in de lucht na het lezen van dit epistel: dit is een variant op de participationistische these die al 60 jaar meegaat, en die enkel méér Belgische ellende heeft opgeleverd. In wezen maakt B. Arnaert dezelfde denkfout als David van Reybrouck, die met zijn G-1000 een door-en-door vermolmde constructie wil renoveren.

Ik ga hier niet verder in op de tamelijk lachwekkende premis van het objectivisime, dat een politieke waarheid logisch “te bewijzen” zou zijn,- dat is een vrome illusie die ik sinds Aristoteles dood waande. We leven in een gespleten universum en politiek gaat over keuzes en strijd tussen “waarheden”. Het is niet alleen aan de politicus, maar vooral ook aan de burger om partij te kiezen: ook in de Twittermaatschappij zullen wij (opnieuw) moeten leren kleur bekennen, meningen staven, het conflict aangaan, en inzien dat dit allemaal ook existentiële gevolgen heeft, m.n. onze materiële en sociale conditie bepaalt.

    Het verdriet van België is een verhaal van dubieuze vertalingen, uitgelokte misverstanden, francofone listigheid en Vlaamse dislexie.

Wat wel een uitgebreide repliek verdient, is de idee dat de Vlaamse meerderheid binnen het Belgische staatsverband de puntjes op de i zou kunnen zetten. Ten eerste is dat in demografisch en sociologisch opzicht een tweesnijdend zwaard. De Vlaamse meerderheid is namelijk niet zo solide en duurzaam als men gemakshalve aanneemt. Op microniveau is er het fenomeen van de rand rond Brussel, de inwijking en de verfransingsdruk, waarbij Vlaamse gemeenten op volstrekt “democratische” wijze onder een Franstalig bestuur komen. Grendels hoeven hier niet, men speelt gewoon de wet van het getal.

Op makroniveau hanteert de Belgische francofonie een andere tactiek, namelijk deze van een asiel- en migratiepolitiek die duizenden nieuwe (hoofdzakelijk Franstalige) Belgen oplevert, aangevuld met Vlaamse allochtonen, door links gerecupereerd, die de PS-agenda gedwee zullen uitvoeren. De schattingen zijn, dat binnen 10 tot 20 jaar de Vlaamse meerderheid in België geabsorbeerd zal zijn door Frans- en anderstaligen. Vanaf dan, ik geef het u op een briefje, zullen de grendels opgegeven worden, uiteraard niet zonder nieuwe Vlaamse toegevingen op financiëel of territoriaal vlak.

Maar het finale argument gaat zelfs niet meer over getallen. België is gewoon gemaakt en ontstaan vanuit een Latijnse logica: het is een casino waar we uiteindelijk altijd verliezen, ook al rinkelt de jackpot eventjes om de sfeer erin te houden. Met de regelmaat van een de klok mispakken de Vlamingen zich aan de Machiavellistische logica van de francofone onderhandelaars, en dat zal niet anders zijn bij een “ontgrendelde” Vlaamse meerderheid. De wet zal niet “gebroken worden om recht te halen”; ze zal, binnen het Belgisch compromismodel, aangepast worden via een tekst die steeds twee lezingen toelaat, maar waarbij de francofone lectuur het uiteindelijk haalt. We hebben dan gewoon… niet goed gelezen. Want lezen is tussen-lezen (intel-legere voor de Latinisten): we zijn met andere woorden een slag dommer. Het verdriet van België is een verhaal van dubieuze vertalingen, uitgelokte misverstanden en Vlaamse dislexie.

Indianenverhalen

Bekijk hoe de aanslepende onderhandelingen, voorafgaand aan Di Rupo I, evolueerden: de onthullingen in De Standaard/Le Soir zijn bepaald ontluisterend voor o.m. de partijvoorzitters Wouter Beke en Alexander Decroo. Zie bv. “De twee atoombommen die niet mochten lekken” van 18 december j.l.

Als boertjes lieten ze zich om de tuin leiden door de francofone onderhandelaars, die in een (ongetwijfeld Franstalig geredigeerd tekstontwerp) allerlei valstrikken listig verstopt hadden.

Milquet confronteerde Beke met de kleine lettertjes van het getekend akkoord over de nieuwe staatshervorming (het ging over een tweetalige Kamer van de Raad van State, die alle geschillen aangaande de faciliteitengemeentes zou kunnen beslechten), waarna de CD&V-voorzitter begon te jammeren dat dit niet aan “de geest” van de tekst beantwoordden. De geest van de tekst! Men hoort het nauwelijks onderdrukte Homerisch gelach van de francofone onderhandelaars tot hier. Vlamingen die niet eens kunnen lezen, en zich dan op “de geest” van de tekst beroepen!

    Dat ontbrekende inzicht in de cultuurkloof maakt, dat de Vlamingen blijven verliezen, hoe hard ze ook werken en hoe soepel of “onverzettelijk” ze zich ook opstellen.

Ik koester een mengeling van morele verontwaardiging en intellectuele bewondering voor die francofone goocheltechniek van de dubbele bodem. Maar alleszins toont ze aan dat er in elke federale concertatie een soort ingebouwde, duurzame “cultuurclash” sluimert. De Franstaligen goochelen, de Vlamingen kijken ernaar, tot ze merken dat hun zakhorloge weg is. In de Belgische slapstick worden de Vlamingen eigenlijk met de minuut dommer, omdat alle IQ-criteria tijdens de interlinguïstische (intercommunautaire/interculturele) confrontaties in het voordeel van de francofonie spreken. Zij bepalen de spelregels in een metataal die ik gerust “Belgisch” durf noemen. Ik heb het ooit vergeleken met de Indianen in Noord-Amerika, die hun land verkochten voor een paar kratten whiskey, omdat ze in hun taal niet eens een woord hadden voor “landeigendom”.

De verleiding om in te gaan op de francofone diplomatieke logica, waarachter een element van Cartesiaans rationalisme, Romeinse verglossing (“de kleine lettertjes”) én Machiavellistische sluwheid schuilgaat, plaatst ons bijvoorbaat in een ongelijke situatie. Dat ontbrekende inzicht in de cultuurkloof maakt dat de Vlamingen blijven verliezen, hoe hard ze ook werken en hoe soepel of “onverzettelijk” ze zich ook opstellen. Elke vertaling is een verraad (traditore, traduttore, om het in de taal van Di Rupo te zeggen).

Van taalgemeenschap tot cultuurnatie

Wim Delvoye, de man die op zijn eentje de Vlamingen actuele kunst leerde haten

De bakkerin bij ons in Overijse lost het op haar eigen manier op. Zij neemt het zekere voor het onzekere en spreekt de klant in het Frans aan, volgens het principe van Pascal: betreft het een francofone inwoner, dan is die tevreden, en als het een Vlaming is, voelt die zich niet gekrenkt. Eventueel wordt de rest van de transactie tussen twee Vlamingen zelfs in het Frans afgesloten (al meegemaakt!), uit pure hoffelijkheid en behoefte om de talenkennis te etaleren.

Op die manier zou “het probleem” van de Vlaamse meerderheid nog veel sneller kunnen opgelost worden dan de grootste optimisten aan gene zijde van de taalgrens durven veronderstellen: België heeft ons zoveel hoffelijkheid en diplomatie bijgebracht, dat we alleen nog slecht Frans en bekakt Nederlands spreken. Dat is zelfs geen deelstaat meer waard. De mythe van de meertalige Vlaming heeft alleen maar het idee versterkt bij anderstaligen (ook bij EU-werknemers overigens) dat het Nederlandsbij onsnauwelijks nog een voertaal is, waarom zouden ze dan nog de moeite doen om haar aan te leren.

Dat brengt ons bij de these van het cultuurflamingantisme, dat voor mij boven alle economische argumenten staat: zonder volwaardige cultuurruimte, die leeft via de taal en die politiek-staatkundig is afgebakend, blijven we negers met een stropdas in het koloniale Congo. We zijn dus gedoemd om het Nederlands te herontdekken, zoniet worden we opgeslokt door het zwarte gat van de indifferentie.

Een taal is namelijk veel méér dan een communicatiemedium, een “gebruikstaal”: onder het vocabularium zit een universum vol associaties, nuances, gevoelswaarden. De rijkdom van een taal situeert zich voorbij het register van de strikte betekenissen, in het onnoemelijk uitgebreid reservoir dat men het “collectief bewustzijn” noemt,- alle rationele-, ethische- en gevoelswaarden die we min of meer delen, zonder dat er iets van op papier staat. Daaronder zit dan nog iets veel vager en alomvattender, namelijk het “collectief onderbewuste”, ook wel de onderbuik genoemd,- een vettige stroom van driften en energieën, angsten en verlangens, die met onze historische conditie verbonden zijn.

    Het Belgicisme van de Vlaamse culturele elite heeft haar zodanig van de “onderstroom” geïsoleerd dat de Vlaming zich bepaald “kulturfeindlich” gaat gedragen,- een fatale neerwaartse spiraal.

Het is aan de schrijvers, kunstenaars en intellectuelen om dit reservoir steeds weer om te woelen en te herkneden tot actuele cultuurobjecten die de gemeenschap in haar totaliteit aanspreken. We spreken dan over een “cultuurnatie”. Ze is pluriform en homogeen tegelijk. Frankrijk en Duitsland hebben zich, ondanks alle multiculturele en Angelsaksische druk, als dusdanig weten te handhaven, net omdat ze fundamenteel “ééntalig” zijn. Er loopt een lijn van Luther over Goethe tot Brecht, en een andere van Molière over Proust tot Houellebecq, die deze “cultuurgenen” doorgeeft en horizontaal distribueert. Zeker had elk van deze literatoren een eigen persoonlijkheid en stijl, en beslist waren ze allemaal wereldburgers. Toch maak ik me sterk dat ook een winkelbediende in de Duitse Aldi een stukje Goethe spreekt en denkt. Ik weet het zeker, ik heb ooit een verpleegster van het Rode Kruis Wagner horen zingen op de parking van de Bayreuther Festspiele, hoewel ze daar alleen maar stond om gasten op te vangen die appelflauwtes kregen van de warmte. En zelfs al heeft die Aldi-cassière geen letter van Goethe gelezen, het zit in haar accent, haar intonatie, zinsbouw, woordkeuze, het ritselt in haar ondergoed. Zelfs Nederland cultiveert dat taalkundig-verbindend merkteken, en kijkt meewarig-vertederend naar de polyglotte, hoffelijke Vlaming die in vijftien talen stottert.

Het is dan ook een enorme handicap dat onze cultuurmakers zich van hun emanciperende missie niét bewust zijn. De Vlaamse schrijvers spreken en schrijven onze taal niet, ze frazelen maar wat in het luchtledige, ook en vooral net wanneer ze “volks” proberen te doen en in pissijntaal vervallen, genre Dimitri Verhulst. Het Belgicisme van de Vlaamse culturele elite heeft haar zodanig van de “onderstroom” geïsoleerd dat de Vlaming zich bepaald “kulturfeindlich” gaat gedragen,- een fatale neerwaartse spiraal. De hilariteit omtrent de kakmachine van Wim Delvoye, de Baas Gansendonck van de Vlaams-Belgische kunstwereld, is prototypisch.

Zolang deze Vlaamse kloof zich doorzet tussen elite en basis, zal ook de Belgische dubbelzinnigheid blijven overleven. Een verpletterende verantwoordelijkheid die onze boekenbeurscoryfeeën dragen. En de media die hen ten tonele voeren.

Res Publica

Objectief is er geen enkele reden om het Nederlands als cultuurtaal te handhaven. We kunnen ons snel laten verfransen, in afwachting dat het Engels de wereldtaal wordt. We kunnen dan de grenzeloze wereldcultuur assimileren, niets is makkelijker en voordeliger. Objectief is er ook geen reden om voor Vlaamse onafhankelijkheid te ijveren. De geldstromen van de sociale zekerheid kunnen zich omdraaien, en België geniet internationaal en Europees nog altijd meer krediet dan Vlaanderen.

De “clou” ligt elders. Het gaat om intersubjectiviteit en het niveau van de communicatie, die uiteindelijk het niveau van de democratie bepaalt. Sociale cohesie, niet als kleinburgerlijke gezelligheid maar als hoogburgerlijk bewustzijn van een gedeelde cultuur. De taalverloedering die zich in de audiovisuele media afspeelt, de VRT voorop, mikt, ik vrees zelfs bewust, op het indammen van die bewustzijnsverruiming. Men heeft schrik van het volk en zijn revolutionaire potentie, daarom moet het ondergedompeld worden in lullig amusement en sentiment, de leutigheid van de talkshow en de BV-ersatzcultuur waar, godbetert, blijkbaar ook Bart De Wever zich heeft ingegooid.

    We moeten niet “inbreken” in een versleten grondwet, we moeten er een nieuwe opstellen, voor een nieuw land in een nieuwe tijd.

Terwijl wij naar een politiek-bewuste cultuur en een cultureel-bewuste politiek moeten toegroeien, ver boven en buiten de trivialiteit van het mediacircus. Ik heb vroeger al herhaaldelijk gewezen op de “literaire” dimensie van een collectief grondwetsontwerp. Het kan hier niet zomaar gaan om een quasi-onbegrijpelijk document, in elkaar geknutseld door juridische techneuten. Integendeel, moet dit constitutioneel charter haast een gedicht zijn dat door een kind van zes gekend, begrepen en doorvoeld is. De stenen tafelen van een volksgemeenschap dus. Een Bill of Rights, een oer-konde die vijfhonderd jaar moet meegaan. Ik weet het, het klinkt als waanzin in een apokalyptische tijd. Toch is die nieuwe grondwet het enige dat ons kan redden van de totale nivellering en atomisering.

We moeten niet “inbreken” in een versleten grondwet, we moeten er een nieuwe opstellen, voor een nieuw land in een nieuwe tijd. Aan dat ontwerp moet een intens debat voorafgaan. De democratie speelt zich primair niet af in het parlement noch in het stemhokje, en ook niet in Thurn & Taxis, maar op straat, in de huiskamers, de cafés, de internetfora. Over alle ideologische grenzen heen, en zonder cordons, zullen de Vlamingen opnieuw moeten leren hun mond open doen en een pen leren hanteren, de kunst van de onenigheid ontdekken. De Vlaamse debatkring Res Publica is uitdrukkelijk met het oog daarop van start gegaan: als een intersubjectief platform dat uiteindelijk Vlaanderen cultureel, intellectueel én politiek (weer) op de kaart moet zetten. Het einddoel is een volwaardige eigen natie en niets minder, niet omdat we zo’n verstokte nationalisten zijn, maar vooral omdat we in een soort collectieve beschaving blijven geloven.

België kan in dat verhaal geen rol spelen, tenzij deze van distopie, negatieve plek, verzameling van ondeugden en voorbeelden hoe-het-niet-moet. De republikeinse uitdaging is anderzijds project en utopie tegelijk. Ik blijf erin geloven, meer dan ooit, ondanks de hatelijkheden van links en het reactionair geroezemoes van rechts. Voorbij het klassieke Vlaams-nationalisme moet hij ons bevrijden van alle oude kwalen en frustraties. Een kwestie van durven en springen. Herinneren, maar vooral ook vergeten, achter ons laten. Er leeft, dat weet ik zeker, ook en vooral bij de doorsnee-Vlaming, een verlangen naar een “oerkonde” die een tijdperk afsluit en er een ander opent. Een tekstuele caesuur dus, een dwarssnede in de geschiedenislijn.

Ik zal eindigen met een zeer politieke uitspraak van Sören Kierkegaard, iemand die in een taal schreef met nog minder beoefenaars dan het Nederlands:

“Het is beslist waar, zoals de filosofen zeggen, dat het leven naar achteren moet worden begrepen. Maar ze vergeten de andere kwestie, dat het leven naar voren moet worden geleefd.”

Johan Sanctorum

3/1/2012

samedi, 07 janvier 2012

Turkey preparing for an attack against Greece?

turkish-army-faun-trackway-1024x768.jpg

Turkey preparing for an attack against Greece?

Although the Turkish political leadership is trying to convince Greece of its benevolent intentions, its acts ultimately betray the reality of its true visions. So after the start of deliveries of the first 52 offensive amphibious bridges Samur FNSS which can erase from the map in a few minutes the obstacle called Evros River and the acquisition of dozens of armored demining vehicles type Keiler, the Turkish Armed Forces completed receiving a few days ago 40 heavy HGMS (Heavy Ground Mobility Systems).

Thanks to these HGMS the Turkish engineering corps can prepare the ground for the transportation of tanks or other heavy vehicles on the opposite bank of the river Evros, while of similar importance is the use of these system for landing operations for which the Turkish Army gets constantly trained opposite the Greek island of Chios.

These heavy HGMS were ordered to the British company FAUN MV Ltd. and Iveco in 2008 costing 21.5 million.

They were delivered only, and we emphasize that, to the engineering units of the 1st Army in Eastern Thrace. The HGMS of the British company can withstand vehicles with weight exceeding 70 tonnes, even on soft ground (eg, river bank or shore) and they are carried on the truck Trakker 8 × 8 of the Italian company Iveco. They are easy to use thanks to the simple laying system that these trucks have.

The walkways are made of high strength aluminum alloy 54.7 meters long and 4.5 meters wide, and their total area reaches 228 square meters.

It is worth noting that this acquisition is the second of the Turkish army, since a few years ago had acquired another ten of such systems. The continued insistence of Turkey to acquire offensive systems for crossing barriers and removing obstacles as well as systems that facilitate the handling of heavy armored vehicles have a single purpose to prepare the Turkish Armed Forces to carry out offensive operations.

While the Greek political and economic elites praise Erdogan’s government, the leadership of the Turkish Armed Forces with these armament programs is methodically preparing for the implementation of invasion plans or at least for the intimidation of the Greek government.

Hopefully, after the explanations requested by the Greek government from Turkey regarding the statements of the former Turkish Prime Minister Mesut Yilmaz on the arsoning of Greek forests by agents of MIT will also seek new explanations by the Erdogan government why Turkey during the recent years is systematically buying military equipment for overcoming water obstacles.

vendredi, 06 janvier 2012

Tragedia en el Mare Nostrum ―qué demonios pasa con Libia

Tragedia en el Mare Nostrum ―qué demonios pasa con Libia

Ex: http://europa-soberana.blogia.com/


La primavera árabe en general y la Guerra de Libia en particular, son los acontecimientos estelares del 2011, junto con los movimientos de protesta supuestamente espontáneos que están teniendo lugar en todo Occidente. A diferencia de Iraq, con Libia no se han visto a las masas populares gritando "No a la guerra". Existen varios motivos. Uno de los más importantes es que la Guerra de Libia no ataca a los intereses de la oligarquía capitalista de Francia, sino que los defiende. El otro es la desinformación: según nuestros medios de comunicación, el mundo árabe ha decidido perrofláuticamente que quiere ser demócrata como sus "admirados" prohombres de Occidente, y Gaddafi era simplemente un sátrapa que había que derribar. Pero ¿acaso no lo era Saddam Hussein? ¿Y no lo siguen siendo Mohamed VI (la familia real acumula el 75% del PIB de Marruecos) y el rey saudí Abdulá? ¿Por qué ha atacado la OTAN a Libia y por qué se ha armado, en tiempo récord, un extraño movimiento "rebelde", que en buena parte no es ni siquiera libio?

 

Para ver el origen de los problemas actuales, es necesario retroceder en el tiempo. Toda la orilla sur del Mediterráneo fue, durante la Antigüedad, de influencia fuertemente europea. Desde los bereberes del Rif hasta los faraones egipcios, los norafricanos eran de orígenes más europeos que africanos. Los fenicios (fundadores de Tripoli), cartagineses, griegos (fundadores de Cirene), macedonios y romanos, batallaron y conquistaron la orilla sur del Mare Nostrum. Durante el Imperio Romano, toda la costa norte de África era de cultura genuinamente europea-clásica, y florecieron ciudades que aun hoy dejan translucir su esplendor pasado. Fue con la caída del Imperio Romano que el norte de África —la mitad del Mediterráneo— se perdió para Europa. Y aunque los bizantinos, españoles, venecianos y genoveses mantuvieron muchas plazas, el Islam, la entrada de la cultura árabe y finalmente el Imperio Otomano, haría que el Magreb se alejase definitivamente de Europa hasta la época colonial. En el Siglo XIX, con la revolución industrial y el progresivo retroceso del Imperio Otomano, Europa vuelve a ganar protagonismo en Noráfrica.

 

PROYECTOS COLONIALES EN ÁFRICA: ITALIA Y RUSIA

 

Durante la Conferencia de Berlín de 1884, las potencias europeas, tirando de escuadra y cartabón, se reparten el mapa de África como un inmenso pastel. Los países más influyentes ―Gran Bretaña y Francia―, se quedan con las partes más jugosas del pastel, y los menos influyentes se conforman con las migajas. Así, mientras que a los españoles se nos adjudicaba la minúscula Guinea Ecuatorial, los franceses y británicos se quedaron con vastos territorios, llenos de materias primas y de enorme valor estratégico. Estados Unidos, que seguiría siendo una potencia continental hasta la guerra contra España en 1898, fue el gran ausente del reparto. Italia, un país recién constituido 23 años atrás, tendrá que esperar aun años para reclamar su parte.

 

La conferencia de Berlín, que supuestamente buscaba un reparto sensato, no supuso ni la paz ni el orden en el continente negro: al contrario, los problemas acababan de empezar. Por un lado, aunque se habían designado esferas de influencia, estas esferas no se hacían efectivas hasta la toma de posesión formal, y por otro lado, todavía quedaban territorios independientes (Liberia y Abisinia) y territorios que aun pertenecían al Imperio Otomano (entre ellos, Libia).

 

Italia, que se había quedado sin colonias, miró hacia un espacio que no estaba en el punto de mira de ninguna potencia europea: Abisina (actual Etiopía). El emperador local, Menelik II, había pactado en 1890 que los italianos controlarían Eritrea, es decir, la costa. En 1893, alegó que la versión etíope del pacto difería de la versión italiana, y lo repudió, supuestamente para obtener una salida fiable al Mar Rojo. Los italianos cruzaron militarmente la frontera entre Etiopía y Eritrea, prendiendo la mecha de la Primera Guerra Italo-Abisinia.

 

Aunque Italia poseía superioridad tecnológica y armamentística, la victoria no pintaba tan fácil. Por un lado, los italianos eran pocos y carecían de una tradición militar sólida, y por otro, los etíopes no estaban solos: les apoyaba el Imperio Ruso. Alejandro III había concebido en 1888-89 un proyecto para establecer una "Nueva Moscú" a orillas del Mar Rojo, en lo que hoy es Yibuti. Al hacerlo, estaba entrando automáticamente en conflicto con franceses, italianos y británicos. El Zar incluso consiguió establecer contacto con las fuerzas del Mahdi (un líder rebelde que luchaba en Sudán contra los ingleses), mandando a un coronel cosaco, Nikolai Ivanovich Ashinov. Ashinov pretendía colaborar con Francia para utilizar a Etiopía como Estado-tapón ante el avance británico e italiano en el cuerno de África. Con ese objetivo lideró una expedición religioso-militar de 150 personas, que incluían un obispo, diez sacerdotes, veinte oficiales militares, y mujeres y niños. Pactó con una tribu local, se negó a entregar las armas a las autoridades francesas y estableció una colonia en Sagallo, Somalilandia Francesa (actual Yibuti). Rusia pretendía que esta colonia, en pleno estrecho de Bab el-Mandeb (bisagra entre el Mar Rojo y el Índico) sirviese para ejercer de contrapeso al control británico de Suez y al control turco del Bósforo, y como base para extender su influencia por todo el Cuerno de África. Sin embargo, los franceses despacharon dos barcos a la zona, dieron un ultimátum y bombardearon el asentamiento, matando a varios colonos (dos niños, cuatro mujeres y un hombre) y sofocando el sueño ruso cuando aun estaba en su cuna. Las colonias ultramarinas nunca se le dieron bien a la ultra-continental telurocracia rusa... pero el Imperio no cejó en su empeño de penetrar en África a través del Mar Rojo.

 

Localización de Sagallo (colonia rusa) y Adua (batalla entre Italia y Etiopía).

 

El Negus (emperador) etíope, atacado por los italianos, mandó una delegación diplomática (sus príncipes y su obispo) a San Petersburgo en 1895. Rusia respondió con asesores, armamento y algunos voluntarios, incluyendo un equipo de cincuenta soldados a las órdenes de un oficial cosaco del Kubán, el capitán Nikolai S. Leontiev. También mandaría a Alexander K. Bulatovich, una curiosa combinación de oficial militar de caballería, monje ortodoxo, geógrafo, escritor y explorador. Este hombre acabaría haciéndose asesor y confidente del emperador etíope. El Zar consideraba a Etiopía de alto valor estratégico debido a que poseía las fuentes del Nilo Azul, vitales para Egipto ―que ya estaba empezando a caer en la órbita británica. Además, el cristianismo herético practicado en Abisinia interesaba estratégicamente a los patriarcas ortodoxos rusos (igual que les sigue interesando a día de hoy todas las variedades cristianas de Grecia, Próximo Oriente e India).

 

Los italianos acabaron confiándose demasiado, y sufrieron una derrota humillante en la Batalla de Adua (1896): 7.000 muertos, 1.500 heridos y 3.000 prisioneros. A 800 combatientes askari (etnia eritrea considerada "traidora" y colaboracionista con Italia), se les mutiló, amputándoles la mano derecha y el pie izquierdo. La tasa de muertes sufrida por el Ejército italiano en Adua fue mayor que la de cualquier batalla europea del Siglo XIX, si todos los imperios han tenido sus desastres (Roma en Teutoburger, Gran Bretaña en Khyber, España en Annual, Francia en Dien Bien Phu, etc.), el de Adua fue sin duda el desastre italiano por excelencia. Hubo graves disturbios en las ciudades italianas y el gobierno del primer ministro Crispi se derrumbó. El Tratado de Adis-Abeba estableció claramente la frontera etíope-eritrea y obligó a Italia a reconocer a Etiopía como Estado soberano e independiente. Este desastre, a diferencia del español de 1898, fue un desastre a medias: Eritrea se convertiría en una próspera colonia italiana, donde se desarrollaría la agricultura, la industria, la arquitectura y el ferrocarril, mientras que Etiopía se veía privada de su salida al Mar Rojo.

 


 

 

En 1911, mismo año en el que empezaría la guerra de España en el Rif, la prensa italiana, representando los intereses de las oligarquías nacionales, empezó a pedir una invasión a Libia, pintándola como una tierra rica en minerales y asegurando que se trataría de un paseo militar, con una población nativa hostil a los otomanos y sólo 4.000 soldados turcos defendiendo la plaza. Además, Turquía ya estaba lidiando con una revuelta en Yemen, y la mecha estaba a punto de prender también en los Balcanes. El Partido Socialista, que tenía mucha influencia sobre la opinión pública italiana, adoptó una postura ambigua; Benito Mussolini, que por aquel entonces militaba en sus filas, se opuso a la guerra.

 

Tripoli, Tobruk, Derna y Al Khums cayeron rápidamente en manos italianas, pero una plaza estratégica turca fue más complicada de tomar: Bengasi. En las filas del Imperio Otomano luchaba un joven oficial llamado Mustafa Kemal Ataturk, posterior líder nacionalista turco. Los italianos también aniquilaron preventivamente las fuerzas turcas en Beirut (Líbano). 

 

Esta guerra fue precursora de la Primera Guerra Mundial y del desmembramiento del Imperio Otomano. Por primera vez, se vería el empleo militar de la aviación: la primera misión de reconocimiento aéreo y la primera bomba lanzada desde un avión. Italia fue pionera en la militarización del aire, en parte gracias a las teorías del general Giulio Douhet, que revolucionó la geopolítica afirmando que el espacio aéreo añadía una tercera dimensión a las tradicionales dos dimensiones de la guerra, que la supremacía aérea sería crucial en las guerras del futuro y que los bombardeos sobre infraestructuras civiles podían decidir un conflicto bélico. Douhet fue el gurú de los ataques aeroquímicos: consideraba que la aviación debía emplear primero bombas explosivas para destruir los objetivos, luego incendiarias para incendiar las estructuras dañadas y luego gas venenoso para impedir la acción de los bomberos y equipos de rescate. Estas tácticas brutales se enmarcaban en el novedoso concepto de la "guerra total". Irónicamente, serían los angloamericanos los que, tres décadas después, llevarían estos principios a sus últimas consecuencias, en los bombardeos masivos sobre Centroeuropa y Japón.

 


Ataturk (izquierda) con un oficial otomano y tropas beduinas locales.

 

Como resultado de la Guerra Italo-Turca, Roma obtuvo las provincias otomanas de Tripolitania, Fezzan, Cirenaica (que componen la actual Libia) y las islas del Dodecaneso (actual Grecia).

 

La Segunda Guerra Italo-Abisinia estalló en 1935, durante el régimen fascista. Los problemas fronterizos entre la Somalia Italiana y Abisinia, fueron la excusa de Italia para volver a invadir lo que hoy es Etiopía y derrocar al emperador absolutista Haile Selassie. Mussolini autorizó el uso de lanzallamas, armas químicas, la ejecución de prisioneros, las represalias y el terror hacia la población en general.

 

Este proyecto italiano, mucho más ambicioso que los anteriores, tenía por objetivo establecer un puente entre el Mediterráneo y el Índico —sin pasar por el canal de Suez— y a la vez atenazar al canal (Franco pensaba entrar en la guerra a favor del Eje, pero sólo si tomaban Suez, en cuyo casi él tomaría Gibraltar y el Mediterráneo quedaría asegurado como Mare Nostrum de nuevo; ése era el objetivo de toda la campaña del Norte de África, y de las luchas de Rommel y Montgomery en Tobruk y otros lugares).

 

Del mismo modo que los portugueses intentaban unir Angola (Atlántico) y Mozambique (Índico), y los alemanes Namibia (Atlántico) y Tanzania (Índico), para no depender del Cabo de Buena Esperanza ni de Suez o Gibraltar, los italianos pretendían conseguir una continuidad territorial entre Libia y la Somalia Italiana. Sudán, en manos del Imperio Británico, frustraba esta posibilidad.

 


Proyecto geopolítico de Italia (1940-41). Rojo: imperio italiano. Rosa: territorios ocupados. La idea de Italia era unir su colonia libia con sus posesiones en el Cuerno de África, o al menos establecer un puente de transporte. Ello le habría permitido a Roma obtener una continuidad territorial desde la costa mediterránea hasta la costa del Índico, emancipándose de su dependencia de Gibraltar, Suez, el Mar Rojo y Yibuti, y acercándose peligrosamente a Iraq e Irán (donde habrían podido enlazar con efectivos alemanes procedentes del Cáucaso). Al III Reich, que compartía frontera con Italia, esta salida al Índico le interesaba también. Como venía siendo habitual, el Imperio Británico ya había cortado de tajo por anticipado cualquier intento de burlar su control de Suez: los ingleses habían ocupado una franja continua de terreno que iba desde Egipto hasta Sudáfrica, y Sudán dividía el proyecto italiano. De un modo parecido, la colonia británica de Zambia frustraba las ambiciones de los alemanes (Namibia y Tanzania) y/o de los portugueses (Angola y Mozambique) de obtener una continuidad territorial desde el Atlántico hasta el Índico. La mayor parte de las bisagras oceánicas estuvieron siempre en manos del Imperio Británico. La versión moderna del sueño italiano, gestionada esta vez por Gaddafi, tenía una traducción sencilla e inaceptable para el atlantismo: China obtendría un puente desde el Índico hasta el Mediterráneo, pudiendo comerciar con Europa sin tener que pasar por Bab-el Mandeb (Yibuti, Yemen, Golfo de Adén, Mar Rojo) y el canal de Suez.

 

El sueño africano de Italia en el cuerno de África finalizó en 1941 con la caída de Eritrea en manos británicas, al final de la campaña de África Oriental. El emperador etíope Haile Selassie, que se había exiliado a Reino Unido, volvió al poder, y en 1952, la ONU reconocería la unión de Etiopía y Eritrea. En 1974, un golpe de Estado socialista derrocó a Selassie y convirtió Etiopía en un aliado del bloque comunista, en cierto modo coronando las antiguas ambiciones zaristas. Tras la caída del Telón de Acero, Etiopía y Eritrea se enzarzarían en cruentísimas guerras, que resultarían en su separación y en un tremendo caos en el Cuerno de África y en Yemen.

 

En tiempos más recientes, Gadafi había heredado el proyecto geopolítico italiano, lanzando un gasoducto hacia Italia (el Green Stream), aliándose con Sudán, entrando en el Cuerno de África y acercándose peligrosamente al Índico, al Atlántico, al Mar Rojo, y también al Congo. La respuesta del eje atlantista ha sido, entre otras cosas, independizar Sudán del Sur (banderas israelíes a destajo en la fiesta de independencia), apoyar al gobierno de facto somalilandés… y aniquilar Libia.

 

Los países-bisagra, a caballo entre dos o más mares (como España, Egipto, Israel, Arabia Saudí, Sudáfrica, Singapur, Yemen, Turquía, Panamá, etc.), son de una enorme importancia estratégica. En África, la única bisagra directa entre el Atlántico y el Índico es Sudáfrica, y es un país que queda lejos de los principales mercados (Europa Occidental, Norteamérica y Asia Oriental) y fuentes de materias primas (Golfo Pérsico y Caspio), interesándose más por Brasil e India, por lo que la opción marítima más común para Europa y China es tomar la ruta Gibraltar-Suez-Yibuti. Sin embargo, Gadafi estaba intentando fortalecer otras dos opciones. La primera era estabilizar, mediante pactos con las tribus locales, la franja (el Sahel) que va desde el Sahara Occidental hasta la costa de Sudán y Somalia. La segunda, intentar consolidar Sudán (en lugar del Atlántico) como la salida de las materias primas del Congo (la independencia de Sudán del Sur ha bloqueado el contacto de Sudán con las fronteras del Congo). China habría sido la gran beneficiada de esta política, ya que habría obtenido una salida al Mediterráneo y otra al Atlántico, sin tener que pasar por Bab el-Mandeb, Suez o Gibraltar.

 

EL REY IDRIS Y LA REVOLUCIÓN VERDE

 

Idris era un jefe local que en 1920 fue reconocido por el Imperio Británico como emir de Cirenaica, estableciéndose en la ciudad de Bengasi. Dos años después, fue también reconocido como emir de Tripolitania. Ese mismo año, que coincidió con las campañas militares italianas, Idris se exilió a Egipto, desde donde dirigió la guerra de guerrillas contra Italia. Durante la II Guerra Mundial, luchó junto con el Imperio Británico en contra del Eje. Libia saldría de la II Guerra Mundial como uno de los países más pobres del mundo, Idris volvería a establecerse como emir de Cirenaica y Tripolitania, y en 1951, con apoyo británico, se erigió como rey de Libia. Durante la época del panarabismo y los nacionalismos árabes, Idris mantuvo fuertes lazos con Reino Unido y Estados Unidos, albergando una base aérea estadounidense cerca de Trípoli y por tanto dándoles claramente la espalda a los movimientos árabes socialistas. Su política fuertemente pro-occidental le fue granjeando la enemistad de la mayor parte de su pueblo, especialmente después de la Guerra de los Seis Días (1967), en la que las principales potencias panarabistas se enfrentaron a Israel.

 

En 1969, por motivos de salud, el rey Idris abdicó en su sobrino. En Septiembre de ese año, mientras recibía tratamiento militar en el extranjero, su gobierno fue derrocado por un golpe de Estado encabezado por Muammar el-Gaddafi, un abogado y oficial militar de 27 años que inmediatamente estrechó lazos con el líder egipcio Nasser, propuso un frente común para luchar contra Israel y comenzó a liquidar a sus opositores políticos dentro de Libia. Además, nacionalizó el petróleo, expulsó las bases militares extranjeras, y se colocó, aunque no incondicionalmente, bajo el paraguas de la URSS.

 


Gaddafi en su época de ascenso político.

 

En 1977, Gaddafi proclamó la Yamahiriya (Estado de las masas, o autoridad de la multitud), por la cual dejaba de ser dictador, delegando su poder en asambleas locales y tribales, aunque siguió controlando el Ejército y la política exterior. El pensamiento político de Gaddafi es esencialmente social-tribal. Consideraba que la democracia representativa paralamentaria era una institución corrupta diseñada para dividir al pueblo y permitir la infiltración de entidades comerciales y financieras en los aparatos estatales. Defendía un partido único y una democracia directa y participativa, plagada de referéndums, no muy diferente a lo que muchos movimientos de tipo 15-M han pedido a lo largo de 2011.

 

El pensamiento político de Gaddafi se resume en el Libro Verde, a su vez dividido en tres libretos: La solución del problema de la democracia (Yamahiriya), La solución del problema económico (Socialismo) y La base social de la tercera teoría universal, títulos esenciales para comprender el régimen libio de entre 1969 y 2011.

 


 

 


PODEROSO CABALLERO ES DON PETRÓLEO ―POLÍTICA PETROLERA DE GADAFI

 

Libia tiene en común con otros países árabes que es pobre y desértico… pero con petróleo a raudales. Se trata del país africano con más petróleo y gas natural, un crudo de alta calidad y bajo coste de extracción. El 95% de los ingresos de exportación del país procedía del oro negro; sin él, Libia habría sido una especie de Yemen mediterránea. Obviamente, esta enorme riqueza requiere un modelo político, económico y social estable para administrarla. El modelo de la mayor parte de petro-regímenes árabes (Arabia Saudí, Emiratos Árabes, Qatar, Kuwait, Bahrein, etc.) es sencillo: una minúscula e impresentable oligarquía de familias reales, emires y jeques da manos libres a las multinacionales petroleras occidentales (destacando British Petroleum, Exxon Mobil ―Esso en Europa―, Chevron-Texaco, Royal Dutch Shell, etc.), y a cambio, éstas suministran a las oligarquías (fuertemente relacionadas con los servicios de Inteligencia de Reino Unido, Estados Unidos e Israel) una corriente ininterrumpida de dólares recién impresos y sin ningún tipo de respaldo. En Washington, la Reserva Federal imprime dólares y es como si imprimiese petróleo ―es el sencillo e inmoral negocio del petrodólar, que ya desencadenó en 1973 la Guerra del Yom Kippur. Estos petrodólares tienen, por lo general, dos salidas:

 

1- Financiar los caprichos de los jeques, por ejemplo: colecciones enteras de Rolls-Royce (uno de cada color del arco-iris), rifles de caza con doble cañón y doble cerrojo, centros mundiales del lujo como Burj-Dubai, palacios decorados con pieles de felinos, playas privadas, fiestas orgiásticas, propinas millonarias, camiones de talla mastodóntica, mansiones en el extranjero, cuentas en paraísos fiscales, pagar los destrozos de una fiesta en un hotel de cinco estrellas y cualquier vicio imaginable. Los típicos lujos de nuevo rico, propios de una casta sin tradición, que acaba de salir del tercermundismo más absoluto y que no tiene ni idea de qué hacer con tanto dinero, de modo que cae en manos del consumismo más atroz.

 

2- Financiar el radicalismo islámico sunnita, especialmente de la rama salafista. A través de redes comerciales, financieras y de Inteligencia, el dinero va a parar a las mezquitas, madrasas y células terroristas de Europa, el Magreb, Chechenia, Asia Central, India, Nepal, Bangla-Desh y especialmente Pakistán (donde engendró el movimiento talibán). Con esto se persiguen muchos objetivos: contener la expansión de la influencia chiíta (que es un gravísimo problema para el atlantismo, especialmente en el Golfo Pérsico), cristiana-oriental (muy relacionada con Rusia) o en su día de la expansión soviética, tener una excusa para intervenir militarmente en el continente eurasiático, desestabilizar y balcanizar espacios enteros haciendo inviables las rutas comerciales continentales, derrocar regímenes hostiles, etc.

 

Por tanto, puede decirse que el dinero de la mayor parte del petróleo árabe no va precisamente a mejorar las condiciones de vida de los pueblos árabes. Dicho pueblos viven en dictaduras fundamentalistas donde está prohibido cantar, bailar, beber alcohol o escuchar música, donde las mujeres deben ir tapadas y no pueden conducir o salir a la calle solas, y donde la homosexualidad se pena con la muerte ―mientras que las petro-élites poseen playas privadas con prostitutas en bikini y se montan orgías homosexuales con drogas, música occidental, alcohol a mansalva, etc.. Éste es el tipo de régimen político árabe opresivo, despótico, aliado del atlantismo y que nunca será bombardeado por la OTAN.

 

La Libia del rey Idris caminaba hacia este sistema, hasta que en la década de los 70, Gaddafi comenzó a nacionalizar las compañías petroleras al estilo socialista. De este proceso surgiría la empresa estatal conocida en el ámbito internacional como National Oil Corporation (NOC), que antes de la guerra producía alrededor del 50% del petróleo libio. Gaddafi era bien consciente de que su país, pobre y con una población de menos de 7 millones, debía jugar bien la carta del petróleo si quería tener un peso en el panorama internacional, o al menos para no ser arrollado por el imperialismo de otras potencias y poder dedicar sus beneficios a la construcción de escuelas, universidades, hospitales e infraestructuras diversas (carreteras, puentes, ferrocarril, acueductos, una planta de acero en la ciudad de Misrata, etc.). Muchos beneficios petroleros incluso eran ingresados directamente en la cuenta corriente de cada ciudadano libio. Con razón diría la revista "African Executive" en 2007 que los libios "a diferencia de otros países productores de petróleo como Nigeria, utilizan los beneficios del petróleo para desarrollar su país".

 


Logo de la National Oil Corporation (NOC) de Libia.

 

En 2003, Gaddafi condenó la Guerra de Iraq y provocó la ira de Arabia Saudí al decir que la Kaaba de La Meca estaba "bajo el yugo de una ocupación americana", pero cuando cayó Baghdad, se dio cuenta de que tenía que cambiar su política exterior y dejar de ser un Saddam Hussein del Mediterráneo, so pena de acabar como el susodicho y con su país arrasado y ocupado. Jugó la única carta que tenía: la del petróleo, abriendo las puertas de Libia a las compañías extranjeras. Enseguida, Occidente abolió las sanciones contra Trípoli, y las petroleras occidentales acudieron con grandes expectativas. Es la época del amigueo entre Occidente y Libia, es la época de las relaciones diplomáticas, del levantamiento de sanciones, de las disculpas, de las famosas fotos de Gaddafi con los mismos dirigentes internacionales que años después promoverían su derrocamiento o lo dejarían caer.  

 

Sin embargo, las compañías occidentales quedarían decepcionadas por esta imagen aperturista. Bajo el sistema de contratos "Epsa-4", el Gobierno libio concedía licencias de explotación petrolífera sólo a las compañías que le otorgaban a la petrolera estatal NOC la mayor parte del petróleo (en ocasiones, hasta el 90%). El ex-presidente de ConocoPhillips en Libia [1], Bob Fryklund, dijo específicamente que "A escala mundial, los contratos Epsa-4 eran los que contenían las condiciones más duras para las compañías petroleras". La traducción de esto es que Gaddafi quería asegurar que la mayor parte de beneficios de la explotación del petróleo revirtiesen en su país, y que si una compañía extranjera quería beneficiarse del petróleo libio, pagase por ello.

 


El destino de las exportaciones petroleras de Libia. Los porcentajes no son exactos y variaron con el tiempo, pero dan una idea. Nótese el papel de Italia y Alemania. Antes de estallar la guerra, aproximadamente el 85% del petróleo libio exportado iba para la Unión Europea. 

 

Por tanto, Gaddafi permitía que las compañías occidentales obtuviesen beneficios, pero no los suficientes: buena parte iba para el Estado libio. En 2009 se empezó a rumorear que era inminente una nueva ronda de nacionalización del petróleo y subida de precios, y además Gaddafi estaba a punto de sellar pactos privilegiados con dos nuevos protagonistas emergentes que empezaban a asomar tímidamente sus tentáculos por el Mediterráneo: China y Rusia.  

 

Los intereses petroleros de China en Libia no eran especialmente fuertes, Libia destinaba el 10% de sus exportaciones petroleras a China, que obtenía de allí sólo el 3% de su petróleo importado. Los intereses chinos en Libia estaban más orientados a la construcción de infraestructuras: durante los últimos 4 años anteriores a la guerra, la China State Construction Engineering Corporation (CSCEC) había firmado contratos por valor de más de 2,67 mil millones de dólares. Sólo en el 2008, las compañías chinas habían invertido más de 100 mil millones de dólares (para hacernos una idea de cuánto significa esta cifra, pensemos que el total de capital estadounidense invertido en China es de 50 mil millones) en 180 proyectos de construcción (ferroviarios, de telecomunicaciones y otros), la mayor parte en la provincia de Cirenaica, posterior epicentro de la insurrección andi-gaddafista. En estos proyectos, trabajaban unos 36.000 chinos de diversas cualificaciones, que tuvieron que ser evacuados apresuradamente. Cabe especular que, si China estaba tan involucrada en un país rico en petróleo como Libia, era porque esperaba obtener una ampliación de sus concesiones petrolíferas.

 

Rusia era otro país cuyos intereses no eran tanto petroleros como, en este caso, armamentísticos y de construcción de infraestructuras (terminales de gas natural licuado, ferrocarril, plantas eléctricas). Aquí estaba activamente involucrado el gigante estatal gasífero ruso Gazprom, que también mantenía conversaciones con el gobierno nigeriano para patrocinar un gasoducto trans-sahariano que, a través de Níger y Argelia, suministrase gas a la Unión Europea. En octubre de 2008, buques de guerra rusos hicieron escala en Trípoli en su camino a Venezuela, y al mes siguiente, Gaddafi hizo su primera visita oficial a Rusia desde la era soviética, debatiendo con Putin y Medvedev la posibilidad de formar una especie de "OPEP del gas", cártel gasífero que incluiría a Rusia (que posee las mayores reservas de gas del mundo), Irán (las segundas), Argelia, Libia y varios países centroasiáticos (especialmente Turkmenistán). Qatar (el tercer país en reservas de gas) quedaba excluido de este club elitista, y a cambio sería babosamente cortejado por Occidente. Aunque los medios de comunicación rusos han sido mucho más sinceros que los occidentales, y aunque ha habido muestras de apoyo a Libia desde Rusia, Moscú se ha abstenido de intervenir militarmente.

 

El 14 de Marzo de 2011, cuando ya había serios problemas con los rebeldes y la mayoría de compañías occidentales se habían marchado apresuradamente, Gaddafi intentó meterse en el bolsillo a China, Rusia, India y Alemania (a Italia ya la tenía, aunque Washington la hizo meter el rabo entre las piernas), pero ya era demasiado tarde. Tanto China como Rusia han salido claramente perjudicadas por la Guerra de Libia, por una parte debido a la cancelación de sus contratos privilegiados (la empresa Agoco, en manos de los rebeldes, amenazó a ambos países con retirarles los contratos por no haber apoyado la insurrección anti-gaddafista) y por otra parte a la irrupción de las multinacionales extranjeras. Por lo pronto, la China National Petroleum Corporation ha cancelado seis proyectos de exploración en Libia y Níger, y actualmente está intentando llegar a acuerdos con el nuevo gobierno rebelde.

 

Quizás la gran perdedora de la Guerra de Libia haya sido Italia. La geografía manda: Italia tiene relaciones con el norte de África, para bien y para mal, desde la época de Cartago y el mito de Eneas y Dido. La petrolera Eni, que en el 2007 pagó mil millones de dólares para asegurar sus concesiones petroleras hasta el año 2042, controlaba antes de la guerra el 30% de las exportaciones libias. En los últimos tiempos, Italia ha hecho una política cada vez más desligada del eje atlantista. Se ha acercado a Rusia (en parte gracias al futuro gasoducto South Stream) y a Libia (mediante contratos petroleros, un tratado de no-agresión y el gasoducto Green Stream, que fue inaugurado en 2004 por Gaddafi y Berlusconi, y que conecta Libia con Italia). Casi daba la impresión de que cada vez que Berlusconi escandalizaba al mundo con sus excesos y sus bunga-bunga, era únicamente para extender una cortina de humo sobre sus turbias maniobras geopolíticas. Este acercamiento italo-ruso preocupaba a Estados Unidos (ver aquí). Italia y Libia tenían muchos intereses comunes, y durante los posteriores bombardeos, Gaddafi llamaría a Berlusconi todos los días para que intentase presionar a los angloamericanos y franceses, en vano: Berlusconi era el primero que estaba a su vez presionado por estos mismos países, a pesar de que sabía perfectamente que la guerra de Libia era inauditamente perjudicial para los intereses italianos, que como hemos visto antes, vienen de muy antiguo.

 


 


Triángulo de gasoductos Nigeria-España-Italia. El gasoducto trans-sahariano, en rojo, no está completado, y el GALSI, en naranja, tampoco. El Medgaz (azul) fue inaugurado en Marzo de 2011, en plena primavera árabe. Son especialmente importantes el gasoducto trans-mediterráneo (gasoducto Enrico Mattei) en el contexto de las revueltas en Túnez, y el gasoducto Green Stream en el contexto de la Guerra de Libia. La situación de España con Argelia es muy similar a la de Italia con Libia: existe un gasoducto directo (el Medgaz) y uno que pasa por un país intermediario (el Maghreb-Europe), que en este caso es Marruecos. Cuando se complete el gasoducto trans-sahariano (si se completa), toda esta infraestructura se conectará, a través del Sahara, con los yacimientos gasíferos del delta nigeriano, donde chocan los intereses del atlantismo con los de China, Irán, Rusia y, hasta hace poco, Libia y la Unión Africana. Se comprenden mejor los intereses de Gaddafi, Francia y el atlantismo en el país-bisagra Níger (país que, además, tiene importantes yacimientos de uranio y donde los chinos buscan petróleo...).  

 

Alemania ha sido otro Estado notable por su ambigüedad en torno a la Guerra de Libia, no en vano recibía en torno al 20% de las exportaciones petroleras de ese país y entre 2005 y 2007 supuestamente contribuyó en el entrenamiento de las fuerzas de seguridad libias. Berlín va dándose cuenta de que tiene muchos más intereses en común con Moscú que con Washington: el 18 de Febrero de 2011, Alemania votó a favor de una resolución de la ONU condenando como ilegales los asentamientos judíos en Cirjordania, y una semana después, Angela Merkel se permitía recriminarle al Primer Ministro israelí Benjamin Netanyahu que no hubiese dado pasos para obtener la paz con los palestinos; este gesto diplomático es muy fuerte para un país tan acomplejado y delicado en el tema israelí como Alemania. El 8 de Noviembre de 2011, se inauguró un gasoducto (el Nord Stream) que le proporciona a Alemania gas ruso a través del Báltico, y Berlín está empezando a desmarcarse inquietantemente de la política atlantista.

 

En la cumbre del G8 el 15 de Marzo de 2011, la canciller alemana se negó a ser presionada por Reino Unido y Francia, y bloqueó la propuesta atlantista de establecer una zona de exclusión aérea sobre Libia ―pero al día siguiente, un repentino y oportuno "problema" con su helicóptero la hizo cambiar de opinión. El 17 de Marzo, se abstuvo (junto con Brasil, China, India y Rusia) de votar la resolución del Consejo de Seguridad de la ONU decretando la zona de exclusión aérea y, si bien declaró pasivamente que dicha resolución debía aprobarse, se negó a mandar tropas a Libia. Esto cambió en Agosto, cuando, reaccionando a las presiones extranjeras, envió unidades de operaciones especiales a combatir en Libia, contraviniendo la resolución 1973 de la ONU. Por ahora, Estados Unidos ha conseguido que Alemania vuelva, a regañadientes, al redil atlantista, pero se trata de un éxito efímero que no hace más que retrasar lo inevitable: la ruptura entre la Europa continental y el atlantismo, agudizada por el acercamiento de Europa a Rusia y de EEUU al Pacífico.

 

¿Cómo se ha visto afectada España? Libia era nuestro segundo suministrador de crudo (el primero es Irán), y a lo largo de 2010, España había aumentado un 33% el suministro de petróleo libio. En 2008, Repsol (que se preciaba de ser "la verdadera embajada de España en Libia") había firmado una prolongación de su contrato hasta 2032, y en 2009, había realizado importantes descubrimientos, consolidándose como la primera petrolera privada de Libia y produciendo 360.000 barriles al día. A esta compañía, que siempre se ha vanagloriado de tener mejor información que el mismísimo CNI, los conflictos le cogieron totalmente por sorpresa, y tuvo que evacuar desordenadamente a sus empleados en Libia. En Octubre de 2011, Repsol volvió a reanudar su producción en Libia... con sólo 30.000 barriles al día.

 

Cuando comenzó la zona de exclusión aérea y los "bombardeos humanitarios", los primeros objetivos de la OTAN fueron asegurar los pozos petrolíferos, refinerías, oleoductos, puertos y otras infraestructuras petroleras ―no en vano la rebelión había comenzado en Cirenaica. Con el derrocamiento de Gaddafi y el reconocimiento apresurado del Consejo Nacional de Transición libio, Washington, Londres y París han creado una nueva empresa petrolera, la Libyan Oil Company, totalmente desregulada y con las puertas abiertas para los inversores occidentales, con lo cual es previsible que buena parte de sus beneficios acabe en paraísos fiscales y, en todo caso, que el pueblo libio no los vea ni en pintura. La OTAN ha previsto privatizar también la NOC.

 

Entre tanto jaleo, el mundo ha podido asistir perplejo al bochornoso espectáculo de cómo una larga lista de petroleras occidentales (especialmente la británica British Petroleum y la francesa Total), así como las variopintas facciones de "los rebeldes libios", se disputan como buitres los contratos y los derechos de explotación del petróleo. Para estos señores codiciosos, arrasar un país próspero, sumir a su pueblo en la miseria y mandar a la muerte a docenas, puede que cientos, de soldados de operaciones especiales ―la flor y nata de la Civilización Occidental― sólo habrá valido la pena si logran hacerse con un trozo del pastel.


NIVEL DE VIDA EN LIBIA Y POLÍTICAS SOCIALES DE GADAFI


¿De qué opresión está hablando? Los libios se beneficiaban de créditos a 20 años sin intereses para construir sus casas, un litro de gasolina costaba 14 céntimos, la comida no costaba absolutamente nada y un jeep surcoreano KIA podía ser comprado por sólo 7.500 dólares.

 (Vladimir Chamov, ex-embajador ruso en Libia, cuando le mencionaron en una entrevista la "opresión al pueblo" de Gaddafi).

 

Hay que tener en cuenta que lo que desea la mayor parte de la población de cualquier país, es tranquilidad y prosperidad y, al ser posible, que no la bombardeen aviones extranjeros o la asesinen/violen/torturen mercenarios extranjeros. No hay pueblo que no desee un gobierno paternalista y protector, y eso era lo que Gadafi intentaba proporcionar. Antes de continuar, dejaremos que los datos hablen por sí sólos.

 

• PIB per capita: 14.884 $ (comparar con 4.900 en Marruecos). Libia era el primer país africano en el Índice de Desarrollo Humano (IDH).

 

• Consumo calórico diario per capita: 3144 (en España 3270).

 

• Deuda/PIB: 3,3 % (comparar con el 60% de EEUU). Libia era el país menos endeudado del mundo con respecto a su PIB, ver aquí y aquí.

 

• Población urbana: 78%, la mayor parte en ciudades de la costa. Ver aquí.

 

• Esperanza de vida: 74 años (la más alta de África). En 1980, era de 61 años.

 

• Tasa de fertilidad: 2,6 (comparar con 5,4 en Marruecos o 6,5 en Yemen).

 

• Tasa de mortalidad infantil: 19 de cada mil. En 1980, era de 70 por cada mil.

 

• Índice de alfabetización: 83% (compárese con el 52% de Marruecos, o el 5% de Libia antes de que llegase Gadafi al poder).

 

• Préstamos bancarios: sin intereses. Todos los préstamos eran a 0% de interés por ley.

 

• Grandes negocios inmobiliarios y mercados hipotecarios: prohibidos.

 

• Ayudas a la vivienda y a la adquisición de automóviles: prácticamente cada familia tenía una casa y un coche. El Estado concedía préstamos automáticamente para adquirir vivienda y automóvil. El 50% de la adquisición del automóvil la costeaba el Estado. Gadafi prometió una vivienda a todos los libios antes de concedérsela a su propio padre, y cumplió su promesa: su padre murió viviendo en una tienda. En 1969, antes de la revolución gadafista, el 40% de los libios vivían en tiendas o chabolas. En 1997, prácticamente todos los libios adultos poseían su propia vivienda.

 

• Ayuda a la vivienda para recién casados: 64.000 $ (en Libia, el coste de la vida es 1/3 con respecto a los países del sur de Europa, de modo que, cambiando a euros y ajustando el coste de la vida, la ayuda equivaldría para nosotros a 140.000 €).

 

• Cheque-bebé: 7.000 $ (cambiando de moneda y computando costes de vida, equivaldría a 15.219 € en el sur de Europa).

 

• Ayudas estatales anuales por cada miembro de familia: 1.000 $ (equivaldría a 2.170 € en el sur de Europa).

 

• Ayudas a familias numerosas: precios simbólicos en alimentos esenciales y bienes de primera necesidad. Cuarenta barras de pan costaban 14 céntimos de dólar.

 

• Sanidad: de alta calidad y costeada por el Estado. Acceso gratuito a médicos, clínicas, hospitales y productos medicinales y farmacológicos. Si un libio necesitaba una operación que no podía ser llevada al cabo en Libia, el Estado costeaba el viaje al extranjero y el coste de la operación. Entre 1969 (revolución gadafista) y 1978, la cantidad de médicos se multiplicó por 5.

 

• Educación: primaria, secundaria y superior costeada por el Estado. Becas y estudios en el extranjero costeados por el Estado. Gran cantidad de alumnos libios estudiando en universidades europeas, una intelligentsia libia bien formada, gran cantidad de libios que hablan bien el inglés. El 25% de los libios tenía titulación universitaria. La proporción de profesores-alumnos era de 1:17. Cuando un licenciado no encuentra trabajo, el Estado le paga el salario medio de alguien con su cualificación hasta que lo encuentre.

 

• Situación de la mujer: junto con Siria, la mejor de cualquier país árabe. Las mujeres accedían a la universidad, tenían los mismos derechos legales que los hombres, podían entrar en el Ejército, votar, conducir un coche, pilotar un avión, trabajar, viajar, ostentar cargos públicos (ha habido ministras libias), ser propietarias de un negocio, formar asociaciones, recitar el Corán en público, poseer su propia cuenta bancaria o casa, y salir solas a la calle. Las bajas por maternidad eran muy amplias y no se les permitía el trabajo físico intenso. No regía la Sharia (ley musulmana radical), se prohibieron los matrimonios de menores de edad y las mujeres obtuvieron el mismo derecho a divorcio que los hombres. En 2001, el 16% de las mujeres libias tenía un grado universitario. En la educación secundaria y superior, las chicas eran un 10% más que los chicos. Existían centros de "rehabilitación moral" donde una mujer podía refugiarse si tenía problemas con una familia fundamentalista. La pintoresca guardia personal de Gadafi, compuesta exclusivamente por mujeres, tenía por objeto llamar la atención al mundo sobre la situación de la mujer libia. En Occidente no se han visto manifestaciones de feministas protestando por la caída del único estadista que podía garantizar los derechos de la mujer libia. Ver más aquí.

 

• Salario de una enfermera: 1.000 $ (equivaldría a 2.170 € en el sur de Europa).

 

• Indemnización por desempleo: 730 $ mensuales (equivaldría a 1.580 € mensuales en el sur de Europa).

 

• Precio de un litro de gasolina: 14 céntimos de dólar (comparar con 1,3 euros en España), menos que un litro de agua. Esto da una idea de cómo en Occidente las multinacionales petroleras fijan precios como un cártel mafioso ―lo llaman "libre mercado".

 

• Precio de la electricidad: gratuito. No existían las facturas de la luz.

 

• Impuestos y tasas: la mayor parte prohibidos.

 

• Venta y consumo de alcohol: prohibidos.

 

• Ayuda estatal por cada apertura de PYME: 20.000 $ (equivaldría a 43.485 € en el sur de Europa).

 

• Ayudas al desarrollo de la agricultura: cualquier libio que quisiera irse a vivir al campo y dedicarse a la agricultura, recibía gratuitamente del Estado tierra, casa, animales de ganado, material de granja y semillas.

 

Estos logros están a años luz de lo que cualquier país del Tercer Mundo ha logrado bajo la democracia-a-la-occidental y las directrices de los Programas de Ajuste Estructural (SAP por sus siglas inglesas) del Fondo Monetario Internacional y el Banco Mundial. También están a años luz de las petro-monarquías árabes del Golfo, a pesar de que éstas son más ricas en petróleo que Libia. Tanto es así que, en 2005, la ONU elogió a Libia por sus avances sociales, sin parangón en toda África. Libia venía a ser el ejemplo perfecto de lo lejos que puede llegar un país cuando emplea bien los recursos que la providencia le dio, sin intermediarios, parásitos, mercaderes, especuladores o saqueadores extranjeros. Libia era, en suma, el caso opuesto al Congo-Kinshasa ―un país tremendamente rico en recursos, pero desorganizado y saqueado.

 


Por sus políticas sociales, Gaddafi era muy popular entre la abrumadora mayoría del pueblo libio. Manifestación del 1 de Julio de 2011 en la Plaza Verde de Trípoli. Se juntaron 1,7 millones de libios: el 95% de la población de Tripoli. Esta manifestación no encontró apenas eco en los medios de comunicación occidentales.

 

 


EL PROBLEMA DEL AGUA: RESUELTO

 

El mundo árabe no se caracteriza por ser precisamente rico en agua, el oro azul es un recurso tan escaso que se han dado muchísimos conflictos en torno a él. El control de las fuentes del Nilo Azul es la causa de la desconfianza entre Egipto e Etiopía y, en su día, del ansia de los italianos por apoderarse de Abisinia (estrangular a Suez). En Cisjordania, los asentamientos de colonos judíos coinciden casi exactamente con la distribución de los acuíferos. Las fuentes del río Jordán han sembrado la discordia en las relaciones entre Israel y Jordania, el agua de las Granjas de Cheba tiene mucho que ver en la enemistad Israel-Siria, y las montañas del Líbano ("la Suiza de Oriente Medio") son un buen motivo más para que Israel desee dominar la zona. Lo mismo se puede decir respecto a las fuentes del Tigris y el Éufrates y las inestabilidades en las zonas armenias y kurdas de Turquía: en todo Oriente Medio, el agua puede ser una bendición o una maldición, según se mire. Incluso donde Oriente Medio se convierte en Extremo Oriente, el fenómeno persiste: la lucha por los recursos hídricos del glaciar de Siachen y varias zonas montañosas, ha puesto patas arriba a toda la región de Cachemira, contestada por tres potencias nucleares: China, India y Pakistán.

 

Precisamente debido a la escasez de agua, los musulmanes en general y árabes en particular, han heredado una larga tradición de aprovechamiento de recursos hídricos. Las civilizaciones mesopotámicas, persa, romana y bizantina fueron acumulando valiosas tradiciones de control y administración de aguas, y actualmente, hasta en los valles más recónditos de Afganistán se construyen acequias cuidadosamente y se consigue mantener verdes los cultivos.  

 


 

 

A diferencia de Marruecos o Líbano, que tienen regiones montañosas y verdes, Libia es de los países árabes más áridos: el 95% de su espacio es desierto puro. En él tuvo lugar la mayor temperatura jamás registrada: 58º C, en El-Azizia, el 13 de Septiembre de 1922. El clima es tremendamente seco, y sólo el 2% del territorio (zonas de costa y de oasis) recibe suficientes precipitaciones como para poder dedicarse a la agricultura. Paradójicamente, en el Sahara se encuentra también el mayor acuífero de agua fósil del planeta: el Sistema Acuífero de Piedra Arenisca de Nubia, con 150.000 kilómetros cúbicos (!) de agua. El acuífero, que fue descubierto accidentalmente en 1953 mientras se buscaba petróleo, abarca zonas de Libia, Chad, Sudán y Egipto.

 


El sistema acuífero de piedra arenisca de Nubia.

 

África entera está llena de enormes acuíferos, pero con líderes corruptos, pueblos desordenados y deudas odiosas contraídas con bancos internacionales, nunca se los ha explotado como es debido, y se recurre en cambio a costosas plantas de potabilización de agua que cubren de beneficios a las compañías desalinizadoras occidentales. Gaddafi fue el primer estadista que buscó seriamente un modo de aprovechar el potencial hídrico del Sahara para que su país fuese autárquico en agua. Para ello, el  "tirano" y "sátrapa" libio financió (25.000 millones de dólares) una obra faraónica denominada Gran Río Artificial, el mayor proyecto de irrigación del mundo, y una de las mayores obras de ingeniería jamás realizadas. El objetivo era traer agua desde los acuíferos y oasis del Sahara hasta las sedientas ciudades de la costa, algunas de las cuales (como la misma Bengasi) no podían beber agua de sus propios acuíferos debido a la invasión de agua marina. Se cavaron 1.300 pozos (casi todos de más de 500 m de profundidad) y se construyeron 2.820 km de canalizaciones subterráneas y acueductos. Antes de ser bombardeado y destruido por la OTAN, el Gran Río Artificial ―al que Gaddafi se refería orgullosamente como "la octava maravilla del mundo"― bombeaba 6,5 millones de metros cúbicos de agua a la costa cada día.

 

Click para agrandar. La infraestructura hídrica de Gaddafi logró hacer florecer el desierto. Estos vergeles, situados en pleno Sahara, eran sólo el comienzo de un plan enorme para convertir Libia en un país agrario, haciéndola una potencia económica regional y atrayendo inversiones, contratos y trabajadores. Cada una de estas parcelas tiene un diámetro aproximado de un kilómetro. Gaddafi planeaba desarrollar 160.000 hectáreas de cultivos, para hacer de Libia un país autárquico en lo alimentario, y también para convertirla en una potencia agraria exportadora.

 

Click para agrandar. Los campos de Kufra, situados cerca de un oasis, podían ser vistos fácilmente por los astronautas desde el espacio y eran una aparición común en los atlas de tipo "El mundo visto desde el aire". Su forma circular se debía al empleo de una técnica mecanizada, el sistema de riego por pivote central, que riega en círculos y minimiza la pérdida de agua por evaporación.

 


Evolución de los vergeles libios de 1972 a 2001. Se cultivaban cereales, frutas, verduras y forraje para ganado. Principales perjudicados: Marruecos, Egipto e Israel. Principal beneficiado: el pueblo libio. Todo esto ha sido destruido por bombardeos de la OTAN el 22 de Julio de 2011, en Brega y otros lugares. Al día siguiente, la OTAN bombardeó la fábrica que construía las piezas y tramos del ducto.

 


De 1988 a 2006.

 


Red hídrica de Libia. Las fases III y IV estaban aun bajo construcción cuando fueron bombardeadas. El Gran Río Artificial era descrito en el Libro Guiness de los Récords como una "maravilla del mundo moderno".

 

En Agosto, UNICEF advirtió que el bombardeo de las infraestructuras hídricas por parte de la OTAN podía "convertirse en un problema sanitario sin precedentes". Poco importa: el Fondo Monetario Internacional, el Banco Mundial y las empresas constructoras de Occidente, se frotan ya las manos pensando en el dinero que le van a prestar al nuevo gobierno libio y los beneficios que obtendrán reconstruyendo el país. Destruir países y luego reconstruirlos como más convenga, sin importar la cantidad de damnificados, es uno de los mayores negocios de la era de la globalización.

 


Más información:


http://news.bbc.co.uk/2/hi/science/nature/4814988.stm

http://www.traxco.es/blog/pivotes-de-riego/cultivar-en-el-desierto-libia

http://www.traxco.es/blog/wp-content/uploads/2010/11/pivotes-de-riego-en-libia-y-jordania.pdf

Página oficial del Gran Río Artificial:

http://www.gmmra.org/en/index.php?option=com_content&view=article&id=76&Itemid=50

 


 

 


EL TEMA IDENTITARIO —GADDAFI Y LAS TRIBUS LIBIAS

 

Si pretende sobrevivir a largo plazo, todo Estado debe tener en cuenta las particularidades étnicas que conforman su espacio. Los regímenes que le dan la espalda a los problemas étnicos, los niegan o pretenden llevar al cabo chapuceras políticas de homogeneización, acaban sumergidos en ellos. Por eso la misma globalización, que pretende imponer este proceso sobre todo el planeta, está abocada al fracaso tarde o temprano, y terminará entre cruentos conflictos étnicos.

 

En Europa, la tradición de los Estados, el orden y la jerarquía, es muy antigua y, aunque no se trata de un continente homogéneo étnicamente, se puede decir que la mayor parte de países europeos, e incluso el concepto mismo de Europa, es étnicamente viable siempre que se respeten las identidades y no se las pretenda amalgamar. Libia es harina de otro costal. La existencia de Libia como Estado independiente, con sus fronteras actuales, es muy reciente. Debido a la dificultad de cultivar el suelo, la vida sedentaria en Libia es una aparición muy tardía, y prácticamente sólo circunscrita a la costa de la provincia de Cirenaica. Hasta bien entrado el Siglo XX, la mayor parte de los libios eran nómadas sumamente pobres, y las únicas estructuras de organización que existían eran las extranjeras de carácter colonial (Italia y Reino Unido principalmente) y las autóctonas de carácter tribal. Luego llegarían las extranjeras de carácter empresarial, que desafortunadamente para ellas, coincidirían con la organización de la estructura estatal por parte del dictador libio. Gaddafi, un beduino de Sirte que nunca se avergonzó de sus orígenes humildes, quiso basar un Estado libio fuerte en los pactos con las diversas tribus, y consideró que la única manera que tenía Libia de no ser arrollada por el extranjero era expulsar a las formas de organización alógenas (empresas y sátrapas relacionados con el antiguo colonialismo imperialista) y actualizar la organización tribal libia, pactando con los patriarcas locales y dándole a cada tribu un lugar en el seno del Estado. Es así como Gaddafi pudo llegar a ser popular en prácticamente todas las tribus libias, desde los árabes de la costa hasta los tuareg del desierto.

 

Pero existía una sombra en la política étnica gaddafista: los bereberes del Oeste del país (montañas Nafusa y alrededores). Los colonos italianos concedieron autonomía religiosa y judicial a esta minoría, ya que es de religión Ibadi (una secta musulmana que se extendió durante la conquista árabe del Magreb). Los ibaditas, aunque se consideran básicamente sunnitas (en Occidente no se los considera ni sunnitas ni chiítas), difieren ligeramente de los malekitas, que componen el resto de la población libia. No tienen sus propias mezquitas y se juntan con el resto de fieles, pero han forjado lazos con Omán, el único Estado gobernado por el ibadismo. Éste es el primer problema de los bereberes libios: sus relaciones con un régimen esencialmente pro-occidental.

 


Zonas bereberes en naranja, zonas árabes en marrón, zonas deshabitadas en gris.

 

El otro problema de los bereberes son los lazos de algunos de sus líderes con el CMA (Congrès Mondial Amazigh), una ONG francesa que, como todas las ONG’s, es la fachada legal de operaciones de ingeniería social, diplomacia, agitación e Inteligencia. Este organismo era percibido por el régimen libio como hostil e interesado en promover la sedición en Libia para desestabilizar al Estado y hacerlo vulnerable a la penetración extranjera.

 

Gaddafi quería un Estado fuerte y unido. Aunque no se metía con la vida privada de los bereberes, el idioma amazigh estaba ausente en las instituciones públicas, y el sistema educativo no mencionaba a los bereberes en la historia de Libia. La Declaración Constitucional de 1969 describía a Libia como un Estado árabe y establecía el árabe como único idioma oficial. En 1977, la Declaración de Establecimiento de la Autoridad del Pueblo puso aun más énfasis en la naturaleza árabe de Libia, llamando a su Estado "Yamahiriya Árabe Libia". Hasta 2007, una ley prohibía que se diese nombres bereberes a los recién nacidos. Aunque los bereberes nunca sufrieron limpieza étnica ni terrorismo estatal como los armenios en Turquía o los kurdos en Iraq, Gaddafi no simpatizaba con ellos y siguió considerándolos como un sector social demasiado proclive a ser utilizado como vector de penetración extranjera. En 1985 el líder libio había declarado que "Si tu madre te transmite este idioma (el amazigh), te está alimentando con la leche del colonialismo, y te transmite su veneno". Es comprensible que los bereberes se levantasen contra Gaddafi cuando, a principios de 2011, comenzó el conflicto libio ―si bien los problemas con los bereberes han sido menores y el mayor conflicto ha sido el de Cirenaica, que precisamente tiene fama de ser una región "multitribal".

 

Todos los etnólogos del Siglo XX consideraban que los bereberes libios estaban fortísimamente arabizados tanto cultural como racialmente. Un estudio italiano de 1932 concluía que no quedaban bereberes puros en Libia. El censo colonial de 1936 no diferenciaba entre árabes y bereberes: ambos eran incluidos en la denominación "libios". Los censos más recientes también incluían a ambas etnias en la misma categoría, de modo que no existen estadísticas fiables sobre la cantidad de bereberes en Libia; sus números pueden andar entre 25.000 y 150.000. La población de habla amazigh, incluyendo los tuareg (que son leales al gaddafismo) y los habitantes de Ghaddames, pueden ser alrededor del 10% de la población.

 

La política tribal de Gaddafi, que consistía básicamente en pactar con las tribus del interior y dejarlas en paz, era un problema para la globalización. Los espacios donde subsisten estas formas de organización social y familiar (como también en la frontera afgano-pakistaní), son un gran problema para el comercio internacional. Estas gentes no se integran en la economía de mercado, son autárquicos, realizan sus intercambios comerciales a nivel regional sin someterse a política fiscal alguna, y no dependen de la oferta de las multinacionales o de las fluctuaciones en bolsa: ellos se lo guisan, ellos se lo comen, sin contar con el resto del mundo. Se trata de un estilo de vida que la globalización quiere desmantelar e integrar en las urbes de la costa. Con la irrupción de la OTAN en Libia y la caída del régimen gaddafista, se puede esperar que el modus vivendi de las tribus desérticas se vea cada vez más amenazada.

 

El futuro de los tuareg es incierto. Durante los años 70, muchos tuareg se enrolaron en la Legión Islámica, un ejército mercenario que Gaddafi utilizaba para apoyar o desestabilizar países vecinos (Chad, Sudán, Líbano) o movimientos guerrilleros. El buen comportamiento de estos hombres les ganó el apoyo de Gaddafi en sus propias rebeliones regionales, especialmente en Níger y Mali. Aunque la Legión fue desbandada en 1987, muchos de sus miembros se quedaron sirviendo en las Fuerzas Armadas de Libia. Los tuareg son actualmente un factor de peso en la geopolítica del interior de África. Se les relaciona inevitablemente con Gaddafi, y cualquiera que pretenda dominar la franja del Sahel deberá contar con ellos tanto para bien como para mal. Se cree que buena parte de los cuadros gaddafistas han huído Níger y que se encuentran escoltados por tuaregs.

 

GADDAFI Y LA RELIGIÓN

 

En el mundo musulmán, la religión tiene un papel importantísimo, incluso para los que no son islamistas radicales o siquiera practicantes serios. Para ellos, ser judío o cristiano es infinitamente mejor que ser un ateo. Por lo general, los musulmanes son incapaces de concebir que un hombre no tenga fe religiosa de ningún tipo, y consideran que, si no tuviesen al Islam, no serían nada y el mundo los devoraría.

 

Aunque en el pasado han existido regímenes islámicos muy fundamentalistas (como los almorávides y almohades), el radicalismo islámico tal y como lo conocemos hoy, es una aparición muy reciente. El mundo musulmán iba camino a modernizarse gradualmente y emerger como potencia internacional, hasta que un acontecimiento truncó este ascenso: el establecimiento del Estado de Israel en 1948. Desde entonces aparecieron numerosos movimientos radicales, la mayor parte relacionados con redes de Inteligencia enquistadas en Egipto, Marruecos, Arabia Saudí y Pakistán. Quizás los talibán sean el ejemplo más perfecto, con un integrismo sin precedentes en el mundo musulmán: imposición del burka, militantes que desde niños dedican sus vidas a aprenderse el Corán de memoria, y que cuando ya se lo saben, vuelven a memorizárselo desde cero, pero esta vez al revés. Cuando fallan al recitarlo, se les golpea con un palo. La letra, con sangre entra. Los talibán fueron apoyados directamente desde Washington para contener la expansión soviética (y el que dude, puede darle un vistazo a la peli "Rambo III"), y después fueron la excusa perfecta para que el Pentágono invadiese Asia Central.

 

A pesar de que EEUU se hace pasar por paladín del anti-radicalismo, es aliado de dictaduras religiosas como Arabia Saudí y otras, mientras que ataca a países árabes laicos y avanzados como Iraq, Libia, Líbano o Siria. Curiosamente, también los cristianos orientales (maronitas, caldeos, coptos, armenios) están en la lista negra del atlantismo. Por poner un ejemplo, un cristiano armenio disfruta en Irán de una libertad religiosa que sería impensable en países aliados de EEUU como Marruecos o Arabia Saudí. Lo mismo rezaba para los cristianos caldeos en Iraq bajo Saddam Hussein.

 

Gaddafi, como ex-panarabista y heredero del socialismo árabe, a pesar de ser creyente, consideraba que la política debía ser independiente de la religión; su modelo no era Mahoma, sino Nasser. Gaddafi además era perfectamente consciente de que los islamistas radicales le eran hostiles y de que se trataban de una quinta columna del enemigo en su país. A diferencia de lo que pasa en Europa (donde existen mezquitas donde se predica el radicalismo sin ningún impedimento), Gaddafi asignó "observadores" a las mezquitas libias para vigilar los discursos de los clérigos, e incluso vigilaba a los hombres con barbas demasiado largas, rasgo asociado al fundamentalismo. Gaddafi también estableció centros de acogida para que las mujeres que hubiesen tenido problemas con una familia "demasiado" tradicional pudiesen encontrar refugio. Esto no sucede en la mayor parte del mundo musulmán, donde este tipo de disputas suele zanjarse con el apuñalamiento de la mujer involucrada, un chorro de ácido en la cara, una nube de piedras, latigazos o una decapitación.

 

Sin embargo, hay que reiterar que Gaddafi no era ningún ateo. Mencionaba a Alá en sus discursos con mucha frecuencia y amaba la cultura árabe y musulmana. En plena Guerra Fría, durante una visita a Moscú, Gaddafi se negó a bajarse del avión o encontrarse con el secretario general soviético Brezhnev hasta que no se le llevase a ver un funeral musulmán, como prueba de que el Islam no estaba perseguido en la URSS.

 

El cristianismo no estaba perseguido bajo el régimen de Gaddafi. Antes de la guerra, había en Libia 60.000 coptos ortodoxos, la comunidad religiosa más antigua del país. Había también 40.000 católicos, una prefectura apostólica (en Misrata), tres vicariatos (Trípoli, Bengasi y Derna) y dos obispos (Trípoli y Bengasi). En Trípoli había también una congregación anglicana de inmigrantes procedentes de las antiguas colonias británicas en África subsahariana. Si bien había libertad de culto, no estaba permitido hacer proselitismo entre musulmanes, la literatura religiosa estaba sometida a censura y si un varón no-musulmán quería casarse con una mujer musulmana, debía convertirse al Islam.

 


Iglesia de Santa Maria degli Angeli en Trípoli, fundada en 1645 por la comunidad maltesa.

 

 


TERRORISMO PATROCINADO POR LIBIA

 

El terrorismo internacional es, en su mayor parte, terrorismo de Estado ―es decir, perpetrado por servicios de Inteligencia de diversos países para forzar acontecimientos o tendencias geopolíticas. Lo mismo podríamos decir de buena parte del crimen organizado. Casi todos los países han patrocinado terrorismo de Estado de una forma o de otra, y Libia sin duda apoyaba a muchos grupos armados en el extranjero (tuaregs, piratas somalíes, grupos palestinos, etc.). Los atentados que los medios de comunicación occidentales atribuyen a Libia han sido utilizados para poner a diversos organismos de poder en contra de Gaddafi y para atacar el país, de modo que no está de más tratar, aunque sea por encima, dos de los más sonados.

 

El primero de ellos tuvo lugar en la discoteca "La Belle" de Berlín-Oeste, un local frecuentado por marines estadounidenses. Murieron tres personas (una mujer turca y dos sargentos norteamericanos) y otras 230 resultaron heridas, muchas de ellas permanentemente. La opinión pública más informada consideró que el atentado de la discoteca de Berlín fue la respuesta gaddafista al hundimiento de dos barcos libios, que a su vez se habría debido a los ataques terroristas del 27 de Diciembre de 1985 en Roma y el aeropuerto de Viena.

 

El juez que llevó el caso, Peter Mahofer, dijo que no estaba nada claro que el ataque tuviese nada que ver con el régimen libio. Otro magistrado, Detlev Mehlis (el mismo que décadas después manipularía la investigación sobre el asesinato del primer ministro libanés Rafik Hariri en 2004 [2]) aceptó las declaraciones de un tal Musbah Abdulghasem Eter para incriminar a un diplomático libio y su supuesto cómplice, Mohammed Amairi. Fue mucho más adelante, en 1998, que se supo, gracias a la cadena de TV alemana ZDF, que el primer nombre no sólo era falso testigo, sino también agente de la CIA, mientras que el segundo trabajaba directamente para el Mossad.

 

El entonces presidente estadounidense Ronald Reagan respondió al atentado llamando a Gaddafi "perro rabioso", congelando los activos libios, suspendiendo el comercio con el país y lanzando Operación El Dorado Canyon: un bombardeo sobre Trípoli y el puerto de Bengasi, en el que murieron 60 libios (incluyendo una hija adoptiva de Gaddafi, de 15 meses) y más de 2.000 resultaron heridos (incluyendo otro hijo de Gaddafi, Khamis, de 3 años).

 

Tras negociar con el gobierno alemán, en 2004 Libia accedió a indemnizar a las víctimas del atentado con 35 millones de dólares. Esto ponía fin al vacío diplomático entre ambos países… provocado por Washington.

 


El emblemático monumento en Bab al-Aziziya conmemoraba el bombardeo estadounidense en el que Gaddafi perdió a una hija adoptiva. EEUU perdió un cazabombardero F-111 y los dos hombres que conformaban su tripulación.

 

El otro famoso "atentado libio" tuvo lugar en Escocia, el 21 de Diciembre de 1988, sobre la localidad escocesa de Lockerbie: un avión de la compañía aérea Pan Am explotó en pleno vuelo, matando a 270 personas. Fue el atentado más sanguinario contra civiles estadounidenses (189 de las víctimas lo eran) hasta el 11 de Septiembre del 2011.

 

Las investigaciones sobre el caso estuvieron a cargo de la CIA, el FBI… y la policía local de Dumfries y Galloway. En 1991, señalaron como autores del atentado a dos ciudadanos libios que supuestamente trabajaban para la Inteligencia de su país: Abdelbaset Ali Mohmed Al Megrahi, jefe de seguridad de las Aerolíneas Árabes Libias (LAA) y Al Amin Khalifa Fhimah, director de la estación de las LAA en un aeropuerto de Malta. El departamento de Acción Psicológica del Mossad (Inteligencia israelí) inmediatamente dio consignas a varios periodistas de diversos medios de comunicación (entre ellos a Gordon Thomas, autor de "El Mossad: historia secreta") para culpar a Libia del atentado, y se inició una campaña mediática de acoso y derribo contra el régimen gaddafista.

 

Pan Am pertenecía a Yuval Aviv, ex-oficial del Mossad. La compañía exigió la comparecencia del FBI, la CIA y la DEA (muy experta en basar maletines con contenido turbio), pero estas agencias se negaron a declarar, acogiéndose a motivos de "seguridad nacional". A raíz del juicio, el Consejo de Seguridad de la ONU y la Unión Europea aprobaron duras sanciones contra Libia, ya que Trípoli se negó a extraditar a los acusados. Estas sanciones, y las diversas negociaciones diplomáticas con Gaddafi, dieron como resultado que en 1999 el estadista libio entregase a las autoridades británicas a los dos ciudadanos acusados para ser juzgados en Reino Unido. Gracias a ello, la UE retiró sus sanciones contra Libia. El segundo acusado, Fhimah, fue absuelto, y el primero, Megrahi, fue condenado en 2001 a 27 años de prisión ―si bien él siempre afirmaría ser inocente.

 

En Octubre de 2002, Gaddafi pagó 2.700 mil millones de dólares a los familiares de las víctimas del atentado ―10 millones por cada víctima. En Agosto de 2003, aceptó formalmente la responsabilidad libia en Lockerbie; al mes siguiente, la ONU levantó sus sanciones. Era la época de la Guerra de Iraq, Saddam Hussein había caído y Gaddafi consideraba que sólo podría salvar su país de ser bombardeado si agachaba la cabeza y hacía gestos aperturistas para calmar los ánimos en Occidente.

 


Atentado de Lockerbie, 21 de Diciembre de 1988.

 

La verdadera autora del atentado de Lockerbie fue una facción de la CIA que operaba en Alemania, y que introdujo el explosivo en el avión durante una escala en Frankfurt. En 2005 se supo que, según el ex-jefe escocés de policía que había investigado el caso, las evidencias (esencialmente el temporizador de la bomba) fueron fraguadas por la CIA para incriminar a los libios. El mismo "experto" que examinó el temporizador admitiría más tarde que él mismo lo fabricó, y el testigo-estrella (un tendero maltés) que proporcionó un vínculo entre la bomba y el maletín reconocería que fue sobornado por el Gobierno de los Estados Unidos con 2 millones de dólares para mentir en el estrado e incriminar a los libios. Esto hizo que las autoridades escocesas se propusieran revisar el caso, pero la salud del condenado no lo permitió: se interrumpió su condena y fue oportunamente enviado a Libia. No es el objetivo de este artículo extenderse más en este asunto, quien esté realmente interesado sabrá investigar y llegar a sus propias conclusiones.

 

EL FRACASO DEL PANARABISMO Y EL ÉXITO DEL PANAFRICANISMO: LOS ESTADOS UNIDOS DE ÁFRICA

 

Cualesquiera que fuesen los defectos de Gaddafi, era un verdadero nacionalista. Yo prefiero nacionalistas a marionetas en las manos de intereses extranjeros… Gaddafi ha hecho grandes contribuciones en Libia, África y el Tercer Mundo. Debemos recordar eso como parte de su visión de independencia, echó a las bases británicas y americanas de Libia tras tomar el poder.

(Yoweri Museveni, Presidente de Uganda).

 

Tras haber intentado infructuosamente establecer un espacio común con Egipto y Siria, Gadafi sabía que el panarabismo estaba acabado. Egipto había caído en 1982 en manos del atlantismo, el poder de Israel estaba fuera de toda duda, Siria era demasiado pro-soviética y a los petro-regímenes árabes sólo les importaban los petrodólares. En un discurso ante la Liga Árabe, Gaddafi echó en cara al resto del mundo árabe, entre otras cosas, que no moviese un dedo por Iraq y que sus agencias de Inteligencia conspirasen unas contra las otras. En otra ocasión le puso las pilas bien puestas a Abdulá, el rey de Arabia Saudí: "detrás de ti está la mentira y delante de ti está la tumba; fuisteis creados por Gran Bretaña y estáis protegidos por América". Gaddafi se estaba aislando poco a poco del mundo árabe, y decidió poner sus energías en un proyecto quizás más coherente con la geopolítica de Libia: un imperio africano. Consciente de que la ONU no había impedido docenas de conflictos por estar controlada por el Consejo de Seguridad, y de que la Organización de Unidad Africana (que se originó en las luchas anti-coloniales de los años 60) era un circo inútil, en 2002 fundó la Unión Africana.

 

Gadafi sabía que, en el mundo moderno, los Estados modestos no pueden tener peso en el panorama internacional, y que sólo los bloques geopolíticos unidos y coherentes pueden ya conservar un mínimo de soberanía ante la apisonadora de la globalización. Su idea era formar un superestado pan-africano de unos 200 millones de habitantes, distribuidos en diversas etnias árabes, bereberes y negras. Una unión con un solo ejército, una sola moneda y un solo pasaporte, que habría podido negociar de tú a tú con los otros pesos pesados del tablero, en el seno de un mundo multipolar (Estados Unidos, Europa, China, India, Rusia, Brasil… África). Gaddafi adoptó rápidamente una parafernalia pan-africanista, relajó su hostilidad hacia los bereberes, se declaró "rey de reyes" en África (algo que a un occidental le parece una horterada, pero que a los africanos, especialmente subsaharianos, les funciona; además le servía para tratar de tú a tú con las realezas de otros países, especialmente árabes) y, en octubre de 2010, se convirtió en el único líder mundial que pidió perdón formalmente a los negros por el papel de los árabes en el negocio de la esclavitud. También se ofreció a mediar en numerosos conflictos y negoció altos el fuego en Congo, Uganda, Etiopía y Eritrea.

 


Marruecos (que es una anomalía geopolítica en África igual que Reino Unido lo es en Europa) nunca se unió a la Unión Africana debido, entre otras cosas, a que ésta reconocía a la República Árabe Saharaui Democrática. Mauritania fue suspendida tras el golpe de Estado de 2008, y Madagascar tras la crisis política de 2009. Como se ve, los centros financieros de la Unión forman un eje de Libia-Nigeria-Camerún, tres importantes países petroleros que Gaddafi pretendía unir a través de Níger. Demasiado a menudo se nos habla de la necesidad de "ayudar a los africanos" y dirigirles millones de dólares y euros , "ayudas" inútiles que, como expone claramente la autora zambia Dambisa Moyo en su libro "Dead Aid", no hacen más que endeudarlos y convertirlos en esclavos de los bancos internacionales. Esto, a su vez, los hace emigrar a Occidente, donde causan gravísimos problemas. Rara vez se escucha en Occidente que quienes deben cambiar su situación deberían ser los mismos africanos, sin ayuda externa, y que precisamente eso era lo que Gaddafi estaba intentando.

 

A través de la Unión Africana, Gaddafi ayudaba a vertebrar y estabilizar el continente, proporcionando préstamos, ayuda humanitaria, desarrollo de infraestructuras y tropas para misiones de paz. En Liberia había invertidos 65 millones de dólares en proyectos de inversión, en Darfur (Sudán) había 20.000 efectivos militares de la UA, en Somalia 8.000 y tanto en Mali como en Níger y Chad, Gaddafi apoyaba a los gobiernos económica y militarmente, y en 2001, mandó tropas paracaidistas para repeler un asalto a la capital de Chad. En Somalia, Gaddafi quería un gobierno fuerte para controlar el espacio marítimo (de los más estratégicos del mundo) y someter el enorme tráfico comercial a una política fiscal y arancelaria. Esto obviamente no le convenía a los países atlantistas. Cuando Eritrea (apoyada por Libia, Sudán, Irán y China) bloqueó las exportaciones etíopes, éstas buscaron salida al mar a través de Somalilandia (una provincia de Somalia que es soberana de facto y que si no se ha independizado es debido a Egipto, que conspira contra Etiopía). Somalilandia le conviene mucho al comercio internacional, ya que tiene las leyes más liberales del mundo, sus puertos son como bebederos de patos y han servido para el enriquecimiento de una élite de caciques locales. Cuando se hizo claro que el gobierno somalí no controlaba más que unas calles de Mogadishu y que el Estado somalí había fallado, Gaddafi orientó sus ayudas hacia la región de Puntlandia y la piratería, que él concebía algo así como un impuesto a la circulación marítima, que debía establecerse para compensar la caída del Estado somalí. En cualquier caso, muchos de estos países estaban dejando de depender de la finanza internacional, basada en Nueva York y Londres, y orientando su dependencia hacia la mayor potencia africana, Libia, que intentaba que los países africanos defendiesen sus propios intereses.

 

Asimismo, Gaddafi financiaba directamente al RASCOM (Organización Regional del Satélite Africano de Comunicaciones). RASCOM había lanzado, con ayuda francesa y desde las instalaciones de la Agencia Espacial Europea en la Guayana Francesa, un satélite el 21 de Diciembre de 2007, aunque iba a tener una vida útil de unos dos años. El 4 de Agosto de 2010, se lanzó el primer satélite de telecomunicaciones genuinamente pan-africano. Este satélite brinda televisión (entre ellas la cadena estatal libia Arrai, basada en Damasco, Siria), Internet y comunicaciones telefónicas (incluyendo en el olvidado mercado de telefonía móvil en las zonas rurales) a toda África, acabando con el "telón de acero digital" que separaba al continente del resto del mundo, y sin necesidad de depender de compañías extranjeras.

 

Pero el  principal problema era que la Unión Africana estaba en proceso de crear un sistema financiero africano, que se basaba principalmente en el Banco Africano de Inversiones (Trípoli, Libia), el Banco Central Africano (Abuja, Nigeria) y especialmente el Fondo Monetario Africano (Yaundé, Camerún), que disponía de 40 mil millones de dólares y estaba empezando a suplantar al Fondo Monetario Internacional (que ha dirigido buena parte de la economía africana hasta ahora, abriendo las puertas a las multinacionales y a los bancos occidentales, y canalizando toda la riqueza de los países africanos hacia las costas y los mares). A esto hay que unir el proyecto del dinar-oro libio, que iba a suplantar al franco-CFA y al dólar como moneda de reserva de la Unión Africana. Esto lo veremos inmediatamente con más detalle.

 

La UA ha intentado desesperadamente evitar la Guerra de Libia. El 9 de Abril, pidió el cese inmediato de hostilidades y el envío de asistencia humanitaria, así como la protección de trabajadores inmigrantes en Libia. El comité de la UA intentó volar a Libia para discutir estos planes, pero la ONU le denegó el permiso. 

 

 

EL DINAR-ORO Y EL DOMINIO DE ÁFRICA

 

Libia es una amenaza para la seguridad financiera de la humanidad.

(Nicolas Sarkozy).

 

Que la economía —especialmente la economía financiera, especulativa y comercial— está en la base de la mayor parte de conflictos modernos, no se le escapa ya a casi nadie. Los experimentos financieros poco ortodoxos fueron la causa de la caída de estadistas como Napoleón, Abraham Lincoln, Hitler… y ahora Gaddafi. La opinión pública tiene relativamente claro que, en el caso de la guerra de Libia, el motivo económico es el petróleo. Sin embargo, hay otros motivos económicos igual de importantes o más. Para poder comprender por qué Gaddafi estaba amenazando gravemente a la Internacional del Dinero, hay que examinar primero el papel del dólar.

 

El dólar es actualmente la causa de buena parte de las inestabilidades financieras del mundo. Para saber por qué esto es así, tenemos que retroceder en el tiempo y ver cómo funcionaba la economía comercial antes de 1971. En aquella época, la riqueza estaba basada en el patrón-oro, y el dólar, la principal moneda de reserva, tenía, desde la conferencia de Bretton Woods de 1944, un cambio fijo con respecto al oro: una onza de oro equivalía a 350 dólares. Por regla general, los países buscan exportar más de lo que importan, a fin de que su balanza comercial (diferencia entre exportaciones e importaciones) sea positiva. Para ello, deben tener una economía productiva, para poder vender y obtener divisas para comprar bienes a otros países. Sin embargo, Estados Unidos estaba empezando a aprovecharse de que el dólar se cambiaba directamente a oro y de que era la principal moneda de reserva, para imprimir más billetes que oro existente, pagando sus importaciones con esos billetes, que en la práctica, cada vez valían menos. Esto tuvo como efecto que muchos países le pidiesen a Estados Unidos oro en vez de dólares como pago por sus exportaciones. Uno de estos países fue la Francia de De Gaulle. Cuando los barcos franceses aparecieron en el puerto de Nueva York pidiendo oro, Nixon decretó en 1971 la abolición del patrón-oro y la convertibilidad fija del dólar a oro… precisamente para evitar que el Departamento de la Tesorería perdiese sus reservas.

 

A partir de entonces, el dólar se convierte en la moneda de reserva mundial y se considera una riqueza de por sí. La mayor parte de las transacciones comerciales se hacen en dólares, pero la realidad es que el dólar ya no está respaldado por nada (esto queda claro por el hecho de que, desde que el dólar ya no tiene un cambio fijo con respecto al oro, la onza de oro ha subido desde 350 dólares en 1971 a 1700 en 2011). La Reserva Federal o FED, el banco central emisor de dólares, puede crear (siempre a crédito) la cantidad de papel-moneda que quiera sin límite alguno, abusando de la "confianza de los mercados" para adquirir todo tipo de bienes (especialmente petróleo), y así importando (consumiendo) muchísimo más de lo que exporta (produce). Se trata de un negocio redondo: dándole a la máquina de imprimir billetes, la FED está automáticamente imprimiendo petróleo, gas natural, alimentos, sobornos, fondos para fundaciones políticas y financiación de movimientos subversivos en el extranjero, etc. No importa que la balanza comercial estadounidense sea la más deficitaria del mundo o que su deuda sea la mayor con diferencia: todo puede solucionarse imprimiendo dólares… a menos que un día el dólar deje de ser la moneda de reserva internacional y sus socios comerciales dejen de aceptarlo y exijan que les paguen con otras divisas.

 

En cambio, los otros países, que no tienen poder para crear dólares, para poder entrar en el comercio mundial, deben obtener dólares siguiendo las reglas del mercado: siendo honrados, trabajando de forma productiva, exportando al extranjero y pidiendo que les paguen dichas exportaciones en dólares para poder, a su vez, comprar otros bienes. En suma, produciendo más de lo que consumen.

 

Por este motivo, se puede entender el nerviosismo de Wall Street cada vez que un país pide, a cambio de sus exportaciones, otra cosa que no sean dólares (como oro en el caso de De Gaulle y Gaddafi, euros en el caso de Saddam Hussein, Irán y Noruega, rublos en el caso de Siria, etc.), ya que eso automáticamente aniquila la hegemonía del dólar, Washington perdería su as en la manga y Estados Unidos se vería obligado a producir y exportar para obtener otras divisas y pagar su deuda: tendría que seguir las mismas reglas que el resto de países del mundo, y se encontraría conque la falta de un tejido económico productivo (trasladado a Asia Oriental) y su posición geográfica (pésima para exportar, a diferencia de Alemania o Japón) le condenarán al aislamiento internacional.

 


El dólar fiduciario es el mayor negocio de la historia, y no está en manos del Gobierno de los Estados Unidos, sino de un banco privado: la Reserva Federal. El 4 de Junio de 1963, mediante la Presidential Order 11110, Kennedy (el único Presidente católico de la historia estadounidense) le arrebató de un plumazo a la Reserva Federal el poder de crear dinero, entregándole ese poder al Gobierno. El Departamento de Tesorería comenzó a emitir billetes marcados en rojo y con la leyenda "US Note" (en vez de los tradicionales marcados en verde y con la leyenda "Federal Reserve Note"). Estos nuevos billetes eran propiedad del Gobierno y del pueblo americano, estaban totalmente libres de deuda y de interés, y se hallaban respaldados por reservas de plata [3]. Llegaron a circular 4 mil millones de estos dólares "reales". Cinco meses después, Kennedy era asesinado y todos los billetes gubernamentales marcados con "US Note" fueron retirados de circulación. Nadie le falta al respeto a la Reserva Federal ―y si Kennedy lo pagó, Gaddafi no iba a ser menos.

 

Puesto que el dólar no está respaldado por ningún activo tangible, cada vez que la Reserva Federal emite dólares y aumenta su masa monetaria (sin respaldarla con producción de riqueza real), está devaluando la moneda (y los precios de los principales productos comerciales, que se fijan en dólares), y esta devaluación afecta especialmente a los países extranjeros, que ven cómo sus reservas de dólares valen cada vez menos por culpa de la inflación. Además, el exceso de masa crediticia creada, se dedica a flotar ociosa en el maremágnum de los mercados, especulando, causando burbujas, buscando mercados inverosímiles y sentando las bases de futuras crisis. Se cree que, por culpa del dinero fiat (creado indiscriminadamente de la nada), la masa monetaria que hay en el mundo, entre dinero físico y virtual, es diez veces superior al PIB mundial, es decir, el conjunto de bienes y servicios susceptibles de ser comprados. Es por ello que a menudo se oyen declaraciones muy contundentes criticando a la finanza estadounidense, como cuando el Primer Ministro ruso Putin dijo que EEUU era el "parásito" de la economía global —una frase totalmente acertada, ya que cada vez que la FED emite moneda, está literalmente robándoles riqueza a los países tenedores de dólares y/o de deuda estadounidense (China, Japón, Rusia, etc.)., importando todo lo que quiere y, a cambio, exportando sólo papeles con tinta. Esto ha escalado hasta convertirse en una guerra financiera entre oligarquías capitalistas del mundo. Una de estas oligarquías parece todavía atada al poder del dólar, y las otras consideran que, definitivamente, "el dinero no tiene patria", y que ha llegado la hora de efectuar una globalización monetaria total.

 

Ya el economista John M. Keynes había pedido en su día el establecimiento de una moneda mundial (el "bancor"), pero ha sido especialmente después de la quiebra de la banca Lehman Brothers en 2008, que han surgido infinidad de voces pidiendo la adopción de una nueva moneda de reserva que no sea el dólar. El euro es la alternativa más creíble (razón por la que los ataques de los mercados estadounidenses contra Europa y los países que exportan en euros son muchos), pero también se han escuchado peticiones a favor de una moneda global totalmente nueva —lo cual cerraría definitivamente el círculo de la globalización y sometería la economía internacional a un Banco Central, probablemente el FMI. Mientras este proyecto no se concreta, muchos han sido los países (especialmente musulmanes) que han tonteado con los yuanes-oro, los dinares-oro y los dirhams-plata. El más importante ha sido Libia.

 


Antes de la invasión de la OTAN, Gaddafi estaba a punto de lanzar su invento financiero: el dinar-oro. Esta moneda iba a estar respaldada por oro, del cual el Banco Central libio tenía las mismas reservas que Reino Unido (144 toneladas, valoradas en 6500 millones de dólares), pero con un 10% de su población, con lo cual, en la práctica, el pueblo libio tenía 10 veces más oro que el Reino Unido. Gaddafi quería que el dinar-oro se convirtiese en la moneda de reserva de la Unión Africana y en la única divisa válida para vender sus exportaciones, obligando a los países que quisiesen comprar petróleo libio a obtener antes dinares-oro, ya pagando con oro, productos comerciales u con otros bienes y servicios ―pero en todo caso no con dólares ni otras divisas abstractas.

 

Mediante esta política, Gaddafi estaba a punto de socavar el dominio en África de dos importantes monedas: el dólar y el franco-CFA (Colonias Francesas de África). Esta última moneda, oportunamente, tiene un cambio fijo con respecto al euro, y su emisión se decide desde París para controlar económicamente su patio trasero geopolítico en África Subsahariana: un arco que va desde el Cabo Verde (Senegal), pasa por el río Níger y el centro de África, y termina en la desembocadura del río Congo. En todo este espacio, París mantiene numerosas campañas militares, generalmente desconocidas por la opinión pública ―trabajo sucio hecho principalmente por la Legión Extranjera francesa, a menudo en contra de los intereses de Washington, al menos hasta que Francia volvió al redil de la OTAN en 2009.

 


Países donde está implantado el franco-CFA como moneda de reserva. En estos países, Francia mantiene su propio negocio particular, similar al dólar de EEUU en el resto del mundo: simplemente a base de crear francos de la nada, prestarlos a interés y endeudar países, París obtiene cacao, oro, algodón, sal, diamantes, madera, pescado, algo de petróleo y gas natural, fosfatos, uranio y otros minerales, etc. En una frase, obliga a todo el aparato productivo de sus ex-colonias a dirigir sus esfuerzos hacia el comercio exterior, mientras obliga a todos sus presupuestos públicos a dedicarse al reembolso de la deuda. A cambio, los países africanos obtienen billetes sin ningún valor real, y que sus fondos sean propiedad de la Tesorería francesa. Gaddafi iba a darles a estos países la oportunidad de obtener riqueza real a cambio de sus exportaciones, pagando su deuda y liberándose de las tiranías monetarias. El franco-CFA está controlado desde París y desde bancos centrales africanos bajo control del Tesoro francés (que no de la Unión Europea): el Banco Central de los Estados de África Occidental (Dakar, Senegal), el Banco de los Estados de África Central (Yaundé, Camerún) y en menor medida el Banco Central de las Comores.

 

¿Por qué eran el dólar y el franco-CFA herramientas sumamente útiles para controlar a África? Cuando un país africano (o casi cualquier país del mundo) necesita dinero, lo pide prestado a un banco central, que lo crea de la nada, imprimiéndolo a tutiplén sin ningún respaldo (oro, plata, trabajo, riqueza real, etc.). Este banco central extranjero no da el dinero alegremente sin más: lo presta a interés. Es decir, no se trata de dinero real, sino de crédito, o deuda. Eso significa que el país africano de turno debe todo el dinero que tiene, más una cantidad adicional. Para ir devolviendo su deuda (que siempre es impagable en dinero, ya que es mayor que la masa monetaria), el país africano se ve forzado a comerciar con la potencia emisora de su deuda para que le vaya "perdonando" dólares o francos, y en última instancia, privatizando sus recursos e infraestructuras, liberalizando su economía y abriendo las puertas a compañías extranjeras. Capitalismo global-neoliberal en estado puro.

 

La ruptura de Gaddafi iba a consistir en lo siguiente: África ya no tendría que pedir prestados euros, dólares o francos a potencias extra-africanas. Ahora cualquier país africano (salvo Marruecos) podría pedirle a la Unión Africana dinares-oro sin interés alguno. Como esta moneda sería muy fuerte (respaldada por riqueza real: oro y petróleo), enseguida se haría un hueco en el comercio internacional, pagando su deuda, no volviendo a contraer deudas jamás, liberándose de la tiranía de las monedas parasitarias del mundo, encareciendo sus exportaciones, abaratando sus importaciones, mejorando su nivel de vida y escogiendo con qué países establecen lazos comerciales según sus propios intereses. Nos encontramos conque Gaddafi iba a desplazar al Fondo Monetario Internacional y otros bancos como prestamista internacional, e iba a derribar al dólar y al franco-CFA del podio monetario africano. Gaddafi, no las ONG’s ni los bancos, era la solución al problema del hambre en África. Puede que ahora comprendamos por qué era tan popular en África subsahariana y por qué Estados Unidos y Francia tenían ese interés por acabar con él.

 


Billete de 20 dinares con mapa del Gran Río Artificial.

 


La conexión Strauss-Kahn y Libia

 

Puede decirse sin miedo a desvariar que Dominique Strauss-Kahn es un cerdo capitalista típico. Sin embargo, es un cerdo capitalista sensato y consecuente que, en vista de los daños que el dólar está haciendo a su amado capitalismo, quiso proponer una solución. DSK era el valedor de las oligarquías capitalistas europeas y BRIC (Brasil, Rusia, India, China) en el Fondo Monetario Internacional, y se estaba empezando a oponer denodadamente a las estrategias de la oligarquía estadounidense.

 

Es preciso remontarnos al 29 de Marzo de 2009, fecha en la que Zhu Xiaochuan, gobernador del Banco Central de China (es decir, el banco que emite los yuanes) criticó la supremacía del dólar y propuso crear una nueva moneda virtual de reserva, respaldándola con DEG (Derechos Especiales de Giro, activos emitidos por el FMI que son cambiables a dólares, euros, yens y libras esterlinas, y que cobran protagonismo especialmente cuando el dólar está débil, ya que muchos inversores se refugian en ellos). Días después, en la cumbre del G20 de Londres, Washington aceptó la emisión de DEG por valor de 250.000 millones de dólares. En la cumbre del G8 en Aquila, el 8 de Julio de 2009, Moscú propuso concretar el proyecto, emitir realmente esta nueva moneda de reserva, llegando a mostrar prototipos. Gaddafi, que había concebido el dinar-oro en el 2000, decidió unirse a este proyecto, con la idea de respaldar su moneda con los DEG del FMI. El asunto pasó al examen de la ONU, y estaba a punto de ver la luz el 26 de Mayo de 2011, durante la cumbre del G8 en Deauville. El dólar habría dejado de ser la moneda de referencia del mundo, y EEUU habría tenido que renunciar a financiar su crecimiento y su maquinaria militar a través de la deuda indefinida.

 

Sin embargo, la detención de DSK, presidente del FMI, 11 días antes de la cumbre, interrumpió todo este proceso. El capitalista (que años atrás había elogiado el progreso económico de Libia) fue acusado de acosar a una empleada de hotel, y fue detenido y aislado durante días, justo cuando (según webs como voltaire.net) se disponía a tomar un avión para Berlín, donde iba a entrevistarse con la canciller alemana Angela Merkel, para encontrarse después con emisarios gadafistas e intentar obtener una firma de Gaddafi para aprobar el proyecto de la nueva moneda. El FMI parecía interesado en emplear el sistema en Libia como campo de ensayo, para luego generalizarlo internacionalmente. ¿Por qué Libia? Por un lado, porque Libia tenía un inmenso fondo soberano (que incluía sus reservas de oro y 150 mil millones de dólares), y por otro lado, porque el Banco Central libio ya emitía dinero libre de deuda y de interés.

 


El antiguo Banco Central Libio.

 

Es inquietante constatar que en Sudamérica está teniendo lugar algo parecido a lo que proponía Gaddafi con su Unión Africana y dinar-oro: un nuevo banco central común (el Banco Sur) y una nueva moneda de reserva (el SUCRE) para el continente sudamericano. Esta moneda podría respaldarse con oro, cobre y petróleo, pero parece que, a diferencia de la moneda gaddafista, seguirá empleando el interés.

 

 

"Des-gaddafización" del sistema financiero libio y la rentabilidad de la guerra de Libia

 

Destruir el sistema financiero gaddafista, que le negaba beneficios al poder financiero internacional, era una de las prioridades de la OTAN. Para lograrlo, han hecho varias cosas.

 

• Congelar los fondos de la familia Gaddafi.

 

•  Congelar los activos del Estado libio, del Libyan Foreign Bank y de la Libyan Investment Authority en el extranjero, incluyendo 150 mil millones de dólares, de los cuales 100 mil millones están en manos de países de la OTAN. Supuestamente, las reservas de oro libias fueron trasladadas por las autoridades gaddafistas a Níger y a Chad (donde hay petróleo, que la CNPC china ya aseguró en el 2007 firmando un tratado con el gobierno, aunque las estadounidenses ExxonMobil y Chevron tienen importantes intereses allí, incluyendo un oleoducto).

 

• Londres, París y Nueva York mandaron cuadros de los bancos HSBC (guardián de 25 mil millones de euros en inversiones libias bloqueadas) y Goldman Sachs,  para crear un nuevo banco central (el Central Bank of Libya). Este nuevo banco, que es una mera filial de los anteriormente mencionados, emite, ya con el gobierno rebelde, una nueva masa monetaria de un dinero como el que tenemos en Occidente: dinero-fiat o fiduciario, deuda a interés, que tiene el mismo valor que el papel + la tinta que lo compone, y que encima condena al propietario a pagar una deuda con un activo tangible (el sudor de su frente). Los activos del antiguo Banco Central libio (un banco 100% controlado por el Estado, cuya sede en Trípoli fue de los primeros edificios gubernamentales en ser bombardeados por la OTAN) son confiscados, y cuando se desbloqueen los fondos que Libia había invertido en el extranjero, este banco será el encargado de gestionarlos.

 



 

• Asegurarse de que el CNT (Consejo Nacional de Transición) libio se comprometa a pagar la "ayuda" de la OTAN a Libia.

 

• Irónicamente, los países que han congelado y saqueado los fondos de Libia, acordaron en París prestárselos (a interés, por supuesto) al nuevo gobierno rebelde, para financiar la reconstrucción del país. Libia está llamada a formar parte de las filas de países africanos tercermundistas, irreversiblemente endeudados con el poder financiero internacional y con sus valiosos recursos saqueados por empresas privadas extranjeras cuyos beneficios, para colmo, no van a su país de origen, sino a una reducida élite con cuentas corrientes en paraísos fiscales y paraísos esclavistas.

 

• Neutralización del poder financiero de la Unión Africana, que emanaba directamente de las inversiones libias y que amenazaba con emancipar a África de la tiranía monetaria internacionalista. Esto incluye el Banco Africano de Inversiones, el Banco Central Africano y el Fondo Monetario Africano.

 

• El Fondo Monetario Internacional, ya bajo la dirección de Christine Lagarde (una valedora de los intereses atlantistas, cuyo nombramiento suscitó las protestas de Rusia y China), rápidamente reconoció el nuevo consejo de gobierno libio como un poder legítimo, abriendo las puertas a una miríada de entidades prestamistas que ahora podrán "ofrecer su financiación" (léase endeudar) al nuevo Estado. Por su parte, el Banco Mundial, en cooperación con el FMI, ofrece ayudar a reconstruir infraestructuras destruidas y apoyar "preparaciones presupuestarias" (léase medidas de austeridad).

 

• KBR (Kellog Brown Root), una empresa subsidiaria de Halliburton, se ha hecho con los contratos de reconstrucción de los acueductos y otras infraestructuras civiles arrasadas por los bombardeos de la OTAN.

 

• La guerra de Libia ha sido un escaparate para la industria armamentística de medio mundo. La declaración de la zona de exclusión aérea primero, y las miles de misiones de bombardeo después, han permitido a la UE y a EEUU lucir sus juguetes de guerra para que los posibles compradores vayan tomando nota. La empresa francesa Dassault Aviation SA, muy relacionada con Sarkozy, ha podido exhibir sus cazas Rafale. La multinacional estadounidense Lockheed Martin se dedicó a pasear su F-16 Fighting Falcon, y la poderosa Boeing su F/A-18 Super Hornet, mientras que el consorcio Eurofighter (Reino Unido, Alemania, Italia y España), pudo desplegar sus Typhoon. Atentos a este macabro desfile estaban los tiburones de países como India, Japón, Arabia Saudí, Qatar, Kuwait, Omán y Suiza, países que están pensando en dotarse de nuevos aparatos para su aviación militar.

 


 

 

Más sobre el patrón-oro

 

http://www.liberalismo.org/articulo/222/12/patron/oro/

http://www.oroyfinanzas.com/2010/08/se-cumplen-39-anos-desde-que-nixon-abandonara-el-patron-oro/

http://luiseduardoherrera-luiseduardoherrera.blogspot.com/2010/04/desde-que-nixon-elimino-el-patron-oro.html

 

 


QUIÉNES ESTÁN DETRÁS DE LA GUERRA DE LIBIA

 

El motor de la Guerra de Libia ha sido los intereses de una oligarquía económica francesa cristalizada en torno a Sarkozy, y el lobby sionista de Estados Unidos y Reino Unido.

 

El senador Joseph Lieberman fue quien transmitió una petición de Tel-Aviv a la Casa Blanca en Febrero de 2011, exigiendo que Obama suministrase armas, asesoramiento y dinero a los rebeldes para poder establecer una zona de exclusión aérea sobre Libia. Otro senador, Lindsey Graham, declararía en la CNN que "Mi recomendación para la OTAN y la Administración es cortar la cabeza de la serpiente: ir a Trípoli y empezar a bombardear".

 

En una carta abierta a la House of Republicans, una serie de personajes de la política estadounidense pedían que Washington se saltase las resoluciones "humanitarias" de la ONU de Marzo de 2011 y empezase a armar a los "rebeldes" para derrocar a Gaddafi y propiciar un cambio de régimen. Los firmantes: Elliot Abrams, John Podhoretz, Robert y Fred Kagan, Lawrence Kaplan, Robert Lieber, Michael Makovsky, Eric Eldelman, Kenneth Weinstein, Paul Wolfowitz (que tuvo un papel esencial apoyando la Guerra de Iraq en 2003), Randy Schneunemann y el neocon William Kristol, quien en la Fox declaró simplemente "No podemos dejar a Gadafi en el poder, y no vamos a dejar a Gadafi en el poder".

 

En la edición del 22 de Agosto de 2011 del Financial Times, un artículo titulado "Libia ahora necesita botas sobre el terreno", Richard Haass, el presidente del CFR (Council on Foreign Relations), finalmente reconocía abiertamente que las operaciones en Libia tenían por objetivo derrocar a Gaddafi (ni rastro de "proteger a la población civil" o brindar "ayuda humanitaria").

 

La Guerra de Libia puede interpretarse en buena medida como una operación comercial por parte de las petroleras angloamericanas y francesas para resarcirse de las posiciones perdidas respectivamente en Iraq (a favor de Irán y China) e Irán (cuando Francia aceptó retirar su petrolera Total debido a las sanciones internacionales sobre Teherán).

 

 

 

¿QUIÉNES SON "LOS REBELDES LIBIOS"?

 

En Libia NO ha habido un cambio de régimen por "revueltas populares". Gaddafi era extraordinariamente popular, no sólo en Libia, sino en buena parte de África subsahariana. Las famosas "revueltas de Libia" no han sido sino un golpe de Estado, un alzamiento por parte de una porción del Ejército y otros cuadros de mando del régimen libio. Estas facciones gubernamentales se desgajaron de la autoridad de Trípoli cuando Gaddafi anunció otra ronda de nacionalizaciones petroleras. Dicha acción iba a privar a estos señores de acaparar beneficios y erigirse en la versión libia de los jeques árabes del Golfo. Así tenemos por ejemplo al presidente del CNT (Consejo Nacional de Transición), Mustafá Abdul Jalil, antiguo ministro de justicia de la Yamahiriya. Jalil fue invitado a Londres para discutir su participación de los beneficios petroleros. En la práctica, puede decirse que es simplemente un disidente gaddafista sobornado por Occidente. Lo mismo puede decirse de Mahmud Jibril, alto funcionario económico que había intentado "neoliberalizar" el país con una oleada de privatizaciones, y que no veía con buenos ojos el proyecto de redistribución de riqueza que Gaddafi había anunciado en 2008. Seis meses antes del conflicto libio, Jibril, cuyo modelo de Estado económico liberal era Singapur, se había reunido en Australia con Bernard-Henri Lévy, un "intelectual" francés, para discutir sobre la formación del Consejo Nacional de Transición y el derrocamiento de Gaddafi. En cuanto estalló la rebelión en Bengasi, Jibril voló inmediatamente a Cairo, para encontrarse con el igualmente rebelde Consejo Nacional Sirio y con Lévy de nuevo. Puede ser una de las razones por las que el nuevo gobierno libio ha reconocido al CNS como el gobierno legítimo de Siria.

 

En cuanto a los "rebeldes libios" propiamente dichos, la mayoría ni siquiera son propiamente libios, sino soldados qataríes (y ver aquí) y jordanos, así como mercenarios y muyahidines saudíes (concretamente del príncipe Bandar), emiratenses, kuwaitíes, ex-talibanes, ex-"presos" de Guantánamo, al-qaederos pakistaníes e incluso contratistas colombianos y mexicanos (de hecho, en el vídeo de la captura de Gaddafi se ha podido escuchar a varios "rebeldes libios" hablando en español iberoamericano). Esta heterogénea tropa ha estado activamente asesorada desde primeros de Marzo de 2011, puede que antes, por la CIA, el MI6, la Inteligencia francesa y grupos de operaciones especiales de EEUU y Reino Unido. Buena parte de estos combatientes son la respuesta de los petro-regímenes del Golfo a la ayuda brindada por EEUU durante las revueltas populares en lugares como Bahrein y Yemen ―que fueron sofocadas con tremenda brutalidad pero que, a diferencia de Libia, no han suscitado una respuesta por parte de "la Comunidad Internacional". La presencia de combatientes del Golfo era tan obvia para las fuerzas lealistas de Gaddafi que a menudo, para distinguir a los "rebeldes", les bastaba hablarles en árabe libio. Si la respuesta era en árabe del Golfo, se les tiroteaba sin más.

 

Aquellos rebeldes que sí son libios son principalmente radicales musulmanes y gente vinculada con Al-Qaeda, procedentes esencialmente de Derna y Bengasi, al Este del país, y cuyo objetivo es imponer la Sharia en Libia, cosa que por cierto van a conseguir. A toda esta morralla se le debe que hayamos escuchado innumerables gritos de "¡Allah akbar!" en diversos vídeos sobre los "rebeldes" filtrados a la opinión pública, igual que en el caso de los "rebeldes sirios".

 

La democracia llega a la Plaza Verde: la base social de la "rebelión libia" celebra su triunfo.

 

Estos "rebeldes" no son, ni mucho menos, una fuerza homogénea, igual que no ha sido homogénea la fuerza multinacional que ha atacado Libia. Las diversas facciones "rebeldes" incluso han combatido entre ellas, especialmente en Trípoli, debido a sus procedencias tan diversas, sus intereses tan divergentes y especialmente por las concesiones petrolíferas de diversas multinacionales extranjeras. Finalmente, dos son las banderas que se han impuesto en Libia. Una es la antigua bandera monárquica del rey Idris ―un títere de los angloamericanos. La otra es la de Al-Qaeda.

 

 

CÓMIENZA LA GUERRA

 

La Guerra de Libia forma parte de la primavera árabe y los "movimientos espontáneos" de Occidente. Se trata de un conjunto de movimientos variopintos, patrocinados por fundaciones y ONGs del tipo USAID, Albert Einstein Institution, NED, NDI, IRI, ACIL, ICNC, CIPE, Safe Democracy Foundation, CEIP, etc. Y ver aquí. Estas organizaciones son fachadas legales de la CIA que operan en el extranjero bajo la excusa de expandir la democracia liberal, con el verdadero objetivo de privatizar los recursos, propiciar cambios de régimen y abrir las puertas a la influencia extranjera.

 

La resolución 1973 de la ONU (17 de Marzo de 2011), propuesta por Francia, Líbano y Reino Unido, fue adoptada para "tomar todas las medidas necesarias" para "proteger a los civiles y a las áreas pobladas bajo amenaza de los ataques". Esto incluía crear una zona de exclusión aérea sobre Libia, es decir, "desmilitarizar" su espacio aéreo, impedir que la aviación militar libia se echase al cielo. En la práctica, la zona de exclusión aérea tomó un cariz bien distinto. La resolución 1973, desde el principio, se basó en una mentira: la mentira de que Gaddafi había bombardeado a su pueblo en Febrero. El Ministerio de Asuntos Exteriores de Rusia, que monitorizó Libia desde el principio con satélites del Ejército, afirmó tajantemente que Gaddafi no había emprendido ningún bombardeo.

 

"La primera víctima de la guerra es la verdad", dice la conocida frase de un senador americano. En este caso, la mentira del bombardeo sirvió para tres cosas:

 

1- Para que la OTAN atacase Libia, lanzando EEUU su "Operación Amanecer de la Odisea", con el único objetivo de servir de ala aérea a los rebeldes, impedir que las fuerzas gaddafistas se defendiesen, asegurar el petróleo y arrasar las infraestructuras civiles y militares de Libia.

 

2- Para legitimar a Jalil, quien tuvo un pretexto para dimitir como ministro de justicia, desmarcándose así del régimen de Gaddafi y lavando su cara para pasar, en tiempo récord, a ser presidente del Consejo Nacional de Transición.

 

3- Para poporcionar una envoltura humanitaria a un paquete en el que no hay más que una intervención militar violenta a favor de sórdidos beneficios monetarios, petrolíferos y geoestratégicos.

 

Los únicos países que han voceado una crítica seria y enérgica contra la chapuza de la Guerra de Libia han sido Rusia, Turquía e Irán. En Occidente, la única política que ha sido mínimamente honesta con Libia ha sido Marine Le Pen. Libia ha pasado a formar parte de otras víctimas de la mentira como Serbia (bombardeos humanitarios para proteger a los "pobres e indefensos" albanokosovares), Afganistán (atentados del 11 de Septiembre) e Iraq (armas de destrucción masiva).

 

Entretanto, otros regímenes árabes, como Yemen y Bahréin, han reprimido verdaderas manifestaciones masivas con increíble brutalidad, sin que los medios de comunicación de Occidente les condenasen ni se rasgasen las vestiduras lo más mínimo. Así, las tropas saudíes pudieron entrar con tanques en Manama, irrumpir en hospitales (incluyendo el Centro Médico Salmaniya), violar a las enfermeras, hacer fuego contra ambulancias, practicar detenciones ilegales, ametrallar al grueso de una manifestación desde carros blindados y helicópteros Cobra made in USA, utilizar gases nerviosos, etc. Incluso desaparecieron "misteriosamente" los órganos de muchos cadáveres (como ya ha pasado y sigue pasando en Kosovo con los serbios) y un preso murió torturado en la cárcel en circunstancias poco claras. Todo bajo la atenta mirada de la V Flota de los Estados Unidos, estacionada en Bahréin. No hubo resolución ni contra Arabia Saudí ni contra la familia real Khalifa (una casta sunnita que gobierna despóticamente un país chiíta, con el único objetivo de contener la influencia iraní en el Golfo Pérsico). No sólo no se brindó nigún apoyo a los rebeldes bahreiníes, sino que hasta se les tachó de extremistas en los medios de comunicación occidentales (por ejemplo, en "El País"). Este repugnante e hipócrita doble estándar está totalmente en contradicción con los elevados valores morales, solidarios, humanitarios y caritativos que, nos hacen creer, mueven cada intervención de la OTAN.


ORGANIZACIÓN TERRORISTA DEL ATLÁNTICO NORTE —CRÍMENES DE GUERRA DE LA OTAN EN LIBIA

 

El atlantismo no parece haber cambiado su naturaleza piratesca, saqueadora y mercenaria desde que Drake y Hawkins atacaban a los barcos españoles en el Siglo XVI. El nuevo nombre de la operación de bombardeo sobre Libia ("Protector Unificado") es una cruel burla. José Riera, el nuevo embajador español en Libia, ha dejado claro que hay mucho que hacer y reconstruir, ya que Libia ha quedado totalmente destruida, pero no por los bombardeos de la OTAN o las atrocidades de los rebeldes, sino... ¡por "cuarenta años de dictadura"! La desfachatez e hipocresía de los políticos occidentales clama al cielo y debe ser denunciada.

 

La realidad sobre la "intervención humanitaria" es que la OTAN, con la excusa de proteger a los civiles de supuestos bombardeos… ha bombardeado a esa misma población civil y se ha cargado casi todas las infraestructuras económicas de Libia, condenando a la población a la miseria, la hambruna, la sequía y la enfermedad. Más de 14.000 misiones de bombardeo han devuelto el país a la edad media. En Septiembre, el nuevo ministerio de sanidad del gobierno rebelde ha hablado de 30.000 muertos y 50.000 heridos sólo en los primeros 6 meses de guerra. La verdadera cifra de muertos en los 9 meses de guerra podría ser mucho mayor: el periodista Thomas C. Mountain habla de 30.000 bombas lanzadas (sin contar 100 misiles de submarinos británicos y estadounidenses) y 60.000 civiles muertos, sólo hasta finales de Agosto. Repasemos brevemente los cargos contra la OTAN:

 

1- La OTAN ha bombardeado a la población civil. Ha destruido pueblos, barrios residenciales, universidades, un mercado de verduras y hasta una escuela de síndromes de Down en Trípoli. También ha bombardeado edificios gubernamentales muy valiosos: uno de los primeros edificios bombardeados la OTAN fue la Agencia Libia Anti-Corrupción de Trípoli, el objetivo de este bombardeo era destruir documentos sobre políticos libios que se quedaban con beneficios petroleros y los depositaban en bancos suizos ―estos políticos casualmente fueron los mismos que se pasaron inmediatamente al bando "rebelde". Un obispo católico, Giovanni Innocenzo Martinelli, denunció los sanguinarios "éxitos" de las misiones de bombardeo en Trípoli, que incluyen 40 muertos civiles al colapsar un edificio en el distrito de Buslim.  

 

Así ha quedado Sirte.

 

2- La OTAN ha bombardeado infraestructuras vitales. Se trata de los "objetivos de uso dual", así llamados porque pueden ser usados tanto por civiles como por militares (puentes, carreteras, edificios, refugios, acueductos, tendido eléctrico, generación eléctrica, fábricas, etc.).  Esta táctica, que ya se vio en la Guerra del Líbano de 2006, viola totalmente la resolución 1973 de la ONU, por lo cual se han dado casos de pilotos y altos oficiales que se niegan a obedecer las órdenes, sabiendo que en el futuro se les podrá someter a consejo militar y procesar por crímenes de guerra.

 

3- La OTAN ha empleado armas químicas y armas de destrucción masiva. Uranio empobrecido, gas mostaza, bombas termobáricas, fósforo blanco y bombas-racimo. A menudo ha acusado a las fuerzas gaddafistas de utilizar estos métodos, al tiempo que impedía que los periodistas y ONGs accedieran a los lugares de los hechos para verificarlos.

 

4- Los "rebeldes" han cometido numerosas atrocidades y crímenes de guerra contra población civil desarmada. Esto incluye el asesinato de 267 partidarios de Gaddafi en Sirte, 100 personas muertas al estallar una bomba tras el funeral de Gaddafi, el asesinato a traición del anciano jefe de la tribu Warfalla (la más numerosa e importante de Libia), el asesinato de 120 miembros de dicha tribu en Bengasi, el terrorismo contra los pobladores de Tawerga, leales a Gaddafi, el empalamiento de niños, la decapitación de soldados gaddafistas, el ahorcamiento sin juicio de oponentes y el asedio de Beni Walid, durante el cual los rebeldes y la OTAN impidieron a las ONGs suministrar agua, comida y medicamentos a los resistentes. Los rebeldes también se han dedicado al saqueo, a la violación, al linchamiento y al vandalismo en las localidades que han tomado, y lo más probable es que la mayor parte de sus atrocidades no hayan llegado a la opinión pública occidental.

 

5- Los "rebeldes" han llevado al cabo una limpieza étnica en toda regla contra los negros. Gaddafi era muy popular en África subsahariana y acogía a numerosos inmigrantes de esta región. También contaba con la lealtad de muchas tribus como los tuareg, y con unidades de mercenarios negros. El resultado es que todos los negros, incluso los negros libios que simplemente trabajan como obreros de la construcción, están bajo sospecha de ser mercenarios gaddafistas, y se les está liquidando sistemáticamente.

 

6- Gaddafi ha sido aseinado sin juicio y violando el tan cacareado "derecho internacional". Los "rebeldes libios" no han tenido empaque en secuestrar a un hombre de 70 años, herido y aturdido por un bombardeo, insultarlo, maltratarlo, humillarlo, golpearlo y finalmente lincharlo, todo sin dejar de gritar Allah akbar. También podemos añadir a esto la profanación de las tumbas de los padres de Gaddafi por parte de yihadistas, o el asesinato de Mutassim Gaddafi a manos de unos individuos que no hacen más que gritar Allah akbar.

 

Para colmo, tanto la OTAN como buena parte de la prensa occidental se han dedicado a manipular datos para intentar criminalizar al régimen gaddafista. Así, hemos podido ver cómo desenterraban en Abu Salim una fosa común de supuestos represaliados por Gaddafi que luego resultaron ser huesos de camellos (caso no muy distinto a los huesos de cabra y perro de Órgiva, Granada, que los subvencionados de la "memoria histórica" quisieron hacer pasar por 2.000-4.000 represaliados del franquismo), hemos visto a los atlantistas utilizando gas mostaza en Beni Walid y luego acusando a Gaddafi de hacerlo, hemos visto a los periodistas de la BBC entrando en un hospital de Trípoli lleno de cadáveres putrefactos, sin decir quiénes fueron los verdaderos asesinos, etc.

 

Un breve recuento de los crímenes de la OTAN puede ser encontrado aquí.

 


Trípoli antes de los bombardeos.

 


 


Los vergonzosos titulares de la prensa occidental en general y angloamericana en particular, mostraron bien hasta qué punto la objetividad y la imparcialidad saltaron por la ventana desde el instante en el que Libia se enemistó con el poder del dólar. "La primera víctima de una guerra es la verdad". El mensaje para el resto del mundo: esto es lo que les pasa a los que no doblan la cerviz ante las potencias hegemónicas de la globalización capitalista y neoliberal, esto es lo que les pasa a los regímenes que rechazan la globalización. Que vayan tomando nota Siria, Líbano, Irán, Sudán del Norte, Bielorrusia, Corea del Norte, Cuba, Myanmar, Turkmenistán y Venezuela.

 

 


LIBIA EN EL GRAN TABLERO: LA ATLANTIZACIÓN DEL MEDITERRÁNEO

 

El Atlántico está perdiendo poco a poco su importancia estratégica. En 2008, la mayor parte del flujo comercial marítimo se lo llevó el Pacífico, con 20 millones de TEUs (contenedores de 20 pies), seguido muy de cerca por el Mediterráneo, con 18,2 millones. El Atlántico sólo vio un flujo de 6,2 mllones. Esta tendencia parece que va a persistir, por un lado porque, desde la adopción del euro y el atentado del 11-S, Europa y Norteamérica han dejado paulatinamente de comerciar, volviéndose ambos continentes hacia Asia Oriental. Y por otro lado, existen proyectos, como el Corredor Mediterráneo, que tienden a restarle más protagonismo aun al Atlántico. Además, la nueva doctrina geoestratégica del America’s Pacific Century, enunciada por el Departamento de Estado en Noviembre de 2011, desde luego que no ayuda a reforzar el atlantismo propiamente dicho. ¿Caminamos hacia un, valga el palabro a falta de otro mejor, "pacifismo"? Cabría recordar que, para construir su "red de relaciones privilegiadas" con el Atlántico y Europa, Washington tuvo que arrasar el corazón de nuestro continente para quitarse del medio al "macho-alfa" regional: Alemania. No fue mediante la diplomacia, sino mediante la guerra, el bombardeo masivo y la represión, que se erigió el atlantismo ―y lo mismo podría decirse de las relaciones de Washington con Tokio. ¿Se erigirá el "pacifismo", o Chimerica, sobre la destrucción del "macho-alfa" de Asia Oriental?

 

Sea como fuere, estas no son buenas noticias para el eje atlantista, que ahora debe esforzarse aun más para garantizar su influencia en el Mediterráneo, a costa de Rusia, China y, en menor medida, las potencias de la Europa continental. El establecimiento del Estado de Israel en 1948 fue el primer gran paso de este proceso. La desintegración de Yugoslavia en 1992 y la neutralización de Serbia en 1999 fue otro, y la Primavera Árabe de 2011, el más reciente. Atlantizar el Mediterráneo ¿significa desestabilizarlo y balcanizarlo para que el comercio Europeo se oriente al Atlántico y el chino al Pacífico, por la inviabilidad de las rutas navales China-Europa? ¿Le conviene al atlantismo la expansión del radicalismo islámico por todo el Mediterráneo? Al menos eso parece ser lo que está favoreciendo la OTAN en nuestro mar.

 

Libia es el país africano con más costa en el Mediterráneo. A pesar de que en el pasado había intentado llevarse bien con todo el mundo, su tendencia a partir de la crisis crediticia en EEUU fue estrechar rápidamente lazos con Rusia, China y dos países que Gaddafi pensaba podían beneficiar a Libia: Italia y Francia. Como hemos visto antes, en la provincia de Cirenaica, que es donde estalló la rebelión, "casualmente" había 75 compañías chinas distintas y 36.000 trabajadores chinos (y no sólo obreros, sino también ingenieros, empresarios, funcionarios del Partido y personal de Inteligencia) trabajando en unos 50 proyectos petrolíferos, ferroviarios e inmobiliarios, en los que China había invertido miles de millones de dólares. Que el Mediterráneo albergue un trozo de China es inaceptable para el atlantismo, del mismo modo que albergue un trozo de Rusia: la base naval y de Inteligencia de Tartus (Siria), desde donde se monitoriza todo tipo de movimientos en Chipre, Israel, Suez y Oriente Medio.

 

Para las potencias atlantistas, el Mediterráneo tiene una cara y una cruz: la cara es que dicho mar es una enorme ría que les permite internarse profundamente en la "Isla Mundial" e interferir en Eurasia y África. La cruz es que estos movimientos dependen del control de puntos estratégicos y de toda una red de puertos y bases muy alejados de las metrópolis ―este control es extremadamente caro y exige una corriente continua de capital.

 


La perspectiva de "Oceanía" (entendiéndose como tal el concepto geopolítico de vocación marítima y basado en Estados Unidos y Reino Unido). En la idea anglosajona-israelí del Mare Suus (Mar Suyo) el Mediterráneo es un inmenso lago interior, una ría, que les permite a las potencias marítimas penetrar profundamente en "Eurasia" (entendiéndose por tal el concepto geopolítico basado en Europa y la Federación Rusa), estableciendo bases-portaaviones-lanzamisiles al fondo del lago (Israel y Georgia) y en otros lugares estratégicos (Marruecos, Albania-Kosovo, Rumanía, España), pasando al Mar Rojo, al Golfo Pérsico y al Índico, interviniendo en los asuntos internos de infinidad países y accediendo a sus recursos. El estrecho de Gibraltar es clave en esta estrategia. También son claves los contraataques del Kremlin en forma de bases navales (como la de Sebastopol en Ucrania o Tartus en Siria) y de "rusoductos" gasíferos —uno por el Báltico (Nord Stream), otro por el Mediterráneo (South Stream) y otro por África (Trans-Saharan)— que no vienen representados en el mapa.

 

La importancia del control español sobre la entrada del Mediterráneo quedó de manifiesto en 1973, cuando Franco y Carrero Blanco prohibieron a Washington emplear sus bases españolas para apoyar a Israel durante la guerra del Yom Kippur. La guerra vino en el contexto de una enorme crisis (que no fue petrolera como nos han contado, sino monetaria, del dólar) y produjo un embargo petrolero ―que afectó poco a nuestro país, gracias al petróleo que nos mandaba Saddam Hussein desde Iraq. Actualmente, tanto Siria como Libia, Gaza, Líbano y Argelia (y Serbia antes de taponarse su salida marítima con el estado artificial de Montenegro) son desafíos a la atlantización del Mediterráneo. Al norte, la situación se repite con el Báltico y los Estados-tapón (Estonia, Letonia, Lituania y Polonia). Tanto el Báltico como el Mediterráneo son empleados por Washington para atenazar a Rusia, contener su expansión hacia Europa y frustrar un entendimiento entre Berlín y Moscú.

 


Teoría del "Mare Nostrum". Una potencia continental eurasiática acerroja Gibraltar y Suez, blindando el Mediterráneo y haciendo sus países costeros tan inaccesibles al poder marítimo como Suiza o Bielorrusia. "Oceanía" perdería su acceso a Estados como Georgia, Libia, Kosovo, Rumania o Siria, pero seguiría teniendo acceso a Israel (a través del Golfo de Aqaba), a Arabia Saudí y a Iraq. Israel (a menos que se bloquease Aqaba) pasaría a ser un nuevo canal de Suez, una "bisagra de emergencia" entre el Mediterráneo y el Mar Rojo. Sin embargo, abastecer a Israel a través de esta nueva ruta, muchísimo más larga, entrañaría un coste muchísimo mayor, y no está el horno del dólar para bollos. Si el coste económico de este apoyo fuese mayor que el coste de una guerra contra Eurasia, habría guerra.

 

El Imperio Romano fue la primera y última potencia que consiguió asegurar plenamente todo el Mediterráneo. Tras la caída de Roma, el Mediterráneo se convirtió en un caos de potencias enfrentadas (bizantinos, vándalos, árabes, normandos, cruzados, aragoneses, venecianos, genoveses, turcos, españoles, franceses, británicos, israelíes, etc.), hasta nuestros días. Durante la II Guerra Mundial, Carrero Blanco aconsejó a Franco no entrar en el conflicto a favor del Eje a menos que los alemanes tomasen el canal de Suez, así acordaron Franco y Hitler en Hendaya. El plan sería frustrado por la derrota de Rommel en El Alamein. Durante el franquismo, hubo entendimientos entre Franco y el líder egipcio Nasser que incomodaron mucho al eje atlantista, que temía se pudiese estrangular a la nueva potencia mediterránea: Israel. Hoy en día, incluso aunque se acerrojasen Gibraltar y Suez, Israel podría seguir manteniéndose gracias a su minúscula franja costera en el  Mar Rojo (a menos que desde Egipto y Jordania se bloquease el Golfo de Aqaba).

 

Las potencias oceánicas tienen que danzar alrededor de las masas de tierra, colarse por los estrechos, establecerse en islas y ascender por las cuencas fluviales. Para una potencia oceánica, controlar, abastecer y sostener un punto costero lejano entraña un coste enorme, coste que actualmente el atlantismo sólo puede cubrir gracias a su control de las rutas comerciales y a su monopolio sobre la moneda de reserva mundial. Para una potencia continental, en cambio, cerrar un estrecho es mucho más fácil, ya que el teatro de operaciones está cercano y en muchas ocasiones ni siquiera es necesario echarse a la mar.

 


La pesadilla de Oceanía y el único modo de "eurasiatizar" el Mediterráneo al 100%: que Eurasia, como "Estado comercial cerrado", se aproveche de sus masas de tierra, cerrando a cal y canto los estrechos. Oceanía pierde definitivamente su acceso a países como Israel, Iraq o Arabia Saudí, y se convierte en lo que nunca debió dejar de ser: la periferia del mundo. (Seguiría teniendo acceso a los Emiratos Árabes Unidos y por tanto al Golfo Pérsico, a menos que se hiciese algo para bloquear la salida de Al-Fujayrah en el emirato de Abu Dhabi). En este proyecto, cobran una importancia capital Yemen y el Cuerno de África. Estas zonas precisamente se han vuelto altísimamente inestables a medida que ha aumentado el comercio entre Asia Oriental y Europa. Tanto Gadafi como Irán y China estaban/están muy involucrados en el Mar Rojo actualmente.

 

Esta serie de mapas hace más fácil entender por qué la obesión del atlantismo anglo, desde Clement Attlee hasta Hillary Clinton, ha sido asegurar el liberalismo y "la libertad de navegación en todos los mares": se trata del ideal del "Mare Liberum", formulado por el holandés Hugo Grocio en 1630 (en contraposición a quienes querían someter el mar a leyes, como el inglés John Selden con su doctrina del "Mare Clausum" de 1635).

 

 

FUTURO DE LIBIA Y PRÓXIMOS PASOS DEL ATLANTISMO EN ÁFRICA

 

La Libia gaddafista era un Estado estable que mantenía a raya al radicalismo islámico y que destinaba la mayor parte de su petróleo a la Unión Europea. Con la caída de Gaddafi, varias son los guiones posibles para Libia, pero tres cosas están claras.

 

1- El nuevo gobierno va a destinar la mayor parte de su petróleo a países como Estados Unidos, Reino Unido y Francia, en detrimento de otros como Italia, Alemania, España, China y Rusia. Los beneficios de la explotación petrolera ya no se quedarán en Libia, sino que engrosarán los bolsillos de las multinacionales y de una nueva oligarquía de petroleros autóctonos, al estilo de los jeques árabes del Golfo. El pueblo libio va a hundirse en la miseria.

 

2- Libia puede convertirse en una base de la OTAN, del mismo modo que Afganistán, Iraq, Albania y Kosovo. Bengasi puede pasar a albergar un nuevo Camp Bondsteel (la mega-base estadounidense en Kosovo). Su cercanía a Europa debería ser motivo de preocupación: puede ser una fuente de narcotráfico, trata de blancas, crimen organizado, tráfico de órganos y de armas, inmigrantes y terrorismo (ver cómo los arsenales gaddafistas acabaron en manos de Al-Qaeda).

 

3- Libia va a ser un país inestable. El orden de la época de Gaddafi y la Yamahiriya no volverá. Probablemente la resistencia lealista gaddafista tardará mucho en sofocarse y el escenario será comparable a Iraq. Esta inestabilidad se contagiará a Sudán, la franja del Sahel y el Cuerno de África además de África guineana y el Congo.

 

4- El Islamismo radical ganará posiciones en Libia. Por lo pronto ya hemos visto la bandera negra de Al-Qaeda ondeando en el palacio de la justicia de Bengasi, y hemos visto al CNT hablando de imponer la Sharia en el país. Más info aquí sobre la presencia de Al-Qaeda en Libia.


5- Libia va a convertirse en un país emisor de refugiados e inmigrantes. La Libia gadafista era un país lo bastante avanzado como para, no sólo no emitir apenas emigrantes a Europa (sin contar estudiantes becados y similares), sino además atraer inmigrantes de Egipto, Túnez, media África y hasta China. Ahora es previsible que la cosa cambie y que Libia se convierta en un país tercermundista de refugiados, damnificados, desheredados y muertos de hambre, que, desesperados, se precipitarán sobre Italia primero y el resto de la UE después. Por añadidura, los trabajadores subsaharianos que antes emigraban a Libia, ahora lo harán a la UE. La avalancha de negros que Gaddafi predijo se precipitaría sobre Europa si él caía, puede desencadenarse bien pronto, especialmente si tenemos en cuenta que la caída de Gaddafi va a desestabilizar Argelia, Chad, Níger, Sudán, República Centroafricana, Cuerno de África, etc. Esto no sería un problema si la política migratoria de Europa no estuviese controlada por multinacionales codiciosas y políticos vendidos, pero no es el caso.

 

Como hemos visto más arriba, los intereses del atlantismo en África son muchos, y no se detienen en Libia. Washington ha mandado fuerzas especiales a la República Centroafricana, y la independencia de Sudán del Sur es el primer paso para frustrar los intereses chinos en África Central. El nuevo país sudanés es un Estado-tapón que evita que el Atlántico y el Mar Rojo se comuniquen a través de dos enormes países (Congo y Sudán). Argelia, país extraordinariamente rico en gas natural y que busca desesperadamente una salida al atlántico a través del Sahara Occidental, ha acogido a Aisha Gaddafi y se niega a extraditarla. El presidente argelino Abdelaziz Buteflika temía tanto la acción extranjera que, durante los bombardeos de la OTAN sobre Libia, ni siquiera le cogió el teléfono a Gaddafi. Cuando, el 22 de Febrero de 2011, la Liga Árabe suspendió a Libia como miembro, Argelia fue uno de los dos Estados que se opuso. El otro fue Siria.

 

En Níger puede encontrarse Said Gaddafi, que, protegido por mercenarios sudafricanos, se llevó a dicho país las reservas de oro libias (que puede utilizar para financiar una resistencia armada) y numerosas obras de arte. El gobierno de Niamey se niega a extraditarlo. Lo mismo reza para Saadi, otro hijo de Gaddafi que escapó a Níger el 11 de Septiembre de 2011 con la ayuda de veteranos de las fuerzas especiales de Rusia e Iraq. Níger es también importante por sus reservas de uranio (controladas por la compañía francesa Areya, pero también en el punto de mira de China), por su frontera con Nigeria (que tiene grandes reservas de hidrocarburos) y por utilizar el franco-CFA como moneda de reserva.

 

El atlantismo parece estar usando los viejos lazos de Francia con África subsahariana para penetrar en lo más profundo del continente, con el objetivo expreso de contener la expansión de la influencia china. Al atlantismo le interesa especialmente frustrar el gasoducto trans-sahariano ―que en buena medida no deja de ser otra tenaza rusa igual que el Nord Stream y el South Stream― y desestabilizar Argelia, Níger y el norte de Nigeria, para que todo el gas y petróleo nigerianos se orienten a las rutas marítimas. También es de particular interés hacer todo lo posible para desestabilizar las zonas interiores del Congo y países limítrofes, para que los abundantes recursos congoleños se dirijan hacia el Oeste (costa atlántica) en lugar de hacia el interior (Mar Rojo, Puerto Sudán). La desestabilización de la mitad norte de Nigeria (donde se ha implantado la Sharia) tiene también por objetivo evitar que sus hidrocarburos encuentren salida hacia el Norte (Argelia y la Unión Europea) a través de Níger.

 

La zona idónea para balcanizar todo este espacio es cerca de la triple frontera de Argelia-Mali-Níger, donde tiene su base AQMI (Al-Qaeda en el Magreb Islámico) y donde podrían encontrarse los hijos de Gaddafi. AQMI es realmente todo un ejército privado y una red de Inteligencia con contactos en el ámbito saudí, marroquí y anglosajón, y opera en buena parte del Sahel (ataques a tropas gubernamentales, control de regiones enteras, secuestro de turistas y voluntarios de ONGs, etc.), desestabilizándolo y brindando cassus belli para la intervención de potencias extranjeras (especialmente Francia mediante su Legión Extranjera y EEUU con AFRICOM) [4]. Precisamente Gaddafi prestaba apoyo a los gobiernos de Mali, Níger y Argelia para que luchasen contra esta milicia y estabilizasen la zona, ya que sin estabilidad regional, el gasoducto trans-sahariano no es viable.

 

Níger es por ello una especie de encrucijada estratégica. No sólo parte por la mitad las rutas norte-sur (Argelia-Nigeria), sino que también parte por la mitad una importantísima ruta este-oeste: el Sahel, una franja semi-árida que va desde el Atlántico hasta el Mar Rojo. En particular, la porción del Sahel que incluye la cuenca del río Níger, fue clave históricamente para el florecimiento de muchos imperios africanos (como los almorávides, la época próspera de Timbuktu y una variedad de reinos subsaharianos) que obtenían su poder y enormes riquezas de este núcleo, los recursos que albergaba (especialmente oro) y las rutas que se entrecruzaban en él. La tendencia de los almorávides, canalizada por la geografía, fue dirigirse hacia el Norte, invadiendo las actuales Marruecos y Argelia y penetrando finalmente en España. Finalmente, en el Sahel tiene sus bases el recientemente organizado Frente de Liberación Libio (LLF por sus siglas inglesas), un ejército de resistentes gaddafistas.

 


La geografía, los yacimientos de hidrocarburos y las infraestructuras energéticas señalan los pasos del atlantismo en África. Las rutas norte-sur (gasoducto trans-sahariano), que conectan el Mediterráneo con el Atlántico, y las rutas este-oeste (franja del Sahel), que conectan el Mar Rojo con el Atlántico, se cruzan en Níger, un país intermedio que es el candidato perfecto para balcanizar todo este espacio desmantelando la "cruz", y que es clave para dominar el corazón de África. También es de notar el papel de España e Italia como receptoras de gran cantidad de hidrocarburos africanos y transmisoras de energía a Europa (papel que se incrementaría enormemente si Nigeria se conectase a la red de gasoductos). El atlantismo quiere evitar a toda costa que se formen rutas terrestres estables y que los países se emancipen de la dependencia de las rutas marítimas. Por tanto, es una mala noticia para el eje Washington-Londres-Tel-Aviv que el gas y el petróleo se dirijan hacia el interior continental en lugar de hacia los puertos marítimos.

 

 

España y Argelia

 

La energía es probablemente el principal móvil en la estrategia de las grandes potencias modernas, es por ello que los hidrocarburos tienen un papel tan importante en la geopolítica. De ellos, el carbón fue el primer protagonista, luego el petróleo ha sido durante mucho tiempo el tesoro más codiciado, y en tiempos recientes, el gas natural ha ido adquiriendo un protagonismo cada vez mayor. Los "rusoductos" de Europa del Este han causado graves problemas diplomáticos y son el eje del acercamiento germano-ruso. La diplomacia del gas natural es tan importante para Rusia que el actual Presidente ruso, Dimitri Medvedev, fue anteriormente presidente de la compañía estatal gasífera Gazprom. El campo gasífero de Pars del Sur es una de las razones de la adjudicación del Mundial de fútbol de 2018 a Qatar, el Green Stream era el eje de las relaciones italo-libias, el South Stream amenaza con provocar la resurrección de Serbia y el gasoducto proyectado de Irán-Pakistán-India es un gravísimo problema para Estados Unidos, que se ha opuesto vehementemente al proyecto y está haciendo lo posible por desestabilizar Pakistán (a quien pidió formalmente en Enero de 2010 que cancelase el proyecto, sin éxito), especialmente la región de Baluchistán y las provincias tribales. Hamid Karzai (presidente de Afganistán) y Zalmay Khalilzdad (ex-embajador de EEUU en la ONU, Afganistán e Irak), trabajaron ambos antiguamente para la petrolera Unocal (actualmente parte de Chevron), que tenía intereses gasíferos en el Caspio y Asia Central; el objetivo era construir un gasoducto (el TAP, no confundir con el TAP adriático, que es parte del South Stream ruso) que canalizase el gas del Caspio ―evitando expresamente a Rusia y a Irán― directamente hacia la costa pakistaní, donde sería saqueado por las compañías multinacionales. Esto ha sido frustrado por la decisión de Turkmenistán de exportar gas exclusivamente a Irán, Rusia y China.

 

Todo esto da una idea acerca de la importancia que la estrategia del gas está adquiriendo en el tablero mundial. El gas natural es el hidrocarburo menos contaminante, más barato, más abundante y más eficiente que existe, y además las reservas gasíferas actuales durarán supuestamente 60 años: dos décadas más que las reservas petrolíferas. El gas natural se emplea extensamente en la calefacción, la cocina, producción de energía, fertilizantes y también han empezado a aparecer los primeros vehículos que funcionan a base de gas (y se está trabajando en producir aviones). El atlantismo desearía que no hubiese ni un solo gasoducto en toda Eurasia, o que, en todo caso, los gasoductos fuesen directamente a parar a puertos y espacios marítimos controlados por él [5].

 

En el mapa de más arriba hemos visto que la relación de España y Argelia guarda algunas inquietantes similitudes con la relación entre Italia y Libia. Antaño, los intereses españoles en Argelia venían representados por el peligro de la piratería berberisca, Orán, Argel y otras plazas. Ahora, vienen de la mano del gas natural. Desde 1996, existe un gasoducto, el Maghreb-Europe (también llamado gasoducto Pedro Durán Farell), que conecta el importante campo gasífero de Hassi R’Mel (Argelia) con Córdoba y el resto de la red ibérica y europea. Este gasoducto tiene un problema, y es que pasa por Marruecos, forzando a Europa a estar pendiente de las veleidades de la monarquía alahuita, totalmente adicta a Washington. De hecho, el gobierno marroquí figura en la lista de socios comerciales y operadores del gasoducto (Sonatrach, Reino de Marruecos, Enagás, Metragaz y Transgas).

 

Por ello, se construyó otro gasoducto, el Medgaz, que unía directamente Argelia con España, concretamente con el importante gasoducto Almería-Albacete. La fecha de inauguración del Medgaz, que libra a España y a Europa de su dependencia gasífera de Marruecos, es sorprendente: 1 de Marzo de 2011, en plena primavera árabe y dos semanas antes de las resoluciones de la ONU sobre Libia. Quizás el único problema planteado por el Medgaz es que se encuentra en una zona geológicamente inestable (véase el terremoto de Lorca el 11 de Mayo de 2011).

 


Es posible que la OTAN lleve al cabo una tentativa de desestabilización del régimen argelino. Para ello, podría combinar acciones de AQMI con alguna "rebelión popular" financiada desde el extranjero. El atlantismo teme que Rusia, Argelia, Irán y Turkmenistán formen un cártel gasífero, una especie de OPEP del gas. Argel está bien relacionado con Moscú desde la época soviética. En Marzo de 2006, Putin se convirtió en el primer mandatario ruso en visitar Argelia desde el presidente soviético Nikolai Podgorny en 1969. Los temores a una política gasífera común entre Argelia y Rusia se manifestaron en el "Financial Times" de Londres (23 de Mayo) y en "Le Monde" de Francia (29 de Junio).

 

Buena parte del material de la Armada argelina es de origen ruso, incluyendo dos corbetas "Tiger" compradas en Julio de 2011. También resultan interesantes las relaciones argelinas con Italia, a cuya empresa Orizzonte Sistemi Navali ha pedido un buque desconocido (probablemente un transporte anfibio de tipo "San Giorgio"). El acercamiento de Italia a Rusia, Argelia y Libia es un fenómeno inevitable que el atlantismo no ve con buenos ojos.

 

 


AFRICOM Y EL PROYECTO ATLANTISTA PARA ÁFRICA

 


Mandos regionales del pentágono.

 

El Pentágono divide el planeta en varias porciones geoestratégicas, que, reveladoramente, tienen mucha más coherencia que la actual red de alianzas militares. Durante mucho tiempo, África fue parte de EUCOM, el mando europeo, fundado en 1952 y con sede en Stuttgart, Alemania. El hecho de que los asuntos africanos se controlasen desde Europa se debía probablemente a que la mayor parte de África aun estaba en manos de potencias europeas, y a que Europa nunca perdería sus contactos con África. Por contraste, la influencia de EEUU en el continente negro todavía era casi inapreciable.

 

Entre 2006 y 2008, coincidiendo con la irrupción diplomática y comercial de China en África (varios mandatarios chinos hicieron giras por todo el continente asegurando contratos, invirtiendo dinero y construyendo infraestructuras), se creó un mando nuevo para África, AFRICOM. En un principio, la sede estuvo también en Stuttgart, quizás porque ningún país africano permitió establecer semejante centro de espionaje y desestabilización en su territorio (sólo Liberia, cuyo derecho naval es de risa, se ofreció), o quizás porque EEUU aun no había ocupado militarmente ningún país africano. Sudáfrica, Nigeria y Libia se opusieron abiertamente a que se estableciese un cuartel general en su continente.

 

Sin embargo, en 2008 se supo que Marruecos (el caballo de troya del atlantismo en África, igual que Reino Unido lo es en Europa) había aceptado albergar el cuartel general de AFRICOM, o al menos uno de sus sub-mandos regionales. Se trata de Tan Tan, cerca de Wad el-Drâa (ver aquí). El emplazamiento se encuentra al lado de lo que antes era la frontera entre Marruecos y el Sahara Español, 300 kilómetros al este de la isla española de Lanzarote. La excusa para establecer la base ha sido apoyar a las flotas estadounidenses que entran y salen del Mediterráneo, hacer frente a "catástrofes naturales"… y luchar contra el oportuno problema del terrorismo, concretamente la "amenaza" de Al-Qaeda en el Magreb Islámico, o AQMI. Esto viene enmarcado en la Iniciativa Anti-Terrorista Transahariana (TSCTI por sus siglas inglesas), aprobada por el Congreso de los Estados Unidos para "estabilizar" buena parte del Sahel… y otros países de propina. La verdadera excusa es controlar-desestabilizar el Sahel para impedir la formación de un bloque regional estable y para tener un motivo para intervenir en lugares tan ricos en recursos y posición estratégica como Argelia, Nigeria o Níger. 

 

La nueva base aeronaval estadounidense de Tan-Tan es la instalación militar más grande del continente africano, con una superficie de mil hectáreas. También se está construyendo un reactor nuclear.

 

Tanto Yibuti como Sudán del Sur y Etiopía son otras dos candidatas perfectas para albergar instalaciones militares estadounidenses de AFRICOM, cuya independencia es aun solo nominal y sigue dependiendo en buena medida de EUCOM. Es vital para AFRICOM obtener una gran base en el Nilo o cerca (Sudán del Sur, Etiopía, Uganda, Kenia...). Libia desde luego puede convertirse a largo plazo en una enorme base de la OTAN, y no hay duda de que la Guerra de Libia, y las operaciones venideras, ayudarán a afianzar AFRICOM definitivamente.

 

Pero entretanto, hay más movimientos por parte de Marruecos: la monarquía alahuí ha emprendido la construcción de otra base (ver aquí) en Kasar Seghir, a 20 kilómetros de Ceuta y justo enfrente de la costa de Tarifa. Esta base viola el acuerdo oficioso vigente entre España, Reino Unido y Marruecos: no construir más bases militares en la zona estratégica del estrecho. Aunque en los medios de comunicación españoles estas noticias han pasado mayormente desapercibidas (el fútbol y el corazón acaparan más atención, y no por casualidad), ambos movimientos en Marruecos son particularmente inquietantes en tanto se dirigen estratégicamente contra las únicas posesiones españolas en África: las Islas Canarias, Ceuta y Melilla. Estas dos últimas NO están garantizadas por la OTAN: si Marruecos atacase la España continental, tendríamos el apoyo de la OTAN... pero en caso de que las víctimas fuesen Ceuta y Melilla, estaríamos solos contra un país apoyado por EEUU y Reino Unido.

 


Nueva base militar marroquí en el estrecho de Gibraltar. Ambas bases son una respuesta del eje atlantista a la progresiva pérdida de protagonismo del Atlántico en el gran tablero mundial. La Libia gaddafista, enemiga de Marruecos, como Argelia, hubiera podido ser un socio estratégico muy interesante para España, pero mientras Madrid esté sometida a las directrices de Washington, nuestro país no defenderá nunca sus verdaderos intereses.

 

 

 

CONCLUSIONES

 

Libia fue atacada porque:

 

• Estaba a punto de pedir oro en vez de dólares a cambio de su petróleo.

 

• Iba a utilizar oro para respaldar una nueva moneda de reserva, y tenía en esto el apoyo de Dominique Strauss-Kahn y el Banco Central chino.

 

• Iba a establecer esta nueva moneda común en quizás el 70% del continente africano.

 

• Con la Unión Africana, amenazaba crear un bloque geopolítico que podría vertebrar al continente africano y cerrarlo en banda a los saqueos de bancos y multinacionales extranjeros.

 

• Su política de dar préstamos a gobiernos africanos estaba suplantando la influencia de los bancos internacionales.

 

• Creaba su propio dinero libre de deuda y de interés, en vez de pedirlo prestado como crédito a interés a un banco privado controlado por extranjeros.

 

• Estaba imponiendo condiciones demasiado duras a las compañías petroleras angloamericanas y abriendo las puertas a la influencia china y rusa en el Mediterráneo, justo en un momento en el que EEUU está decidido a cortar de tajo la expansión china por África.

 

• Su decisión de emprender otra ronda de nacionalización del petróleo entró en conflicto con oligarquías autóctonas que pretendían convertirse en jeques del Mediterráneo.

 

• Estaba activamente involucrada en Sudán, el Cuerno de África y la franja del Sahel, y hubiera podido proporcionarle a China un puente estable desde el Índico hacia el Mediterráneo sin tener que pasar por Suez.

 

• Lejos quedan los tiempos en los que EEUU podía controlar un continente por las buenas. Tras la irrupción de China en África, el dólar por sí mismo no basta. Al ser papel mojado, debe ser respaldado a tiros y misilazos.

 

• Gadafi le tomó mal la medida a la OTAN. Pensaba que estaba lo bastante agonizante como para no atacarlo, pero se equivocaba.

 

• Libia e Iraq se parecen en muchas cosas. Ambos emprendieron un proceso de modernización para ser autárquicos en tecnología, industria, alimentación y política monetaria, y ambos fueron arrasados.

 


Por caricaturesca que pueda parecer, esta imagen no difiere mucho de la realidad de la Guerra de Libia.

 

 


NOTAS


[1] Compañía que, junto con ExxonMobil (Esso), Occidental, Marathon, Hess, ChevronTexaco, Morgan Stanley, Petro-Canada, British Petroleum y otras angloamericanas, se retiró oportunamente de Libia antes de los problemas.

 

[2] Hariri fue asesinado por un misil lanzado desde un dron israelí fabricado en Alemania. En años subsiguientes, se ha intentado utilizar esta muerte para incriminar a altos jefes de la organización libanesa Hezbolá, vinculada con Irán.

 

[3] Un plan que ya se había intentado abordar durante el Antiguo Régimen para los países católicos en Europa: la Orden Teutónica, el Temple y el Real de a Ocho español (que en su día fue adoptado por Estados Unidos), trabajaban en esta dirección.

 

[4] Ver aquí, aquí, aquí, aquí y aquí.

 

[5] Ver aquí cómo las rutas continentales asiáticas (en buena medida vertebradas en torno a la antigua Ruta de la Seda), mucho más sencillas y rápidas, podrían restarle un protagonismo descomunal a la ruta marítima tradicional para llevar el petróleo del Golfo Pérsico a Asia Oriental. El único motivo por el que estos proyectos no se consolidan es por las inestabilidades regionales artificiales que azotan la región y frustran las relaciones diplomáticas. El primer interesado y promotor de la mayor parte de dichas inestabilidades es el atlantismo.

Le système euro-atlantiste oppose son veto à l’indépendance du Nagorno-Karabakh

Nagorno-Karabakh_Occupation.gif

“ALIENA”:

Le système euro-atlantiste oppose son veto à l’indépendance du Nagorno-Karabakh

Le nom de Stepanakert, actuelle capitale de la République du Nagorno-Karabakh (RNK), doit son nom au révolutionnaire bolchevique Stepan Chaumjan (1878-1918), originaire de Bakou et connu sous le sobriquet de “Lénine du Caucase”. En langue arménienne, cette république s’appelle “Lernayin Gharabagh” ou “Arts’akh”; “Nagorno Karabakh” est son nom en russe, où l’adjectif “nagorno” signifie “montagneux”. Cette région de 4400 km2 (elle est à peine plus grande que la province italienne de la Molise) se trouve dans le Caucase mériodional et s’est proclamée indépendante le 6 janvier 1992. Comme d’habitude, la communauté internationale adopte une politique de deux poids deux mesures quand il s’agit de reconnaître le statut juridique d’entités nouvelles s’étant constituées lors de la liquéfaction d’anciens Etats sur la masse continentale eurasienne. D’une part, le Kosovo a pu compter sur l’appui inconditionnel d’une grande majorité d’Etats occidentaux, malgré l’opposition de la Serbie. D’autre part, la RNK n’a pas connu de telles faveurs.

Pourtant, le référendum demandant la sécession de cette région, officiellement azerbaïdjanaise, référendum qui s’est tenu en décembre 1991, n’est en fait que la confirmation d’une déclaration antérieure,  datant de l’époque soviétique et prévoyant également le rattachement à l’Arménie, ce que ne souhaitaient alors ni Moscou ni Bakou. Cette déclaration date de la fin des années 80 et avait été introduite par le Soviet de la région autonome, au temps de l’URSS. L’espoir actuel d’obtenir l’indépendance est conforté par l’idée d’une sorte de continuité juridique remontant à l’époque soviétique: il se placerait ainsi dans une “logique évolutive”.

Cette région, peuplée au moyen-âge par des sujets arméniens de l’Empire perse, est tombée sous la domination russe au début du 19ème siècle: en effet, le Karabakh, par le traité du 14 mai 1805 (1220 selon le calendrier musulman), est intégré dans l’empire russe en prenant la forme juridique d’un khanat autonome. L’unique médiateur entre la population du Nagorno Karabakh et le Tsar Alexandre Pavlovitch Romanov (1777-1825) était le gouverneur de la Géorgie. Avec l’effondrement de l’Empire des Tsars, suite à la révolution bolchevique de 1917, le territoire du Nagorno Karabakh a été âprement disputé entre les nouvelles républiques socialistes soviétiques de l’Azerbaïdjan (en laquelle le Nagorno Karabakh fut inclu) et de l’Arménie, située un peu plus à l’Ouest. En 1921 donc, la région est incluse dans la juridiction azérie constituée par le Comité exécutif central de la République socialiste soviétique de l’Azerbaïdjan qui lui accorde toutefois l’autonomie régionale.

Au fil du temps, les ressortissants de cette région autonome au sein de l’Azerbaïdjan soviétique ont demandé à plusieurs reprises d’être inclus dans la RSS d’Arménie (pour la première fois en 1945, puis en 1966 et en 1977). Le projet, à ses débuts, avait été contrecarré par Staline, agissant en sa qualité de Commissaire du Peuple pour les questions nationales. Avec la désagrégation de l’Union Soviétique, les tensions inter-ethniques ont explosé: le gouvernement turcophone de Bakou, proche de celui d’Ankara, a opté pour une stratégie d’azérisation forcée, alors que la population est arménienne à 76%; quant aux autres minorités, elles sont russes ou kurdes. Désordres et violences ont agité les rues, en réponse à ce déni de justice: en 1988, à proximité de la ville d’Askeran, deux citoyens azéris sont tués, ce qui entraîne un pogrom anti-arménien à Sumgait, un grand centre urbain au nord de Bakou. Ce furent trois journées de massacres, qui firent des dizaines de victimes.

D’autres épisodes similaires ont ponctué la vie d’autres localités arméniennes au nord de la région, comme Spitak et Ghugark, forçant les ethnies à quitter l’espace juridictionnel où elles étaient en minorité pour se réfugier soit en Azerbaïdjan soit en Arménie. On estime que 14.000 civils arméniens ont pris la fuite, ainsi que 80.000 Azéris.

Pendant l’année 1989, les révoltes populaires n’ont jamais connu de répit. Elle atteignirent une phase de plus haute intensité quand les autorités azéries suspendirent les autorités locales du Nagorno Karabakh pour les confier à un “Comité organisateur” à majorité azérie, responsable devant le Conseil des ministres de l’Union. Au même moment, la RSS d’Arménie revendiquait prioritairement d’exercer son autorité “in loco”. Il s’ensuivit un cortège de dévastations et d’actions de guerilla où s’affrontèrent les deux peuples voisins: les Arméniens furent les principales victimes de ces désordres, qui ne cessèrent pas, même après l’intervention de l’Armée Rouge. Il faut aussi se rappeler que le tout dernier acte posé par l’Union Soviétique, dans le cadre de la perestroïka de Gorbatchev, fut de suspendre la gestion azérie dans le Nagorno Karabakh.

800px-Flag_of_Nagorno-Karabakh.svg.png

En se basant sur une clause de la constitution soviétique, la RNK en tant qu’enclave autonome, dès la sortie de l’Azerbaïdjan hors de l’Union, se proclame “république”: le 8 janvier de l’année suivante, Artur Aslanovitch Mkrtcian (né en 1959) prend en charge la fonction de Président, et Oleg Esayevitch Jesayan, celle de premier ministre. Trois mois plus tard, suite à la mort en des circonstances mystérieuses, de Mkrtcian, son poste est repris ad interim par Georgy Mikhaïlovitch Petrossian (né en 1953; en fonction en 1992 et 1993). Le premier président élu du Nagorno-Karabakh, suite aux élections du 29 décembre 1994, fut Robert Sedrakovitch Kotcharyan (né en 1954), dont Garen Zarmajrovitch Babourian reprendra les fonctions ad interim (en 1993-1994).

Face à cette volonté d’indépendance ou d’union avec l’Arménie, l’Azerbaïdjan qui, avec la Turquie, est désormais la tête de pont des Etats-Unis dans le Caucase et dans la stratégie eurasienne globale de Washington, a réagi en lançant une opération militaire de grande envergure. Des milliers de victimes et plus d’un million de réfugiés appartenant aux deux ethnies constituèrent les funestes résultats de cette opération de guerre. Un cessez-le-feu aléatoire fut signé en mai 1994 (1).

Aujourd’hui, la situation reste plutôt instable, surtout parce que les Etats-Unbis refusent avec fermeté que d’autres puissances reconnaissent le statut indépendant de la RNK parce que cela pourrait constituer une gène pour l’acheminement du pétrole en provenance de Bakou et parce que cela pourrait offenser le principal interlocuteur dans le Caucase méridional du système euro-atlantiste. Au cours de ces dernières années, l’Azerbaïdjan a vu croître son PIB de manière quasi miraculeuse, surtout grâce à ses précieuses ressources d’hydrocarbures. C’est au départ des gisements de Shah Deniz au sud de la Mer Caspienne, à environ 70 km de la capitale azérie aujourd’hui florissante, que partira le corridor pétrolier et gazier du sud qui devra fournir en gaz naturel l’Europe occidentale, éliminant simultanément tout trajet sur le sol de la Russie, désormais considérée comme le principal adversaire dans la guerre des hydrocarbures. En 2006, un oléoduc est entré en fonction, traversant la Géorgie, où Washington avait appuyé l’insurrection populaire de 2003, connue sous le nom de “révolution des roses”. Cet oléoduc acheminera le brut azéri de la région de Bakou au terminal turc sur la Méditerranée.

“La politique de ségrégation et de discrimination poursuivie par l’Azerbaïdjan a généré une atmosphère de haine et d’intolérance contre le peuple arménien, ce qui a conduit à un conflit armé, à d’innombrables victimes, à des déportations de masse de toute la population de paisibles villages arméniens” (2): voilà ce que l’on peut lire dans la déclaration d’indépendance du Nagorno Karabakh, proclamée le 2 septembre 1991. Même si l’entité que représente le Nagorno Karabakh rencontre les pré-requis nécessaires pour former un Etat (et ces pré-requis sont plus solides que pour le Kosovo), l’indépendance de la RNK n’est pas acceptée par la communauté internationale et condamne la région à une dramatique incertitude permanente: les 137.000 habitants de la RNK (selon les estimations de 2006) survivent vaille que vaille sous la menace constante des forces azéries. Mais ils n’abandonnent pas l’espoir de construire un jour un futur de paix pour leur pays. Celui-ci vit de l’agriculture, de l’élevage et du travail de la soie. Malgré tout, le gouvernement de Bakou a déclaré qu’il ferait à nouveau appel aux armes si la médiation de l’OSCE (instance dont la Fédération de Russie réclame une réforme) échoue.

(article paru dans “Rinascita”, Rome, 20 décembre 2011; http://www.rinascita.eu/ ).

Notes:

(1)     Les autres présidents sont Léonard Georgevitch Petrossian (né en 1954; du 20 mars au 8 septembre 1997, ad interim); Arkady Archavirovitch Goukassian (né en 1957; du 8 septembre 1997 au 7 septembre 2007); Bako Sakharovitch Sakhakhan (né en 1960; depuis le 7 septembre 2007).

(2)     “...prenant en considération que la politique d’apartheid et de discrimination poursuivie en Azerbaïdjan a suscité une atmosphère de haine et d’intolérance dans la République à l’égard du peuple arménien, ce qui a conduit à un conflit armé, à des victimes humaines, à des déportations en masse de populations vivant dans de paisibles villages arméniens” (cfr. l’adresse électronique http://www.nkr.am/en/declaration/10/ ).

 

La Hongrie montre l'exemple: Viktor Orban accélère le pas pour "renationaliser" l'économie hongroise

Viktor-Orban-006.jpg

La Hongrie montre l'exemple: Viktor Orban accélère le pas pour "renationaliser" l'économie hongroise

invEx: http://www.toutsaufsarkozy.com/


Même sous le feu de la Commission européenne, du Fonds monétaire international (FMI) et des agences de notation, le premier ministre hongrois, Viktor Orban, n'est pas prêt à plier. Il poursuit sa "renationalisation" de l'économie, quitte à accentuer les tendances centrifuges au sein d'une Union européenne en crise.


Quarante-huit heures après une lettre du président de la Commission, José Manuel Barroso, qui sommait M. Orban de "retirer" deux projets de loi jugés contradictoires avec le traité de l'Union, le ministre hongrois des affaires étrangères, Janos Martonyi, a annoncé, mercredi 21 décembre, que le gouvernement comptait faire adopter avant Noël au Parlement les deux textes, qui touchent l'indépendance de la banque centrale et la politique fiscale (Ces textes ont été adoptés à l'unanimité le 30 décembre).


Le même jour, l'agence Standard and Poor's dégradait en catégorie spéculative la note attribuée à la dette de la Hongrie, en évoquant les "politiques publiques imprévisibles" menées à Budapest. La première de ces "lois fondamentales" - inscrites dans la Constitution - prévoit de fusionner le directoire de la Banque nationale de Hongrie (MNB) avec un Conseil monétaire élargi, où le président de la banque centrale verrait ses prérogatives réduites. Un amendement propose que le Parlement puisse limoger des membres du Conseil monétaire lorsque ceux-ci "agissent contre l'intérêt du pays". Ce dispositif vise l'actuel président de la MNB, Andras Simor : il vient encore de relever à 7 % les taux d'intérêt directeurs, les plus hauts au sein de l'Union.


L'autre projet de loi impose une majorité parlementaire des deux tiers pour décider de tout changement dans la fiscalité - ce qui empêcherait les nécessaires ajustements en cas de dérapage du déficit ou de la dette. "Je vous recommande instamment de retirer (ces) deux projets de loi fondamentale", écrit M. Barroso dans sa lettre à Viktor Orban, car ils contiennent des éléments "qui pourraient être en contradiction avec le traité de l'Union" et la Commission "a des doutes sérieux sur leur compatibilité" avec la législation européenne.


Bruxelles a trouvé un angle d'attaque majeur contre un gouvernement sourd à toute critique. Le 16 décembre, à la demande du commissaire européen chargé des finances, Olli Rehn, une délégation du Fonds monétaire international (FMI) a quitté la Hongrie avant d'avoir rencontré ses interlocuteurs officiels, marquant sa désapprobation à l'égard du projet de loi sur la banque centrale. Le FMI ne retournera à Budapest pour y discuter d'une nouvelle ligne de crédit sollicitée par le gouvernement hongrois, insiste-t-on à Bruxelles, que lorsque ces questions seront éclaircies. Quelques jours plus tôt, c'est la commissaire à la justice, Viviane Reding, qui s'inquiétait, dans une lettre au gouvernement de Budapest, de la mise au pas du système judiciaire.

jeudi, 05 janvier 2012

L’Allemagne sur le point de réaliser les projet gaulliens de l’Europe-puissance !

i2151AngelaMerkel.jpg

L’Allemagne sur le point de réaliser les projet gaulliens de l’Europe-puissance !

par Marc ROUSSET

 

La France est à l’origine de l’idée européenne, mais depuis le départ du Général de Gaulle, elle n’est plus sérieuse, a perdu de sa puissance économique et se trouve dans l’incapacité de faire avancer l’Europe-Puissance ! C’est donc l’Allemagne qui prend le relais et met le projet à exécution car elle a réalisé, à la lumière de la crise de l’euro, que ses intérêts, sa prospérité, son avenir ne peuvent s’envisager en dehors de l’Europe ! Angela Merkel, le francophile Wolfgang Schaüble et le Vert (en retraite) Joschka Fischer ont parfaitement compris, tout en ne voulant pas faire à juste titre de l’Allemagne une vache à lait pour renflouer les cigales européennes irresponsables, que face à la crise, il fallait plus d’Europe ! Autrement dit, d’un mal en faire un bien pour sauvegarder l’Avenir européen et garder une place honorable dans le monde multipolaire des nouveaux géants du XXIe siècle.


Une France socialiste laxiste irresponsable depuis trente ans incapable de faire avancer le projet européen

 

François Mitterrand disait que pour combattre le chômage, on avait tout essayé ! Or il y a une  seule chose  que l’U.M.P.S. n’a pourtant pas  essayé depuis trente ans : se débarrasser une fois pour toutes de l’esprit laxiste socialiste « droit de l’hommiste — bo-bo — gauche caviar » qui a été inoculé aux Français en mai 68 , mis en place par François Mitterrand et Jacques Chirac avec les résultats catastrophiques que nous voyons aujourd’hui !

 

Pendant trente ans, l’U.M.P.S. a distribué de l’argent emprunté afin de satisfaire de nouveaux droits sans fin dont ceux d’une population immigrée (coût : soixante-dix milliards d’euros par an) pour lesquels on n’a jamais demandé  leur avis aux Français ! Alors que nous avons deux millions de fonctionnaires en trop par rapport à l’Allemagne (coût : cent vingt milliards d’euros par an), personne, pas même Marine Le Pen, a le courage d’aborder ce sujet tabou ! La crise française  actuelle est celle de l’État-Providence pour laquelle il nous faut un De Gaulle ou un Churchill alors que nous avons qu’un faux-dur, Nicolas Sarkozy, avec ses propos lénifiants pour distraire la galerie, mais qui ne combat en rien les vrais problèmes de l’immigration folle et des dépenses publiques irresponsables d’un État-Providence français  hypertrophié ! Même la retraite à 62 ans est une demi-mesure politicienne; le problème de la retraite et des régimes spéciaux n’est en rien réglé et d’ici cinq ans au plus tard, tout est à reprendre !

 

Gerhard Schröder a introduit les courageuses lois Hartz IV en Allemagne car, outre-Rhin, la retraite à 60 ans sonne comme une hérésie et les trente-cinq heures sont considérées comme un suicide économique. Dans une entretien à la télévision Al-Jezira, Jin Liqun, président du fonds  souverain  chinois C.I.C., n’a pas non plus mâché ses mots à l’égard de l’Europe : « Les troubles qui se sont produits dans les pays européens résultent uniquement de problèmes accumulés par une société en fin de course, vivant d’acquis sociaux. Je pense que les lois sociales sont obsolètes. Elles conduisent à la paresse, à l’indolence, plutôt qu’à travailler dur. Pourquoi est-ce que les habitants de certains pays de l’Eurozone devraient travailler jusqu’à 65 ans ou plus alors que dans d’autres pays, ils prennent aisément leur retraite à 55 ans et se prélassent sur la plage ? »

 

De quoi souffre l’Italie ? Des mêmes maux que la France ! Mario Monti estime que redonner confiance aux marchés implique l’adoption de réformes douloureuses que l’Italie esquive depuis des années : la réforme d’un code du travail désuet, la remise à plat du dossier des retraites, l’instauration de nouvelles règles en faveur de la mobilité sociale, la libéralisation des corps de métier et surtout, si l’on pense aux deux millions de fonctionnaires français en trop, l’allégement du  poids énorme de l’appareil d’État italien qui ponctionne trop lourdement le budget. Économiste technocrate politiquement correct de Bruxelles, Mario Monti oublie simplement  le coût de l’immigration…

 

L’Allemagne met en place « la nouvelle Europe Paris-Berlin-Moscou »

 

De la même façon, sans rien dire, très intelligemment, presque hypocritement, tout en le mettant à exécution, c’est l’Allemagne qui nous montre le chemin de La Nouvelle Europe Paris-Berlin-Moscou (1), de l’Europe européenne, de la Grande Europe continentale de Brest à Vladivostok. Le général de Gaulle en a eu l’intuition dès 1949, mais ses successeurs français, victimes des pressions du protectorat américain de l’O.T.A.N., de la folle idéologie droit-de-l’hommiste des André Glucksmann, B.H.L. et consorts, tout aussi irréaliste que suicidaire, n’ont pas du tout, la parenthèse exceptée de l’invasion de l’Irak, cherché à se rapprocher politiquement et économiquement de la Russie. Avec plusieurs années de retard sur l’Allemagne, l’État français, suite à la vente des Mistral, tout comme les grandes entreprises commencent tout juste à s’intéresser vraiment à la Russie et à mettre les bouchées doubles. Bref, Berlin-Moscou est en place depuis longtemps et là encore Gerhard Schröder, avec le gazoduc North Stream, tout comme pour Hartz IV, aura fait preuve de vision salutaire à long terme pour l’Allemagne. Le gazoduc sous-marin de la Baltique  devrait assurer à terme la moitié de la consommation allemande de gaz.

 

Par ailleurs, Gerhard Schröder n’a jamais adhéré aux critiques des droits de l’homme : « Il faut être juste à l’égard de la Russie. Prenez ses cent cinquante dernières années d’histoire. Après le despotisme des tsars et soixante-quinze ans de dictature communiste, il y a eu la déliquescence de l’État dans les années 1990. Vladimir Poutine a eu le mérite historique de reconstruire l’État dans sa fonction la plus essentielle, qui est d’assurer la sécurité (2) ».

 

Historiquement, la Prusse et la Russie ont souvent fait bon ménage et la Grande Catherine était allemande. Les Allemands sont situés entre les peuples de l’Ouest européen et les Slaves. Le rapprochement avec la France, c’est la petite Europe avec la solution franque. Le rapprochement avec la Russie, c’est l’accès aux grands espaces russes et la grande Europe continentale ! Nietzsche affirmait déjà qu’une synthèse européo-slave était la seule possibilité d’échapper à un effacement total de l’Europe.

 

L’Europe centrale, l’« Hinterland » de l’Allemagne absorbe aujourd’hui 9,4 % des ventes allemandes à l’étranger, soit davantage que les États-Unis (8,7 %). Le commerce de l’Allemagne se détourne, en part relative, de plus en plus des États-Unis. Lors d’une réunion d’un traditionnel « dialogue de Saint-Pétersbourg » coprésidé par Lothar de Maizière, dernier chef de gouvernement de l’ex-R.D.A. et Mikhaïl Gorbatchev, certains participants ont évoqué une stratégie de « rapprochement par interpénétration » entre l’U.E. et la Russie, mais qui concernait l’Allemagne et la Russie au premier chef. L’Allemagne est de loin le premier partenaire commercial de la Russie (14 % des exportations et 7,8 % des importations), le premier investisseur étranger (plus de dix milliards de dollars) et fut le premier créancier, détenant jusqu’à vingt milliards de dollars de la dette extérieure, soit la moitié très exactement, jusqu’à son remboursement intégral dans le cadre du Club de Paris.

 

L’Allemagne éternelle est européenne et continentale

 

L’Allemagne éternelle est européenne, continentale et non pas atlantiste. L’Allemagne n’est plus « la fille aînée de l’O.T.A.N. » car, dès  février 2003, l’hebdomadaire Der Spiegel pouvait titrer en couverture : « Révolte contre l’Amérique – David Schröder contre Goliath Bush ». Depuis cette date, selon Günther Grass, elle n’est plus un « protectorat américain ». 25 % seulement des Allemands continuent à « aimer les États-Unis ».

 

Avec le temps, les Allemands deviennent donc de moins en moins dupes et se demandent à juste titre pourquoi ils devraient remercier les États-Unis d’avoir concouru à leur défaite; tout au plus, peuvent-ils les remercier pour n’être pas devenus communistes, ce qui est par contre parfaitement exact et indubitable. Selon Godard, « l’Allemagne a été le pays le plus proche des États-Unis. C’était leur concurrent dans beaucoup d’industries. Il fallait qu’ils la réduisent à leur merci ».

 

L’évènement capital de la période actuelle, c’est la prise d’autonomie de l’Allemagne, premier exportateur au monde, son retour sur la scène internationale. L’Allemagne n’a plus la volonté de faire survivre l’idéal impérial romain et ne fait plus peur à ses voisins; elle n’a  donc plus de raisons d’avoir peur d’elle-même. Elle est une grande nation démocratique, pacifique et soucieuse de maintenir sa prospérité au  cœur du continent européen que, dans la première moitié du XXe siècle, elle a mis par deux fois à feu et à sang au nom de l’idée, aujourd’hui heureusement oubliée, d’Empire allemand.

 

Les milieux dirigeants allemands  cherchent avec, dans les  faits, plus de détermination que la France, une réponse européenne au formidable déséquilibre qui marque les relations avec les États-Unis. L’Alliance Atlantique, même si elle demeure une pierre angulaire, n’est plus «  une vache sacrée » comme avait pu le rappeler  Rudolf Scharping, ancien  ministre de la Défense.  La fin du tabou transatlantique est l’évènement majeur de la politique allemande depuis la fin de la Seconde Guerre mondiale. Les États-Unis découvrent avec stupeur que, désormais réunifiée et le danger soviétique disparu, l’Allemagne n’a plus besoin de leur protection nucléaire et dispose enfin des moyens de mener une politique plus indépendante  à leur égard.

 

Dans son essai  Après l’Empire, Emmanuel Todd montre qu’il existe bien un « conflit de civilisation » entre l’Europe, mais plus particulièrement entre l’Allemagne, et les États-Unis. « En Europe, le comportement nouveau de l’Allemagne, puissance économique dominante, est le phénomène important. La révolution libérale américaine menace beaucoup plus la cohésion sociale allemande que le modèle républicain français, plus libéral dans ses habitudes, combinant individualisme et sécurisation par l’État. Si l’on pense en termes de “ valeurs sociales ”, le conflit entre la France et les États-Unis est un demi-conflit; l’opposition entre les conceptions américaine et allemande est en revanche absolue… Les Français, empêtrés dans le souvenir du général de Gaulle, se croyaient jusqu’à très récemment seuls capables d’indépendance. Ils ont du mal à imaginer une Allemagne se rebellant, au nom de ses propres valeurs. Mais l’émancipation de l’Europe, si elle se fait, devra autant au mouvement de l’Allemagne qu’à celui de la France (3). » La majorité des Allemands attend de ses hommes politiques qu’ils inventent un « nouveau modèle rhénan » adapté à l’époque; ce dernier ne reposerait pas sur la « domination de l’argent ».

 

Comment faire de la crise de l’euro un bien, suite au sérieux de l’Allemagne !

 

« Nous voulons être des Européens d’Allemagne et des Allemands d’Europe » disait Thomas Mann. Lorsque la chancelière Angela Merkel, en pleine crise de l’euro, déclare  très intelligemment : « Il est temps de réaliser des progrès vers une Europe nouvelle. Une communauté qui dit, quoi qu’il se passe dans le reste du monde, qu’elle ne pourra plus changer ses règles fondamentales ne peut tout bonnement  pas survivre […]. Parce que le monde change considérablement, nous devons être prêts à répondre aux défis. Cela signifiera davantage d’Europe, et non pas le contraire », la Chancelière s’efforce de faire un bien à partir d’un mal. Il n’est pas étonnant que la perfide Albion n’apprécie pas en voyant ses rêves de domination anglo-saxonne s’écrouler et qu’elle menace de se retirer de l’U.E. La Chancelière ne fait que mettre à exécution les paroles prophétiques et géniales du Général de Gaulle, le 29 mars 1949 lors de sa conférence de presse au Palais d’Orsay : « Moi je dis qu’il faut faire l’Europe avec pour base un accord entre Français et Allemands. Une fois l’Europe faite sur ces bases, alors on pourra essayer, une bonne fois pour toutes, de faire l’Europe toute entière avec la Russie aussi, dût-elle changer de régime. Voilà le programme de vrais Européens. Voilà le mien ».

 

Marc Rousset

 

Notes

 

1 : Cf. mon livre, La nouvelle Europe Paris-Berlin-Moscou, Éditions Godefroy de Bouillon, 2009, 538 p.

 

2 : dans Le Figaro du lundi 13 novembre 2006.

 

3 : Emmanuel Todd, Après l’Empire, Gallimard, 2002, p. 208.

 


 

Article printed from Europe Maxima: http://www.europemaxima.com

 

URL to article: http://www.europemaxima.com/?p=2332

mercredi, 04 janvier 2012

Presseschau Januar 2012 (1)

Presseschau

Januar 2012 (1)

AUßENPOLITISCHES

Anders Breivik
Der Kranke wider Willen, die überforderte Psychologie
http://www.taz.de/1/archiv/digitaz/artikel/?ressort=tz&dig=2011%2F12%2F17%2Fa0239&cHash=cb30330227

Verurteilter US-Politaktivist
Mumia Abu-Jamal entgeht der Todesstrafe
http://www.spiegel.de/panorama/justiz/0,1518,802367,00.html

Abu-Jamal entgeht der Exekution
http://www.welt.de/print/die_welt/vermischtes/article13758794/Abu-Jamal-entgeht-der-Exekution.html

(man fragt sich ja schon, woher ein solcher deutscher Kommentator an seinem Computertisch eigentlich weiß, was gerade akut in Syrien abläuft bzw. wer dort was manipuliert…)
Syrien
Aufmarsch der Willigen
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/kommentar-aufmarsch-willigen-syrien-1545221.html

Abzug aus Irak
Willkommen in einer ungewissen Zukunft
http://www.abendblatt.de/politik/ausland/article2131320/Willkommen-in-einer-ungewissen-Zukunft.html

Heimkehrende US-Soldaten
Der Krieg ist vorbei – jetzt droht der Absturz
Die Heimkehrer aus dem Irak werden in den USA als Helden verehrt, trotzdem wartet auf viele von ihnen die Arbeitslosigkeit.
http://www.badische-zeitung.de/ausland-1/der-krieg-ist-vorbei-jetzt-droht-der-absturz--53657943.html

Latente Bürgerkriegsgefahr in Irak
US-Truppen hinterlassen ethnisch-religiös zerklüftetes Land
http://www.neues-deutschland.de/artikel/213725.latente-buergerkriegsgefahr-in-irak.html

Baghdad
Neuer Anschlag im Irak
UN-Botschafter rechnet aber nicht mit Bürgerkrieg.
http://www.tagesspiegel.de/zeitung/baghdad-neuer-anschlag-im-irak-/5995924.html

Anschläge auf Kirchen
Nigeria will Islamisten energisch bekämpfen
http://www.faz.net/aktuell/politik/anschlaege-auf-kirchen-nigeria-will-islamisten-energisch-bekaempfen-11580689.html

Putin attackiert USA: "Clinton gab Zeichen zum Aufruhr"
http://www.abendblatt.de/politik/ausland/article2121041/Putin-attackiert-USA-Clinton-gab-Zeichen-zum-Aufruhr.html

Nackte Feministinnen protestieren gegen Putin
http://www.welt.de/politik/ausland/article13760434/Nackte-Feministinnen-protestieren-gegen-Putin.html

Geplante Massendemonstration in Russland
Zehntausende zu Anti-Putin-Protesten erwartet
http://www.tagesschau.de/ausland/demonstrationenrussland112.html

Ukraine
Ex-Ministerpräsidentin Timoschenko im Straflager
http://www.spiegel.de/politik/ausland/0,1518,806409,00.html

Automafia?
Ukrainischer Minister soll einen gestohlenen Benz fahren
http://www.badische-zeitung.de/nachrichten/panorama/ukrainischer-minister-soll-einen-gestohlenen-benz-fahren--52956244.html

Transnistrien: Überraschung bei Präsidentenwahl
http://www.unzensuriert.at/content/006400-Transnistrien-Ueberraschung-bei-Praesidentenwahl

Europa und der letzte Traum der Linken
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5b5c77aeb2a.0.html?PHPSESSID=4ac4ba197f2b5affb88012cc4e365488

Israel: Keine Muezzin-Rufe aus Lautsprechern mehr
http://www.unzensuriert.at/content/006416-Israel-Keine-Muezzin-Rufe-aus-Lautsprechern-mehr

Israel
Diskriminierung gegen Frauen wächst
Religiöse Fanatiker in Israel: "Nach hinten, Schickse"
http://www.wienerzeitung.at/dossiers/nahostkonflikt/nahostkonflikt_aktuelle_berichte/422954_Religioese-Fanatiker-in-Israel-Nach-hinten-Schickse.html

Griechen sehen deutsche Finanzhilfe als Wiedergutmachung
http://www.unzensuriert.at/content/006413-Griechen-sehen-deutsche-Finanzhilfe-als-Wiedergutmachung

Nordkoreas Diktator Kim Jong-il ist tot
http://www.unzensuriert.at/content/006418-Nordkoreas-Diktator-Kim-Jong-il-ist-tot

Chinesen bauen alles nach
http://www.wdr.de/mediathek/html/regional/2011/06/22/aktuelle-stunde-chinesen-nachbau.xml

INNENPOLITISCHES / GESELLSCHAFT / VERGANGENHEITSPOLITIK

Rückt die FAZ nach links? Oder gibt das Feuilleton nur den Klassen-Clown?
http://www.wolfgangmichal.de/?p=1380

Henkel strebt mit Freien Wählern 5 bis 10% an
http://www.pi-news.net/2011/12/henkel-strebt-mit-freien-wahlern-5-bis-10-an/

Henkel tritt Freien Wählern bei
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M57a91c86fa9.0.html

Kauder warnt Konservative vor Spaltung der Partei
http://www.focus.de/politik/deutschland/parteien-kauder-warnt-konservative-vor-spaltung-der-partei_aid_695267.html

Mein rechter Platz ist leer ...
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M51087c8b03d.0.html?PHPSESSID=1e27baaf46dfb969963be4e0cd9f131c

„Es geht nicht in der CDU“ – Fragen an Sebastian Pella
http://www.sezession.de/29207/es-geht-nicht-in-der-cdu-fragen-an-sebastian-pella.html#more-29207

Schäuble bot 2010 seinen Rücktritt an
http://www.spiegel.de/politik/deutschland/0,1518,804475,00.html

(Auweia…)
Seehofer will Guttenberg in die Politik zurückholen
Sogar ein Ministeramt sei für den zurückgetretenen Verteidigungsminister denkbar
http://www.abendblatt.de/politik/deutschland/article2143300/Seehofer-will-Guttenberg-in-die-Politik-zurueckholen.html

Kontrapunkt
Von Guttenberg zur NPD
http://www.tagesspiegel.de/meinung/von-guttenberg-zur-npd/5949236.html

Muslime stellen sich hinter Wulff
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5fe9fe90973.0.html

Schmidts Schnauze
http://www.sezession.de/29252/schmidts-schnauze.html#more-29252

Ohne Beruf, aber Volksvertreter
Omid Nouripour ist Grünen-Sprecher in Frankfurt
http://www.freie-waehler-frankfurt.de/artikel/index.php?id=209

Bundesparteitag der Piraten
Kommentar: Thematischer Rundumschlag
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/thematischer-rundumschlag-1517315.html

Euro-Krise
Was Sie tun können, wenn das Finanzchaos ausbricht
http://www.welt.de/wirtschaft/article13761852/Was-Sie-tun-koennen-wenn-das-Finanzchaos-ausbricht.html

(Horx liefert, was Politiker als veröffentlichte Meinung hören wollen. Interessant wäre, wo er seine Euros angelegt hat…)
Schuldenangst
Deutsche neigen zum "apokalyptischen Spießertum"
http://www.welt.de/politik/article13788783/Deutsche-neigen-zum-apokalyptischen-Spiessertum.html

Kommunen
Briten brechen Brücken nach Europa ab
http://www.welt.de/vermischtes/weltgeschehen/article13763866/Briten-brechen-Bruecken-nach-Europa-ab.html?wtmc=google.editorspick

Versagen der Uni-Ökonomen
Warum bringt uns keiner Krise bei?
http://www.spiegel.de/unispiegel/studium/0,1518,803953,00.html

(Bei der EU-Kommission finden so manche ihre Pöstchen…)
„Nicht heilig, aber talentiert“: Guttenberg wird EU-Berater
http://diepresse.com/home/politik/aussenpolitik/716216/Nicht-heilig-aber-talentiert_Guttenberg-wird-EUBerater?_vl_backlink=/home/politik/index.do

(Gibt es eigentlich auch irgendwelches Geld für die Suche nach Beutekunst der Alliierten aus deutschen Sammlungen?)
Mehr Geld für Suche nach NS-Raubkunst
http://www.welt.de/newsticker/dpa_nt/regioline_nt/berlinbrandenburg_nt/article13747158/Mehr-Geld-fuer-Suche-nach-NS-Raubkunst.html

LINKE / KAMPF GEGEN RECHTS / ANTIFASCHISMUS

Peter Weibel über die „Instabilität des Systems“
http://www.sezession.de/29640/peter-weibel-uber-die-instabilitat-des-systems.html#more-29640

Rolle des Verfassungsschutzes bei „Döner-Morden" eine Schande für Deutschland
Als „Schande für Deutschland" bezeichnete heute der NPD-Abgeordnete, Rechtsanwalt Michael Andrejewski, die Rolle des Verfassungsschutzes bei den so genannten Döner-Morden. Hierbei handele es sich um „Geheimdienstversagen", „vielleicht sogar Staatskriminalität".
http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=vymAi1K-A0k
http://www.youtube.com/watch?v=vymAi1K-A0k&feature=youtu.be

„Zwickauer Terrorzelle” erneut Thema im Landtag von MV
http://www.mupinfo.de/?p=15350

Kommentar von Hugo Müller-Vogg
Stoppt die Stümper-Spitzel!
http://www.bild.de/news/standards/bild-kommentar/stoppt-die-stuemper-spitzel-21511594.bild.html

Türkischer Außenminister verspricht Familien der Neonazi-Opfer Hilfe
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/tuerkischer-aussenminister-verspricht-familien-neonazi-opfer-hilfe-1514841.html

Zschäpe-Anwälte im Interview Verteidiger beklagen "unfaires" Verfahren
http://www.stern.de/panorama/zschaepe-anwaelte-im-interview-verteidiger-beklagen-unfaires-verfahren-1759367.html

Neonazi-Trio bekam Geld vom Verfassungsschutz
Weitere Pannen: Ermittler haben Erkenntnisse nicht weitergegeben. Rechte Terroristen nahmen falsche Pässe und tauchten ab
http://www.abendblatt.de/politik/deutschland/article2131319/Neonazi-Trio-bekam-Geld-vom-Verfassungsschutz.html

Neonazis
Abwehrzentrum: Behörden gemeinsam gegen Rechts
http://www.abendblatt.de/politik/article2130821/Abwehrzentrum-Behoerden-gemeinsam-gegen-Rechts.html

NPD-Verbot: Alle Jahre wieder
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M57a0a99794b.0.html

(In der „Frankfurter Allgemeinen Sonntagszeitung“ der Aufruf zu Massenverhaftungen: „Hat man aber mal den Fokus auf die vielen erweitert, statt die einfachen Aktivisten nur als hirtenlose braune Schafe zu verharmlosen, ändert sich auch die Bewertung des Mitläufertums. Dann könnte sich empfehlen, alle Mitglieder der Nazibewegung zur Verantwortung zu ziehen, das Netz weiter auszuwerfen und auch gegen den, der sich singend, tanzend, musizierend über Morde freut, zu ermitteln. Die vielen sind ja nicht immer die besseren Menschen, man kann auch gemeinsam dem Bösen huldigen. Wenn sich viele an den Filmen, den Bildern, den Moritaten rassistischer Serienmörder delektieren, wenn viele sie unterstützen und gut finden, dann werden eben viele festgenommen.“)
Protestkultur
Endlich ist alles schwindlig
http://www.faz.net/aktuell/feuilleton/protestkultur-endlich-ist-alles-schwindlig-11579783.html

Terror, Tabus und Todeszonen
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5075c44148d.0.html?PHPSESSID=2e6b0f75c2e6ca4c66d192f8aa33a582

Fremdenfeindlichkeit
Merkel dankt Bürgern für Einsatz gegen Rassismus
http://www.morgenpost.de/printarchiv/politik/article1858661/Merkel-dankt-Buergern-fuer-Einsatz-gegen-Rassismus.html

Ausnahmezustand II
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M500a5109891.0.html

(Zitat: „Stiehlt ein Neonazi etwa ein Auto, gilt das bisher als normale Kriminalität. Eine Straftat solle künftig dem Rechtsextremismus zugeordnet werden, wenn der Täter in den Datenbanken der Polizei als ein potentieller Gewalttäter geführt wird oder einer rechten Partei angehört.“)
Jäger will rechtsextreme Straftaten erfassen
Angesicht der Verbrechen des Zwickauer Terrortrios schlägt der nordrhein-westfälische Innenminister Ralf Jäger vor, künftig alle Straftaten von Rechtsextremen in einer Statistik zu erfassen.
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/jaeger-will-rechtsextreme-straftaten-erfassen-1538859.html

Rechte Droh-Mail an Minsterin aus Niedersachsen
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/droh-mail-minsterin-niedersachsen-1537207.html

(Heitmeyer kann man wieder seine alten Socken aufwärmen…)
Ausgrenzung von Minderheiten
"Explosive Situation als Dauerzustand"
http://www.sueddeutsche.de/politik/ausgrenzung-von-minderheiten-explosive-situation-als-dauerzustand-1.1233203

Wo sich die rohe Bürgerlichkeit zeigt
Wilhelm Heitmeyer (Hrsg.): "Deutsche Zustände - Folge 10"
http://www.dradio.de/dlf/sendungen/andruck/1626892/

Sozialforscher warnt vor "Klassenkampf von oben"
Abstiegsangst, Spaltung, Ausländerfeindlichkeit: Aus Sicht von Soziologen ist die deutsche Gesellschaft stark verunsichert. Rechtspopulismus macht sich breit.
http://www.zeit.de/politik/deutschland/2011-12/studie-deutschland-vorurteile

Deutsche Zustände
Immer mehr Deutsche billigen Gewalt
http://www.tagesspiegel.de/politik/immer-mehr-deutsche-billigen-gewalt/5950626.html

"Die Gesellschaft ist vergiftet"
Als Bilanz der zehnjährigen Studie über "Deutsche Zustände" konstatiert der Sozialforscher Wilhelm Heitmeyer eine massive Zunahme von Fremdenfeindlichkeit und Rechtspopulismus
http://www.heise.de/tp/blogs/10/151008

Heitmeyers Zustände
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5fe5c793394.0.html?PHPSESSID=83f23916ea167c3c31fa73295569029d

(the same procedure in Italy…)
Italien
Rassistischer Mord in Florenz - Wahnsinnstat eines Einzelnen?
http://www.abendblatt.de/vermischtes/article2127118/Rassistischer-Mord-in-Florenz-Wahnsinnstat-eines-Einzelnen.html

Florenz trauert - Razzien gegen Rechtsextremisten
http://www.wienerzeitung.at/nachrichten/politik/europa/418783_Florenz-trauert-Razzien-gegen-Rechtsextremisten.html

Rechtsextremes Attentat von Florenz
Die kruden Ideen des Signor Casseri
http://www.spiegel.de/panorama/justiz/0,1518,803786,00.html

Strage Firenze, Iannone: "Casa Pound non è responsabile, vogliono screditarci"
http://www.youtube.com/watch?v=BSLgPAPFh3E

Lucia Annunziata vs Gianluca Iannone di Casapound (La Crisi 13.12.2011)
http://www.youtube.com/watch?v=j1gdUDdVyCA&feature=related

(Primitivste „Anti-Rechts“-Propaganda im Jugendmagazin „Bravo“)
Foto-Lovestory: Anne, mach die Augen auf!
http://www.bravo.de/lifestyle/foto-lovestory/anne-mach-die-augen-auf/ex/page/0

(dazu eine Antwort)
Mädchen sind ja oft etwas schwerer von Begriff,…
http://www.sezession.de/29247/madchen-sind-ja-oft-etwas-schwerer-von-begriff.html

Die Pfadfinder verlassen den Pfad der Tugend
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M58d2c7b4460.0.html

Dortmund
Ein Stadtteil ringt mit den Neonazis
http://www.zeit.de/gesellschaft/zeitgeschehen/2011-12/neonazis-dortmund

(wer was weiß sollte sofort das Online-Formular ausfüllen)
Vorwürfe FSV Zwickau sucht Zeugen für antisemitische Fanrufe
http://www.mdr.de/sport/fussball_ol/fangegroele100_zc-1c39d593_zs-e4961192.html

Proteste
Ehemaliger NPD-Kandidat verkauft auf Bochumer Weihnachtsmarkt Süßes
http://www.derwesten.de/staedte/bochum/ehemaliger-npd-kandidat-verkauft-auf-bochumer-weihnachtsmarkt-suesses-id6163377.html

Nazi-Firma auf dem Bochumer Weihnachtsmarkt?
Brauner Zucker
http://www.bo-alternativ.de/2011/12/12/brauner-zucker/

(Man muss es sich reinziehen. Schon eine Facebook-Freundschaft (ein Mouseclick) reicht zum Arbeitsplatzverlust)
Kontakt zu Rechtsextremen
Ikea-Personalchef entlassen
http://www.n24.de/news/newsitem_7528329.html

Üble Aufkleber in der ganzen Stadt
Neonazis werben mit Helmut Schmidt
http://www.mopo.de/politik/ueble-aufkleber-in-der-ganzen-stadt-neonazis-werben-mit-helmut-schmidt,5067150,11351304.html

Die Betroffenen von Beruf: „Nehmt Ihr jetzt endlich die Extremismusklausel zurück.“
http://www.blauenarzisse.de/index.php/gesichtet/3002-die-betroffenen-von-beruf-nehmt-ihr-jetzt-endlich-die-extremismusklausel-zurueck

Grünen-Abgeordneter Ströbele lädt Antifa ein
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M5f6dc602793.0.html?PHPSESSID=4e019c6901b9f162ce341dfe39233a9b

(Zum „Antifa“-Pfarrer Lothar König aus Jena)
Schwerer Landfriedensbruch: Pfarrer König angeklagt
http://www.insuedthueringen.de/regional/thueringen/thuefwthuedeu/Schwerer-Landfriedensbruch-Pfarrer-Koenig-angeklagt;art83467,1835898
Politik: Pfarrer König angeklagt
http://newsticker.sueddeutsche.de/list/id/1247037

Linksextreme sprengen Kreistagssitzung in Greifswald
http://www.npd-mv.de/index.php?com=news&view=article&id=2586&mid=7

Grüne sollen die Kreistagssitzung bezahlen
http://www.npd-mv.de/index.php?com=news&view=article&id=2588&mid=7

(„Linksterrorismus“)
Briefbombe an Josef Ackermann
Bundesanwaltschaft übernimmt Ermittlungen
http://www.focus.de/politik/deutschland/briefbombe-an-ackermann-bundesanwaltschaft-uebernimmt-ermittlungen_aid_692651.html

Neonazis wegen Brandanschlag rechtskräftig verurteilt
http://www.nh24.de/index.php/vermischtes/22-allgemein/51527-neonazis-wegen-brandanschlag-in-wetzlar-rechtskraeftig-verurteilt

Kripo ermittelt nach Auffinden von 16 Hakenkreuz-Aufkleber in Weimar
http://www.jenapolis.de/2011/12/kripo-ermittelt-nach-auffinden-von-16-hakenkreuz-aufkleber-in-weimar/

Aktion „gegen rechts“ in Frankfurt am Main
http://www.hr-online.de/website/rubriken/nachrichten/indexhessen34938.jsp?rubrik=34938&mediakey=fs/hessenschau/20111207_1645_gegen_rechts&type=v&key=standard_teaser_43342184
http://www.fnp.de/fnp/region/lokales/frankfurt/ottofrankweg-fuer-einen-tag_rmn01.c.9423622.de.html
http://www.fnp.de/fnp/region/lokales/frankfurt/marbachweg-aus-protest-umbenannt_rmn01.c.9426111.de.html
http://www.fnp.de/fnp/region/lokales/frankfurt/frankfurt-wehrt-sich-gegen-nazis_rmn01.c.9399515.de.html

Potsdam
Sachbeschädigung
Täter werfen Farbbeutel auf Balustrade der künftigen Garnisonkirche
http://www.pnn.de/potsdam/608405/

Tod des Liedermachers
Franz Josef Degenhardt: Klassenkämpfer mit Klampfe
http://www.abendblatt.de/region/pinneberg/article2095170/Franz-Josef-Degenhardt-Klassenkaempfer-mit-Klampfe.html

Kleine Sektologie der Linken
http://lyziswelt.blogsport.de/2011/12/18/kleine-sektologie-der-linken/#more-153

EINWANDERUNG / MULTIKULTURELLE GESELLSCHAFT

Emma West als Exempel
http://www.sezession.de/29204/emma-west-als-exempel.html

Nachtrag zu Emma West
http://www.sezession.de/29396/nachtrag-zu-emma-west.html#more-29396

Zweierlei Migranten-Quoten
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M52049bbf61d.0.html?PHPSESSID=50e562c585cd547b32144e7207d3326a

Aktuelles zu Fjordman
http://www.sezession.de/29432/aktuelles-zu-fjordman.html

Bizarre Forderung der deutschen Kanzlerin Angela Merkel: "Wir müssen Migrantengewalt akzeptieren"
http://www.polizeibericht.ch/ger_details_34855/Bizarre_Forderung_der_deutschen_Kanzlerin_Angela_Merkel_Wir_muessen_Migrantengewalt_akzeptieren.html

Özoguz neue SPD-Vize - Traumergebnis für Kraft
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/oezoguz-neue-spd-vize-traumergebnis-kraft-1517997.html

NRW führt islamischen Religionsunterricht ein
http://www.op-online.de/nachrichten/politik/fuehrt-islamischen-religionsunterricht-1538573.html

Muslime stören sich an kanadischer Weihnachtskrippe
http://www.unzensuriert.at/content/006455-Muslime-stoeren-sich-kanadischer-Weihnachtskrippe

Spielfilm
Auf der anderen Seite des Ozeans
http://programm.ard.de/TV/arte/auf-der-anderen-seite-des-ozeans/eid_287247059133319?list=now#top

Wirtschaft: Rösler wirbt um Südländer
http://newsticker.sueddeutsche.de/list/id/1245042

Deutschland will wieder Gastarbeiter anwerben
http://orf.at/stories/2092826/

Laschet plädiert für mehr Zuwanderung
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M53b33bdd5ff.0.html

(Zitat: „Voraussetzung der Verlängerung ist, dass die Betroffenen sich um den Lebensunterhalt für sich und ihre Familie selbst bemühen…“)
Hessen verlängert Bleiberecht
http://www.bild.de/regional/frankfurt/frankfurt-regional/hessen-verlaengert-bleiberecht-21670154.bild.html

Der Abschiebär Trailer
http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=N24Ogrg7fFI#!

Kroatische Zigeuner bilden Dänemarks kriminellste Familie
http://www.unzensuriert.at/content/006312-Kroatische-Zigeuner-bilden-Daenemarks-kriminellste-Familie

Pariser Polizei verweigert Anzeige wegen anti-weißem Rassismus
http://www.unzensuriert.at/content/006498-Pariser-Polizei-verweigert-Anzeige-wegen-anti-weissem-Rassismus

(Könnten es am Ende auch noch besonders „mobile“ Kinder gewesen sein?)
Einbrecher sind noch Kinder
http://www.op-online.de/nachrichten/offenbach/einbruch-offenbach-einbrecher-kinder-1513181.html

Stolzenau: 13-Jährige auf offener Straße erschossen - Vater auf der Flucht
http://www.mt-online.de/lokales/blickpunkt/tochtermoerder_flieht_nach_minden/5497791_Stolzenau_13-Jaehrige_auf_offener_Strasse_erschossen_-_Vater_auf_der_Flucht.html

Deutscheopfer.de: Detaillierte Schilderung eines Falls in einem Leserbrief
http://www.sezession.de/29547/deutscheopfer-de-detaillierte-schilderung-eines-falls-in-einem-leserbrief.html

(Die „multikulturelle Gesellschaft“ macht auch das „Antifaschisten“-Dasein nicht ungefährlicher…)
Gelldorf / Prozess
„Lust an der Gewalt“: Opfer bewusstlos getreten
http://www.sn-online.de/Schaumburg/Rinteln/Obernkirchen/Lust-an-der-Gewalt-Opfer-bewusstlos-getreten

Nach Überfällen
Haftstrafen für Profifußballer Koc und Kocer
http://www.haz.de/Nachrichten/Sport/Fussball/Haftstrafen-fuer-Profifussballer-Koc-und-Kocer

(Der Hintergrund riecht stark nach Mr. Sinti und Mrs. Roma…)
"Familienzusammenführung" - Heusenstamm / Stadt und Kreis Offenbach
(hf) Eigentlich sollte man sich freuen, wenn der Vater zu sechs Kindern "gefunden" wird - im Fall einer 42-Jährigen könnte dies allerdings teuer werden: Die Frau beantragte seit 1986 fortlaufend bei verschiedenen Sozialleistungsträgern der Städte Frankfurt am Main, Offenbach am Main und Mönchengladbach sowie beim Kreis Offenbach Leistungen für den Lebensunterhalt für sich und ihre insgesamt sechs Kinder. Bei den jeweiligen Antragsstellungen gab sie an, dass die Kindsväter nicht bekannt seien. Umfangreiche Ermittlungen der Polizei führten nun zu der Erkenntnis, dass alle sechs Kinder von einem Vater stammen. Es soll sich dabei um einen 44-Jährigen handeln, mit dem die Frau und deren Kinder wohl ununterbrochen als Familie zusammen lebte - und dies noch immer tut. Hierbei verfügte die Familie zum Teil über erhebliche Luxusgegenstände. Im Jahr 2003 soll die Familie einen Mercedes für knapp 50.000 Euro, vier Jahre später einen weiteren für über 20.000 Euro erworben haben. Bereits 1997 habe der 44-Jährige ein Mehrfamilienhaus in Offenbach für mehr als einen halbe Millionen Mark gekauft. Dort wohnte er augenscheinlich gemeinsam mit seiner Familie in einer Wohnung. Vom Sozialamt habe er sich die "Miete" für die Wohnung bezahlen lassen. Im Rahmen einer Durchsuchung fanden die Beamten umfangreiche Beweismittel, die ein ununterbrochenes Zusammenleben der Familie belegten. Unter anderem stellten die Ordnungshüter Fotoalben sicher, in denen sich neben Bildern von ausschweifenden Festlichkeiten und verschiedenen Urlauben auch Hochzeitsbilder befanden. Zwischenzeitlich erkannte der 44-Jährige, der aktuell mit seiner Familie in Heusenstamm lebt, die Vaterschaft zu sämtlichen Kindern an. Dies führte dazu, dass nunmehr der Sozialleistungsträger des Kreises Offenbach Rückforderungen für entrichtete Unterstützungen in Höhe von über 110.000 Euro erhob. Die Höhe der Rückforderungen der Sozialleistungsträger für die Städte Offenbach, Frankfurt und Mönchengladbach sind derzeit noch in Berechnung - dürften aber in den nächsten Wochen folgen.
http://www.presseportal.de/polizeipresse/pm/43561/2171059/pol-of-pressebericht-des-polizeipraesidiums-suedosthessen-vom-freitag-23-12-2011

KULTUR / UMWELT / ZEITGEIST / SONSTIGES

Verblendung im Goethe-Institut
http://www.jungefreiheit.de/Single-News-Display-mit-Komm.154+M54c6bc59567.0.html

(Zitat: „„Man kann die Frage stellen, ob es inhaltlich richtig ist, ein Denkmal zu rekonstruieren, das an ein Bündnis dreier autoritärer Herrscher erinnert.“ Willkommen in der DDR 2.0.)
Wuppertal
Drei-Kaiser-Denkmal: Keine rechtlichen Hürden
http://www.wz-newsline.de/lokales/wuppertal/stadtteile/elberfeld-mitte-west/drei-kaiser-denkmal-keine-rechtlichen-huerden-1.858143

Oldenburg
Streit um ein ambivalentes Denkmal
Krieg und Frieden
http://www.taz.de/Streit-um-ein-ambivalentes-Denkmal/!83407/

Oldenburg
Reiter von Standbild begeistert
Landesturnier Platz für Bronze-Skulptur von Graf Anton Günther noch gesucht
http://www.nwzonline.de/Region/Artikel/2653649/Reiter-von-Standbild-begeistert.html

Herforder streiten um Stadttore
http://www.wdr.de/mediathek/html/regional/2011/08/05/lokalzeit-owl-stadttore.xml

Humboldt-Forum
Das Schloss wächst
http://www.tagesspiegel.de/berlin/humboldt-forum-das-schloss-waechst/5980532.html

Luftschloss?
Gysi lästert über das Stadtschloss
http://www.berliner-kurier.de/kiez-stadt/luftschloss--gysi-laestert-ueber-das-stadtschloss,7169128,11355586.html

Kirchenarchitektur
Ein Gotteshaus? Oh Gott! Versteckt es!
http://www.welt.de/kultur/article13746862/Ein-Gotteshaus-Oh-Gott-Versteckt-es.html

Stuttgart 21
Bahndirektion wird abgerissen
http://www.stuttgarter-zeitung.de/inhalt.stuttgart-21-bahndirektion-wird-abgerissen.414399a4-36de-4ce6-a547-6005ccc04a6e.html#goToComments
http://picasaweb.google.com/102312444829271982174/WurttembergischeEisenbahndirektion#
http://christian-storr.smugmug.com/Architecture/Former-Railway-Directorate/12890303_L7NVr/1/930865987_B4tzL#930865457_NgSCP

Für die Gründung des Felsenbrunnerhofs stand Landgraf Ludwig IX. Pate
Spätbarocker Mansardenbau aus dem Jahr 1788 wurde im Jahr 2009 abgerissen
http://www.pirmasenser-zeitung.de/cgi-bin/cms/www/cgi/cms.pl?cmd=showMsg&tpl=pzMsg.html&path=/pz/landkreis&id=7405477
http://borderline-press.blogspot.com/2009/10/wenn-der-denkmalschutz-total-versagt.html

Leverkusen
Trauriger Abriss
http://www.rp-online.de/bergisches-land/leverkusen/nachrichten/trauriger-abriss-1.2643061

Die 4. Revolution
Energy Autonomy
http://www.energyautonomy.org/

Freiburg-Vauban: Autofrei wohnen
http://www.autofrei-wohnen.de/proj-d-vauban.html

Hamburg - Eppendorf: Falkenried-Terrassen - Autofrei wohnen
http://www.autofrei-wohnen.de/proj-d-falkenried.html

45 Min - Wahnsinn Wärmedämmung
http://www.ndr.de/fernsehen/sendungen/45_min/videos/minuten385.html

(Der nächste modernistische Sanierungsfall)
Undicht
Krähen zerstören Dach vom Berliner Hauptbahnhof
http://www.morgenpost.de/berlin-aktuell/article1849912/Kraehen-zerstoeren-Dach-vom-Berliner-Hauptbahnhof.html

(inclusiver dämlicher Zeitgeistkommentare des bundesdeutschen TV)
Der Traum vom Wiederaufbau Königsbergs
http://www.zdf.de/ZDFmediathek/beitrag/video/1514690/Der-Traum-vom-Wiederaufbau-K%C3%B6nigsbergs#/beitrag/video/1514690/Der-Traum-vom-Wiederaufbau-Koenigsbergs

(Auch ein Nachruf, der Autorenname ist Programm - es geht natürlich vor allem um die „Verstrickungen“ in die NS-Zeit)
Zum Tode von Johannes Heesters
Das Maxim, Sie wissen schon!
von Christian Buß
http://www.spiegel.de/kultur/kino/0,1518,764613,00.html

Jopi ist tot
Gemischte Gefühle in Holland
http://www.fr-online.de/leute/jopi-ist-tot-gemischte-gefuehle-in-holland,9548600,11353776.html

(Der Spiegel hat folgenden biologistischen Aufsatz parat - die Propagandaversuche werden immer verzweifelter)
Segensreiche Artenvielfalt
Multikulti-Wälder wachsen besser
http://www.spiegel.de/wissenschaft/natur/0,1518,804586,00.html

Über die Dummheit im Allgemeinen und die Gemeinschaftsschule im Besonderen:
Gemeinschaftsschule - Die Abschaffung der Dummheit
http://klappeauf.de/php/inhalte/index.php?art=7&bereich=1

(Ob´s nur was mit dem Geld zu tun hat? Bekämen die Schüler bessere Noten, wenn man ihren Eltern monatlich einen Tausender mehr schenken würde?...)
Arme Kinder bekommen schlechtere Noten
http://www.welt.de/print/welt_kompakt/print_politik/article13768134/Arme-Kinder-bekommen-schlechtere-Noten.html

Trivial-Feminismus mit Melanie Mühl
http://www.sezession.de/29521/trivial-feminismus-mit-melanie-muhl.html#more-29521

Heulen, Anders-Sein und Raven wegen Deutschland
http://www.blauenarzisse.de/index.php/rezension/3009-heulen-anders-sein-und-raven-wegen-deutschland

US-Entwicklungshilfe für Schwule in aller Welt
http://www.unzensuriert.at/content/006410-US-Entwicklungshilfe-fuer-Schwule-aller-Welt

Doku über US-Bürgerrechtsbewegung
Die eigene Geschichte
In "Black Power Mixtape 1967-1975" porträtiert Göran Olsson die US-Bürgerrechtsbewegung einmal anders. Er verbindet Bekanntes mit neu entdecktem Archivmaterial.
http://www.taz.de/Doku-ueber-US-Buergerrechtsbewegung/!83701/

Black-Power-Dokumentarfilm
Auf den Frühling folgt bald die Depression
http://www.zeit.de/kultur/film/2011-12/film-black-power-mixtape

Bud Bad: Freibad trägt Namen von Bud Spencer
http://www.tlz.de/startseite/detail/-/specific/Bud-Bad-Freibad-traegt-Namen-von-Bud-Spencer-942216322

Silberschatz in Passauer Bibliothek
Hausmeisterin wird belohnt
http://www.focus.de/panorama/welt/silberschatz-in-passauer-bibliothek-hausmeisterin-wird-belohnt_aid_691728.html

Was der Konsum mit uns macht
http://www.youtube.com/watch?v=1fUfvmT1M90

Flashmob in München
S-Bahn-Saufparty: Wer zahlt für den Schaden?
http://www.tz-online.de/aktuelles/muenchen/s-bahn-saufparty-zahlt-schaden-tz-1527408.html

"Schindlers Liste" ging "an die Substanz"
Berlin - Regisseur Steven Spielberg («E.T.», «Indiana Jones») hält seinen Film «Schindlers Liste» und die daraus entstandenen Projekte mit Holocaust-Überlebenden für sein Hauptwerk.
http://www.morgenpost.de/newsticker/dpa_nt/infoline_nt/boulevard_nt/article1858883/Schindlers-Liste-ging-an-die-Substanz.html

Erbe d. Menschheit
Hiroschima-Verbrechen gegen die Menschlichkeit
http://www.youtube.com/watch?v=m_rOYj7yIl8

(Gefahr Weltraumschrott…)
Namibia
Wo die vom Himmel gefallene Metallkugel herkam
http://www.welt.de/vermischtes/article13782684/Wo-die-vom-Himmel-gefallene-Metallkugel-herkam.html

Brasilien
Student Adolf Hitler will neuen Namen
http://www.stern.de/panorama/brasilien-student-adolf-hitler-will-neuen-namen-1763928.html

Thailändische Airline hebt mit transsexuellen Flugbegleitern ab
http://www.spiegel.de/reise/aktuell/0,1518,804045,00.html

(Alle drei Strophen des Deutschlandliedes im italienischen Fernsehen)
Karin Schmidt inno germania Deutschlandlied
http://www.youtube.com/watch?v=YvONZKUhT1I

Deutschlandlied - eine alte Version
http://www.youtube.com/watch?v=l2zrp4BWyQo&feature=related

Sobre o Putin e as Manifestações

Sobre o Putin e as Manifestações

Por João Labrego

Ex: http://yrminsul.blogspot.com/


Não quero me fixar muito em um assunto que é óbvio para quem conhece os bastidores da política internacional, mas as eleições russas possuem uma caracteristica muito interessante.Putin, quando veio ao poder pelos idos dos anos 90 foi acusado de anti-russo e liberal, por ser nacionalista, o que, na Rússia com a mentalidade mofada no dualismo marxista, pode ser considerado liberal.O tempo passou e ele se mostrou um bom governante, potencializando a Rússia e recolocando-a como atriz no cenário internacional.Pois bem, a missão histórica russa sempre foi um: Imperial, e a Rússia nunca fugiu disto ( à não ser quando ela não possuia poder suficiente para tal, ou estavam dominada por individuos anti-russos ).Como Putin foi reconquistando o poder dele dentro do Estado, e o poder russo fora do Estado, toda a sua atuação foi sendo cada vez mais vigiada por aqueles que são defensores de outros imperialismos, que não são o Imperialismo Russo, aliás, são inimigos do Imperialismo Russo. De primeira vista, podemos ver o imperialismo anglo-yankee ( EUA e Inglaterra ) e com uma vista mais apurada, podemos ver outros inimigos da causa russa.Muitos desacreditam que essa conspiração exista porque as economias são interligadas demasiado, ou que esse sentimento anti-russo não existe mais, porque, afinal, de acordo com o chavão do senso comum, o comunismo anti-ocidental acabou.

Bom, além de prova de que essa conspiração anti-russa existe, podemos citar alguns exemplos claros que ficaram maximimizados nas eleições deste ano, como também citar fatos que fortalecem ainda mais tal ponto e o porquê de nos posicionar-mos de um lado da disputa.

1º - A grande parte dos inimigos políticos do Partido Rússia Unida, e de Putin, são financiados e/ou aliados de seguimentos diplomáticos/políticos de países ocidentais. Um exemplo claro disto é a coalisão dos nacionalismos inúteis, parafraseando Faye, com o banqueiros do ocidente.

2º - A idéia puramente ocidental, e moderna, de liberdade individual, foi mais uma vez defendida, sendo um paradoxo pois ao mesmo tempo que os manifestantes anti-putin se declaram contra a tirania de Putin, por outro lado, defendem uma "participação popular" maior nas eleições. Essa contradição é exemplo claro de manipulação com segundas intenções.

3º - A critica anti-putinista é tão simplista ( logo, claramente manipulada) , que só se resume à Putin, enquanto toda a estrutura de articulação política que está lutando junto com Putin, é esquecida.

4º - Os radicalismos políticos do século passado, que já foram abandonados pela evolução humana, foram mais uma vez afirmados contra Putin. Um exemplo são os nacionalistas russos puramente étnicos que são jogados, pelos ocidentais, contra as outras etnias russas, causando uma desestabilização. Um outro caso são os comunistas ortodoxos e caricatos, que não aceitam uma outra perspectiva de ação, além das suas mofadas formulas inaplicáveis. Neonazis e comunistas ortodoxos juntos dos liberais, contra o "mafioso" Putin. Bom, porque os liberais não apareceram nos protestos? A resposta está no quinto ponto.

5º - Os liberais, apesar de serem declaradamente anti-putinistas, não marcaram uma presença muito forte nos protestos. Mas porque isso? Porque é o principio básico de manipulação e financiamento dos inimigos do meu inimigo, a mão invisível liberal. Essa mão, atualmente, é yankee.

6º - A idéia de "democracia" liberal, imposta pelo ocidente, e seus lacaios, está cada dia mais próxima de uma ditadura invisível, onde qualquer um que seja contrário à algum item de sua cartilha é respectivamente taxado de anti-democrático, anti-popular, perseguido e satanizado da forma mais cruel possível. Os americanos, e seu dominio mundial kantiano/pós-moderno, estão pondo as obras ficticias de Huxley e Orwell em prática, mesclando-as na sua política externa.

7º - Nós, Sul-Americanos, concordamos com todos os pontos anteriores, logo, somos aliados dos Russos, apesar de sabermos que Putin não é perfeito, pois ninguém- o- é. Mesmo não sendo perfeito, Putin tem colocado a missão histórica da Rússia Sagrada em Marcha, e isso que deve ficar inicialmente claro para nós, aliados dos Russos.

8º - Se somos aliados da cosmovisão russa, logo todos os inimigos da Rússia são nossos inimigos. Nacionalismos puramente étnicos ( que são baseados na cosmovisão judaica-saxã de segregação racial ), representados pelos neonazis e pela direita liberal, liberais, pró-EUA e seus lacaios, comunistas ortodoxos e internacionalistas ( que agem contraditoriamente de maneira liberal ), são todos nossos inimigos, também.

Dar tanto foque em uma simples manifestação pode ser um equívoco se tratando de analise política, mas ela é a prova de que o combate mortal entre civilizações começou. De forma sútil, mas começou.

E esse combate apocaliptico entre Terra e Mar, entre Povo e Mercantilismo, entre Nação e Elite, entre Crentes e Descrentes, deve ser esperado e preparado, pois além de acontecer, vamos estar de algum dos dois lados.

dimanche, 01 janvier 2012

De la germanophobie au FMI, la bêtise européenne dans toute sa splendeur !

De la germanophobie au FMI, la bêtise européenne dans toute sa splendeur !

Ex: http://www.ladroitestrasbourgeoise.com/

Depuis le début de la crise, on a entendu monter en crescendo un petit refrain : « l’Allemagne payera ! ». On se serait cru revenu à Versailles en 1919. Certes, il aura fallu du temps pour que la sauce prenne, car on ne savait pas bien quoi leurs reprocher aux braves Allemands. Élève modèle de la zone euro, le succès économique de l’Allemagne a certes de quoi exaspérer, il faut bien l’admettre :  4ème économie mondiale, 1ère européenne, elle est aujourd’hui le plus grand exportateur mondial de biens devant les États-Unis et la Chine et enregistrait en 2010 un excédent commercial de 150 milliards d’euros.

Après des reformes draconiennes entreprises  sous le mandat de Gerhard Schröder, les Allemands ont vu, comparativement à leur voisins européens, leur niveau de vie baisser de 20 à 30% en 10 ans. Coupes claires dans les budgets sociaux, retraite à 67 ans et introduction d’une dose de capitalisation, gèle drastique des salaires… Jamais des réformes aussi dures n’avaient étaient mises en œuvre dans un pays afin de restaurer ainsi sa compétitivité.

Mais comme toujours en Europe dès qu’une nation prend l’ascendant, la réaction des voisins ne se pas fait attendre. Lorsque la Grèce a trébuché alors qu’on apprenait qu’aucun de ses citoyens ne s’acquittait de ses impôts,  des voix se sont fait entendre pour réclamer que l’Allemagne paie ! Leur argument était un peu simpliste, puisqu’il reposait sur le postulat que, quels que soient les torts grecs, il n’était que justice que les pays riches payent. Et ce sans se poser la question de savoir si les Allemands n’avaient pas déjà durement, à leur façon, payé cette richesse relative qu’on leur reprocherait presque. Pendant ce temps, d’autres voix, plus grinçantes celles-là, aiguisaient  des arguments plus habiles qui faisaient jouer à l’Allemagne un rôle trouble.

De prime abord, cet argument se tient. Il avance notamment l’idée que l’Allemagne aurait mené une sournoise politique déflationniste, dopant ainsi sa productivité, contre ses partenaires européens en siphonnant leurs plans de relance. Il est vrai que pratiquer la déflation compétitive n’est jamais en soi une bonne solution. Cela écrase les classes populaires et s’avère toujours dangereux à terme, car baisser les salaires étrangle la consommation. C’est d’ailleurs ce qui menace l’Allemagne, maintenant que tous les États se plient à la rigueur. Le seul souci est que ce qui est présenté comme des plans de relance ne sont au fond que des incuries budgétaires affligeantes. L’aberrante loi des 35 heures peut-elle décemment être considérée comme un plan de relance ? La réalité est que l’Allemagne s’appliquait à réarmer son économie pendant que le reste de l’Europe, pays latins en tête, se la coulait douce en profitant des crédits à bas taux que leur offrait un mark miraculeusement transformé en euro pour tous.

Qu’importe ! Vu de France, l’Allemagne reste inexcusable ! Un vent de germanophobie, passablement rance, s’est mis à souffler sur l’hexagone. Tous les chroniqueurs ont repris ce crédo en chœur : « c’est la faute à l’Allemagne ! ». Récemment encore, lorsque Merkel refusa de transformer la BCE en « bad bank », déclinant ainsi l’option de la voir racheter les dettes des Etats, tout le monde lui est tombé dessus. L’Allemagne craignait légitimement de voir la BCE devenir un faux-monnayeur et l’euro, une monnaie de singe. Rien n’y faisait ! Preuve était faite que la rigidité allemande était bien à la source de la crise. Il est pourtant facile de comprendre qu’une Allemagne qui comptera 22 millions de retraités en 2020 ne peut décemment accepter une logique inflationniste dont personne ne saurait prédire l’issue.

Car contrairement au dollar, l’euro n’est pas une monnaie d’échange internationale. Faire tourner la planche à billet aboutira fatalement à une explosion inflationniste. Si trop d’euro étaient imprimés pour financer les dettes (on parle ici de plusieurs centaines de milliards), les fonds souverains russe, chinois ou saoudiens se débarrasseraient immédiatement de leur réserve en devise européenne pour se prémunir des effets de la  dévaluation qui s’ensuivrait. Tout cet afflux soudain de monnaie provoquerait en retour, d’abord une chute vertigineuse de l’euro, ensuite une violente poussée inflationniste. Dévaluation et inflation peuvent être des solutions en soi, mais avec 22 millions de retraités-rentiers (1/4 de la population), une politique exclusivement inflationniste pour l’Allemagne tiendrait lieu d’un suicide collectif.

Les Européens seraient donc mieux inspirés de reconnaitre leurs torts partagés pour se mettre d’accord autour d’une solution offensive contre la prédation des marchés.  Une solution qui pourrait par exemple mélanger un savant dosage de restructuration, d’effacement partiel et de monétarisation de la dette ; le tout dans le cadre d’une politique protectionniste garantie par une dévaluation monétaire maitrisée. Bien évidemment, cette solution mettrait sur la paille un certain nombre de banques qu’il faudrait alors nationaliser.

Mais les grandes banques ne l’entendent pas de cette oreille. Elles veulent qu’on leur rembourse tout sans que le système spéculatif, tel qu’il ne tourne pas rond, ne soit trop bousculé. Plutôt que d’affronter les grands argentiers de la finance transnationale, les dirigeants européens préfèrent s’accuser les uns les autres, en s’apprêtant à abandonner aux plans de coupe budgétaire du FMI les nations les plus faibles.  La veulerie des gouvernants européens est totale et leur égoïsme, coupable.

Car que penser d’autre de l’option, évoquée lors du dernier sommet européen, qui autoriserait la BCE à avancer des fonds au FMI pour que celle-ci prête en retour aux Etats européens en difficulté ? Cette solution, envisagée comme un moyen de contourner rapidement les traités européens et de neutraliser un emballement inflationniste, fait froid dans le dos. Elle reviendrait de facto à abdiquer toute souveraineté européenne. L’Europe ne serait plus alors qu’un spectre politique diaphane, sans consistance, qui exécuterait servilement les consignes des experts anglo-saxons du FMI. La bêtise européenne prendrait alors toute sa splendeur !

Olrik

samedi, 31 décembre 2011

Réflexions sur les manifestations en Russie

russia_protest.jpg

Alexandre Latsa:

Réflexions sur les manifestations en Russie

Ex: http://fr.rian.ru/

L’année 2011 se termine et avec elle un mois de décembre placé sous le signe des  manifestations politiques. Rappelons les faits: suite aux élections du 04 décembre 2012 qui ont entraîné une baisse de Russie Unie et une forte hausse des partis nationalistes ou de gauche, des fraudes électorales ont été dénoncées. Ces fraudes auraient permis au parti au pouvoir et disposant de la ressource administrative, de gonfler son score et de fausser les résultats. Pourtant, près de deux semaines après les élections, alors que des enquêtes sont en cours suite aux plaintes déposées, le nombre de fraudes recensées dans le pays y compris Moscou ne semble pas avoir faussé notablement le scrutin, dont les résultats sont conformes aux nombreux sondages et estimations d’avant et d’après vote.

Revenons aux manifestations: Le 10 décembre 2011, un grand meeting unitaire  d’opposition avait lieu à Moscou, rassemblant 30 à 40.000 personnes. J’ai déjà décrit la relative incohérence politique de cette manifestation qui rassemblait côte à côte des membres de la jeunesse dorée Moscovite, des nationalistes radicaux, des antifascistes, ainsi que des libéraux et des communistes. Souhaiter le départ à la retraite de Vladimir Poutine n’est pas un programme politique, et quand à la tenue de nouvelles élections, on se demande en quoi elle concerne des dizaines de sous-groupuscules politiques non candidats à la représentation  nationale. 

Le 17 décembre le parti d’opposition libérale Iabloko a rassemblé quelques 1.500 partisans, alors que le meme jour qu’un millier de sympathisants du mouvement eurasien et du syndicat des citoyens russes (Профсоюз Граждан России) se réunissaient pour dénoncer les manipulations oranges et rappeler la nécessité d’un état fort. Le lendemain, le 18 décembre, ce sont près de 3.500 militants du parti Communiste qui se sont réunis. Le 10 décembre, lors de la grosse manifestation dopposition, l’un des leaders de l’opposition liberale, Mikhaïl Kassianov, avait affirmé que "Si aujourd'hui nous sommes 100.000, cela pourrait être 1.000.000 demain". Celui ci a appelé à un printemps politique en Russie, un discours étrangement similaire à celui de l’excessif républicain John Mc Cain ces dernières semaines. Pour autant aucune marée humaine n’a  déferlé dans les villes du pays, au grand dam de nombre de  commentateurs occidentaux qui annonçaient déjà l’Armageddon en Russie, et c’est seulement une neige abondante qui a recouvert le pays le 24 décembre, jour de la manifestation unitaire.

Cette journée du 24 décembre n’aura finalement été un succès qu’a Moscou. En province, dans les autres villes de Russie, la mobilisation aura faibli par rapport aux rassemblements du 10 décembre. A Vladivostok, la manifestation a réuni 150 personnes, contre 450 le 10 décembre. A Novossibirsk 800 personnes ont défilé contre 3.000 le 10 décembre. A Tcheliabinsk dans l’Oural, les manifestants étaient moins de 500 contre 1.000 le 10 décembre, à Iekaterinbourg 800 personnes ont manifesté contre 1.000 le 10 décembre dernier. A Oufa, 200 manifestants se sont rassemblés, soit autant que le 10 décembre. Enfin 500 personnes ont défilé à Krasnoïarsk contre 700 le 10 décembre. Notons qu’à Saint-Pétersbourg, haut lieu de la contestation et bastion libéral en Russie, de 3 a 4.000 personnes ont défilé, contre près de 10.000 le 10 décembre dernier. (Sources : Ria-Novosti et Ridus.ru).

Dans la capitale le 24 décembre, 3 meetings différents ont eu lieu. 2.000 nationalistes du parti nationaliste Libéral-Démocrate de Vladimir Jirinovski, et 3.000 sympathisants du politologue Sergueï Kurginyan ont manifesté séparément pour répondre à la "peste orange". Enfin et surtout dans ce qui est sans doute le plus gros meeting d’opposition de l’année, avenue Sakharov, ce sont 40 à 50.000 personnes qui se sont rassemblées. La manifestation de Moscou s’est déroulée sans incidents notables, si ce n’est à la fin du meeting, quand des radicaux d’extrême droite ont tenté de monter sur la tribune en force, alors même que le leader ultra nationaliste Vladimir Tor (dirigeant du mouvement NazDems) avait pris la parole quelques minutes auparavant. On peut du reste se demander pourquoi les nombreux journalistes occidentaux présents n’ont pas relevé le fait que plusieurs milliers de jeunes nationalistes radicaux sifflaient ou criaient "russophobe" en direction de certains orateurs de diverses confessions et scandaient  des slogans tels que: "les russes ethniques de l'avant", ou "donnez la parole aux russes ethniques". Un deux poids deux mesures pour le moins surprenant.

Dans le pays et donc surtout à Moscou, les rassemblements du 24 décembre ont tourné à la  cacophonie politique totale. Les meetings ont de nouveau rassemblé  toutes les composantes politiques les plus improbables, des nationalistes radicaux aux antifascistes, en passant par les libéraux, les staliniens, les activistes gays et lesbiennes ou quelques stars du Show Business russe. Plus surprenant, toujours lors de la manifestation de Moscou, la présence du milliardaire Prokhorov et de l’ancien ministre des finances Aleksei Koudrine, pourtant proche de Vladimir Poutine. Aleksei Koudrine a d’ailleurs pris la parole, ajoutant à la cacophonie ambiante et déclenchant un record de sifflements du public. Pour la première fois un député d’opposition très connu a  mis le doigt sur cette désunion systémique de la soi disant opposition, en quittant la manifestation avant même de prendre la parole. Même son de cloche pour  l’analyste politique Vitali Ivanov, pour qui l'opposition à Vladimir Poutine est une nébuleuse qui mène des conversations de cuisine.

La prochaine grande journée de manifestation devrait avoir lieu en févier, c’est à dire pendant le mois précédant l’élection présidentielle du 4 mars 2012. Pour autant, on imagine difficilement comment Vladimir Poutine ne serait pas réélu et tout d’abord au vu de la situation économique que connaît le pays. La croissance du PIB devrait frôler les 4,5% en 2011 et sans doute autant en 2012. Le taux de chômage est descendu à 6,3%, la dette du pays est faible, inférieure a 10% du PIB, et les réserves de change sont d’environ 500 milliards de Dollars. L’inflation est à la baisse, estimée pour cette année à 6,5% soit son plus faible niveau depuis 20 ans. La Russie est aujourd’hui la 10ieme économie du monde en produit intérieur brut nominal et la 6eme économie mondiale à parité de pouvoir d'achat. Selon les analyses du centre de recherche britannique CBER la Russie devrait être la 4ieme économie de la planète aux environ 2020.

Il est donc très difficile d’imaginer comment la personne jugée directement responsable de ce redressement économique par la majorité des citoyens pourrait ne pas être réélue. Bien sur il est plausible que la vague de mécontentement se reflète dans les scores de la présidentielle de mars 2012, et que Vladimir Poutine ne soit pas élu au premier tour avec 71% des voix, comme en 2004, ou avec 72% des voix, comme Dimitri Medvedev en 2008, dans une Russie en totale euphorie économique. Celui ci devra probablement envisager un score plus proche de celui de mars 2000 (Vladimir Poutine avait obtenu 52% des voix) voire se préparer à un second tour. Si tel est était le cas, il y affronterait probablement le candidat du parti communiste, Guennadi Ziouganov. Un choix cornélien pour les occidentaux, mais qui refléterait parfaitement la tendance électorale initiée par les dernières élections législatives russes qui ont vu les partis de gauche augmenter fortement leur poids électoral.

L’opinion de l’auteur ne coïncide pas forcément avec la position de la rédaction.

 

* Alexandre Latsa est un journaliste français qui vit en Russie et anime le site DISSONANCE, destiné à donner un "autre regard sur la Russie". Il collabore également avec l'Institut de Relations Internationales et Stratégique (IRIS), l'institut Eurasia-Riviesta, et participe à diverses autres publications.

Russie: enquête sur une tentative de déstabilisation

Russie: enquête sur une tentative de déstabilisation

par Olrik

Ex: http://fr.novopress.info/

putin_youth1.jpgLa nouvelle a inondé la toile comme un raz-de-marée. Il suffisait de taper le mot « élections russes » sur un quelconque moteur de recherche pour que des centaines et des centaines de sites ou de blogs reprenant tous la même dépêche – la plupart du temps à peine retouchée – soient recensés. Cette dépêche faisait état, sans ambages, de fraudes massives aux élections législatives russes du 4 décembre et reprenait comme une vérité biblique un obscur sondage attribué à l’ONG « l’Observateur citoyen ». Or ce sondage, qui a été en fait publié par l’institut FOM, n’est désormais curieusement plus en ligne. Après qu’il ait été rendu public par l’ONG animé par Dmitri Orechkine et repris en boucle par toutes les agences de presse de la planète, ce sondage controversé qui mettait « Russie unie », le parti de Medvedev, à 30% au lieu des 49,5 validées par la commission électorale russe n’est donc plus consultable… Notre enquête commence donc par une étrange et inexplicable disparition. Le sondage qui déclencha l’intense bronca médiatique mondiale et légitima à travers toute la Russie une brulante agitation a disparu… La raison en est simple, ce sondage était un faux grossier !

La fraude est-elle réellement ce qu’on en a dit ?

Mais alors qu’en est-il réellement des fraudes qu’une presse occidentale n’a pas manqué de qualifier de massives ? L’ensemble des irrégularités observées par l’ONG Golos, prétendument indépendante, a été recensé sur le site http://www.kartanarusheniy.ru/. Dans une tribune libre publiée sur l’agence de presse RIA Novosti, l’analyste francophone de la vie politique russe, Alexandre Latsa, s’est livré à un examen méticuleux de tous les cas de fraude. Loin de l’hystérie médiatique occidentale, force est de constater que la baudruche d’un vaste truquage électoral se dégonfle immédiatement. Au total, 7780 incidents divers ont été relevés

lors des dernières élections législatives russes. Cependant, si l’on ramène ces cas litigieux à ceux ne concernant que des « plaintes pour fraude au niveau de la comptabilisation des voix », le chiffre s’effondre littéralement pour ne totaliser qu’à peine 437 incidents. Et encore, ces incidents ne concernent à chaque fois que des écarts de 100 à 300 voix tout au plus. Par ailleurs, l’essentiel d’entre eux se concentre dans les régions du Caucase (une zone quasiment en guerre, ceci expliquant peut-être cela) et dans celle de Moscou. Or, en prenant la fourchette haute des voix en litiges simplement sur la ville de Moscou, on totalise à peine 20.000 votes douteux. Peut-on décemment imaginer que 20.000 voix en litige auraient permis au parti Russie unie de doubler son score sur Moscou ? En comparaison, rappelons qu’aux USA 100.000 voix avaient disparu aux législatives de 1982 à Chicago et que 19.000 bulletins litigieux furent comptabilisés à la présidentielle de 2000 rien qu’en Floride.

Après analyse des éléments à charge, rien ne vient établir que cette élection fût outrancièrement truquée ou que le score de Russie unie fût frauduleusement gonflé. Au contraire, le résultat en recul du parti majoritaire, dont la tête de liste était Medvedev et dont d’ailleurs Poutine s’était démarqué, démontrerait plutôt une normalisation du jeu politique – nous rappellerons aux journalistes occidentaux que Poutine n’est plus membre de Russie unie et œuvre actuellement à la création d’un nouveau parti panrusse. En outre, tous les observateurs s’accordent pour reconnaitre que les temps de paroles entre les compétiteurs ont été scrupuleusement respectés, ce qui, cela dit en passant, est malheureusement de moins en moins le cas en Occident et notamment en France. L’existence même de larges manifestations dénonçant la validité des résultats et qui se sont déroulées sans heurts ni violences, prouve à elle seule qu’un niveau supplémentaire de maturité démocratique a été franchi en Russie. Ajoutons encore que des organisations politiques rassemblant à peine 10% des électeurs entrent au parlement au moment même où en France un parti réunissant entre 17 et 20% des intentions de vote n’a et n’aura sans doute aucun député. Il est donc triste de constater que même sur ce terrain, la Russie se trouve en position de donner des leçons de démocratie à un pays comme la France.

L’ONG Golos est-elle aussi indépendante qu’elle le prétend ?

Mais alors pourquoi une telle agitation dans les chancelleries occidentales ? Pour la comprendre, il suffit de renifler qui se cache derrière l’ONG Golos que dirige M. Gregory Melkoyants, au cœur de la polémique. Cette ONG, qui se présente comme indépendante, s’est montrée extrêmement intrusive dans le processus électoral russe sous prétexte de l’observer. L’Observateur citoyen, une autre ONG également très impliquée dans la controverse et souvent citée par les médias occidentaux, se révèle n’être qu’un des multiples pseudopodes de l’ONG Golos. C’est donc bien Golos l’acteur central de l’agitation. Or si l’on remonte les ficelles de son financement, on découvre que Golos est financée non seulement par la Commission européenne, mais aussi et surtout par le gouvernement américain via l’USAID, une officine plus que controversée et soupçonnée de servir de paravent à la CIA. L’association Golos figure également sur la liste des ONG assistées par la National Endowment for Democracy (NED), une fondation qui s’emploie, depuis 1991, à étendre l’influence de Washington dans tout l’espace ex-soviétique et relaie les directives du Conseil de sécurité nationale étatsunien (NSC). Cerise sur le gâteau, les médias russes ont publié un échange mail dans lequel la responsable de Golos demandait aux responsables de l’USAID combien l’ONG pourrait leur facturer « des dénonciations de fraudes et d’abus ». On est ici vraiment loin d’une ONG indépendante !

Qui se cache derrière Alexeï Navalny ?

Bref, tout indique que nous assistons en Russie à une tentative de déstabilisation selon les méthodes bien éprouvées, notamment en Ukraine, des révolutions de couleur. Mais les simples agissements d’une ONG n’auraient pas suffi. Parallèlement à cela, il s’est déployé sur Internet un intense activisme de bloggeurs dont le plus célèbre, Alexeï Navalny, présente un pedigree plus que troublant. Surfant sur la légitime exaspération populaire que suscite en Russie la corruption à tous les niveaux de l’Etat, cet ex-boursicoteur de 35 ans, encore inconnu il y a trois ans, est devenu la figure de proue de l’opposition à Poutine au point d’en faire désormais un candidat crédible à la présidence de la Russie. D’abord proche des Libéraux pro-occidentaux, Navalny a pris part à la « Marche russe », une manifestation annuelle rassemblant les diverses « extrême-droites » russes et organisée par l’ultra-nationaliste Dmitri Demouchkine. Ce surprenant ralliement ne laisse rien au hasard et le journaliste Oleg Kachine l’analyse bien ainsi : « l’opposition libérale peine à rassembler, il va donc chercher les bras là où ils sont, c’est-à-dire auprès des Russes de la classe moyenne qui se sentent menacés par l’immigration».

Seulement voilà, Navalny traine derrière lui des casseroles qui ne manquent pas de plonger les plus sceptiques dans la circonspection. Diplômé de l’université américaine de Yale, il y a suivi le World Fellows Program, un projet créé par le président de l’université Richard Levin en coopération avec l’ancien président mexicain Zedillo (proche de George Soros) afin de « créer un réseau global de leaders émergents ». Ses participants ont l’honneur d’être formés par des agents étatsuniens ou britanniques notoires comme Lord Malloch Brown (ancien du Foreign Office), Aryeh Neier, présidente de l’Open Society Institute de George Soros, ou encore Tom Scholar, l’ancien chef de cabinet de Gordon Brown. Autre révélation à son sujet : après s’être fait piraté sa boite mail, on apprend que Navalny est salarié de l’association américaine NED (toujours elle) et en lien étroit avec Alexandre Belov, le représentant d’une milice xénophobe viscéralement anti Kremlin: l’ex-DPNI. Lorsqu’il s’agit d’alimenter l’instabilité sociale en Russie, toutes les compromissions semblent donc permises ! En outre, nous n’évoquerons pas ici le cas d’Édouard Limonov, gourou punk des Nationaux-bolcheviques russes, dont les gesticulations outrancières et les provocations burlesques auront finalement fait le jeu du très discrédité libéral Garry Kasparov avec qui il finira par s’allier au mépris de toute cohérence politique élémentaire. Sur ce point nous renvoyons nos lecteurs à l’excellent livre d’Emmanuel Carrère « Limonov », aux éditions POL.

Que pèsent réellement les Libéraux ?

Sans s’étendre sur les finalités géopolitiques et économiques attendues d’un telle déstabilisation, il est permis de douter des progrès démocratiques qui pourraient en ressortir. Rappelons que le rapport des forces en Russie est largement défavorable au courant libéral, et ce de manière écrasante. Le parti Iabloko* plafonne à 4% dans les sondages et peine à mobiliser parmi la population russe, même issue de la classe moyenne. Hormis les libéraux minoritaires, l’ensemble des forces politiques ayant pignon sur rue en Russie sont farouchement anti-occidentales. C’est d’ailleurs la seule position commune par-delà le caractère extrêmement hétéroclite des participants aux grands rassemblements de contestation du 11 et 24 décembre – 30.000 et 50.000 manifestants à Moscou, ce qui reste un succès très relatif pour une agglomération de 14 millions d’habitants. On pouvait y voir en grande majorité des Ultra-nationalistes, des Monarchistes russes, des Communistes radicaux du Front de gauche, quelques Anarchistes, des Nationaux-bolcheviques et, noyés au milieu de tout ça, une maigrichonne poignée de Libéraux esseulés. Pire encore, lors du rassemble du 24 décembre dernier, les principales personnalités du courant libéral comme Garry Kasparov ou Alexeï Koudrine ont été copieusement huées par la foule.

Seul l’intrigant Alexeï Navalny semble jouir d’une réelle célébrité en jouant des malentendus et en surfant sur l’exaspération populaire contre la corruption. On est vraiment loin de ce vent libéral et démocratique chanté par les médias occidentaux. Rappelons également que les leaders du KRPF** (parti communiste) et du LDPR** (nationalistes) – qui ne se sont pas privés de contester les résultats des élections législatives – ont qualifié le rassemblement du 12 décembre de « bêtise orange » et de « machination des services secrets américains ». Rien n’indique donc que la déstabilisation profiterait in fine aux forces pro-occidentales. Ce serait même certainement tout le contraire qui adviendrait. La Russie reste un pays convalescent en proie à de vieux démons. La corruption est endémique et les mafias restent puissantes. A l’instar des révolutions arabes, une révolution des neiges ne ferait qu’ouvrir un boulevard aux franges les plus extrémistes et incontrôlables de la société russe.

Olrik

* Parti libéral russe dont la plupart des leaders sont, soit comme Vladimir Ryzhkov salariés par la NED, soit comme Boris Nemtsov en contact régulier avec des sbires du milliardaire américain George Soros.

** Le KRPF et le LDPR sont avec Russie juste (gauche nationaliste) les trois organisations ayant rassemblé suffisamment de suffrages pour siéger au nouveau parlement. Toutes trois, quoiqu’opposées à Russie unie, sont farouchement nationalistes et anti-occidentales.

vendredi, 30 décembre 2011

Een hedendaagse Russische Sneeuwrevolutie?

Een hedendaagse Russische Sneeuwrevolutie?

Ex: http://solidarisme.be/

 


Op zaterdag 10 december betoogden duizenden Russen voor meer democratie en eerlijke verkiezingen. In heel Rusland kwamen volgens sommige bronnen tot 150.000 mensen op de straat. Er waren betogingen in onder andere Moskou, Sint-Petersburg, Vladivostok, Ekaterinburg, Sverdlovsk, Vologda, Petrozavodsk, Jaroslavl, Kostroma, Novokuznetsk, Abakan, Ulan-Ude en Chita. Er kwamen mensen bijeen voor de Russische ambassades in o.a. Washington, Den Haag, Kiev en Tallinn. In Moskou alleen al kwamen zo'n 25.000 mensen op de straat om te protesteren. Het plein werd door de politie volledig afgeschermd e beschermd. De mensen moesten omwille van de veiligheid door een metaaldetector. De politie was aldus goed geplaatst om het aantal manifestanten te tellen. Het Moskouse Bolotnayaplein stond wereldwijd centraal op de agenda. Wat is er daar eigenlijk aan de hand? Wie zijn de demonstranten? In dit stuk wordt gesproken over de verkiezingen, de machtsverhoudingen, de Russische geopolitiek en de 'revolutie'.

De geopolitieke denktank Euro-Rus blijft neutraal!

Voor we verder gaan, moet er toch iets belangrijks gezegd worden. De geopolitieke denktank 'Euro-Rus' verbindt zich in geen enkel geval aan een of ander regime. De denktank 'Euro-Rus' propageert bepaalde geopolitieke assen omdat deze nu eenmaal in de belangen van ons volk en de andere Europese volkeren ageren. Doet een bepaald regime iets goeds, dan verdient dit onze steun. Zoniet, dan is het andersom. Eenvoudig maar duidelijk.

Verkiezingen en Westerse (Amerikaanse) controle

Op 4 december organiseerde de Russische staat parlementsverkiezingen. Tijdens deze verkiezingen verloor de heersende partij, Edinaya Rossiya (Verenigd Rusland), redelijk wat terrein. Zij daalden naar 49,3% van de stemmen. Tijdens de laatste verkiezingen behaalde de partij nog 64% van de stemmen. De daling is opmerkelijk. Maar laten we toch niet vergeten dat deze machtspartij nog steeds de helft van de stemmen behaalt. Medvedev, Poetin & co moeten aldus redelijk zwaar inleveren. De uitslag kwam aan als een electroshock. De liberale nationalisten van Zjirinovsky (LDPR) behaalden 12,0% en de (nationalistische!) communisten 19,2%. Het liberale, door de VS gesteunde, Yabloko behaalde amper 3,43% van de stemmen.

We kunnen een ding duidelijk stellen: tijdens elke verkiezing, waar ook ter wereld, wordt gesjoemeld. Men kan ervan uitgaan dat dit aldus ook in Rusland is gebeurd. In Rusland werden ooit kiesurnen in het verre achterland gewoon voor de (verborgen) camera bijgevuld met zakken vol bijkomende stembiljetten. Maar dat zien we tenminste nog, in het Westen vervalst men het resultaat tegenwoordig door middel van computersoftware. Met de computer kan een bepaald systeem veel beter de cijfers vervalsen dan daar waar gestemd wordt met potlood. Indien verkiezingen iets zouden veranderen, dan zou men ze gewoon afschaffen, luidt het adagium hier. George Bush Junior (Bilderbergersfavoriet) werd zo jaren geleden verkozen door enorme fraude met 'ontbrekende' stemmen.

Uiteraard moest het Westen via de OSCE waarnemers sturen om te zien of de verkiezingen wel eerlijk verlopen. Op het net kon men lezen hoe ook Vlaams Belangers (een kleine Vlaamsnationale partij met een uitgesproken anti-Russisch en een pro-USA en pro-Israël-programma) 'her en der fraude hebben vastgesteld' (dixit Peter Logghe, volksvertegenwoordiger Vlaams Belang, van 30 november tot en met 5 december in Rusland). Ook Amerika- en Israëlvriend Tanguy Veys bevond zich in Rusland. Om een goede analyse te maken moet men de lokale taal spreken, hopelijk beheersen de gezegende Europese 'gerechtsdeurwaarders' behoorlijk de Russische taal opdat hun zintuigen de juiste interpretatie konden geven aan wat ze beleefden. De twee laatstgenoemden eisen terecht dat in Vlaanderen het Nederlands wordt gesproken wat betreft de officiële gang van zaken. Consequent met dit principe mag men verwachten dat beide hoffelijke heren het Russisch machtig zijn om ginder ter plaatse de rol van objectieve 'gerechtsdeurwaarder' op zich te nemen. Toch?

'Revolutionaire' lucht

Vorig jaar begreep ik al dat er in Rusland een bepaalde vorm van revolutie in de lucht hing. Op het Manezhnaya (rond het Kremlin) kwamen duizenden jongeren bij elkaar om te protesteren tegen de 'etnische criminaliteit'. Men moet weten dat het aantal immigranten in Moskou jaarlijks zeer sterk toeneemt. Parallel met dit sociaal-economisch fenomeen neemt ook de criminaliteit sterk toe. Toen vorig jaar voor de derde keer in relatief korte tijd een Russische voetbalsupporter door niet-Russen werd vermoord, besloten de Russische jongeren op de straat te komen. In verschillende steden kwamen ze massaal op de straat met het Moskouse Manezhnaya als hoogtepunt, met zo'n 7.000 betogers. De overheid reageerde hier nogal brutaal op. De oproerpolitie handelde zeer hard. Er verschenen foto's waar de Russische oproerpolitie (OMON) Russische vlaggen van de jongeren afnam en deze met de laarzen voor hun neus vernietigden. Het was toen heel duidelijk dat de Russische jeugd op punt staat om de revolutionaire weg op te gaan. De verkeerde reactie van de OMON werkt de revolutionaire drang verder aan.

Hierbij komt nog dat de crisis wereldwijd voelbaar is, dus ook in Rusland. Rusland heeft een ultra-kapitalistisch economisch systeem. 'Geen werk' betekent 'geen inkomen'. Behalve in de regio Moskou en Sint-Petersburg, leeft een belangrijk deel van de Russische bevolking in minder luxueuze omstandigheden.

Langs de andere kant blijven oligarchen miljarden dollars binnenrijven dankzij het verder plunderen van de Russische bodemschatten. Rijkeluis Abramovich kocht, om zijn tijd te verdrijven, een jacht waarmee men met de aankoopsom in een dorp voor iedereen een huis zou kunnen kopen. De Russen weten dit ook. Nu de crisis en de criminaliteit toenemen, neemt ook het gemor en het luider wordend protest toe.

Vergelijkingen met vroeger

We kunnen een historische vergelijking maken. In 1917 maakte het beleid verschillende belangrijke vergissingen. Tsaar Nicolaas II werd door sommigen van zijn entourage opzettelijk geboycot met onder andere een hongersnood tot gevolg. De bureaucraten van de regering van Tsaar Nicolaas II reageerde laks op deze rampzalige situatie. Buitenlandse machten speelden in op de begrijpelijke onvrede. Lenin werd vanuit New York over Zürich, doorheen heel Duitsland, opgestuurd om het regime te vervangen. Deze Amerikaanse putch eindigde in de Russische Oktoberrevolutie. De rode droom van Lenin werd al spoedig een rode nachtmerrie.

Vandaag stellen we vast dat:

enerzijds het Russisch beleid een paar zware vergissingen begaat;

anderzijds de VS door middel van lobbies inspelen op de onvrede.

Men mag ervan uitgaan dat de door de VS geprogrammeerde droom ook in Rusland spoedig een nachtmerrie zal worden. Tot hier onze vergelijking met de Russische Revolutie van 1917.

President Poetin en democratie

Toen president Poetin in het jaar 2000 aan de macht kwam, herbouwde en hervormde hij de Russische staat met enig succes. De chaos die voormalig president Jeltsin naliet, werd omgevormd tot begeleide orde. De Russen zagen hun inkomen en zekerheden stijgen. Rusland bevond zich bij zijn aanstelling onder het economisch niveau van het arme Portugal. In 10 jaar Poetin steeg het gemiddelde inkomen zeer sterk. Vandaag verdient een metrobestuurder 1.500 euro per maand. (Dit heb ik zelf in 2008 al zien uithangen in de metrostations, om exact te zijn 66.000 roebel netto.)

Poetins grootste krachttoer was echter het bij elkaar houden van Rusland. De CIA plande openlijk een verdeling van Rusland en dit ten laatste in 2005. Daarvan kwam gelukkig niets in huis.

De prijs voor het stijgen van de Russische welvaart werd betaald door een mindere aanwezigheid van de 'democratie'. De Russen vonden dit niet zo erg. Ze verkozen zekerheden boven democratie. Toen een tijdje geleden de voedselprijzen enorm begonnen te stijgen, verbood president Poetin elke vorm van prijsverhoging in de winkels.

In het Westen weten we ondertussen al wat dit begrip inhoudt. 'Demo(n)cratie' betekent: de rijken aan de macht. 'Democratie' is het Westen zoals het monster van Loch Ness: iedereen spreekt erover maar niemand heeft het ooit gezien. Het moet gezegd worden: Rusland is nog steeds veel democratischer dan de Europese (Sovjet-)Unie.

De oligarchen bleven en blijven het land wel leegroven. Michail Khodorchovsky werd in de gevangenis gestopt. De man leefde goed met zijn van het volk geplunderde buit en was zo gek om tegen de schenen van de Russische macht te schoppen. Hij vloog per direct naar een Siberische gevangenis en leerde er ondertussen al zelf kousen te stoppen. Andere oligarchen maakten een akkoord met het systeem: braaf zijn opdat er verder mag geplunderd worden. Het Russische volk klom onder Poetin op van heel arm naar redelijk normaal. Een klein deel van de olie-inkomsten vloeide wel door naar het volk. Onder president Jeltsin was dit amper het geval. Dit kleine deel zorgde evenwel voor een enorme kapitaalsinjectie voor de Russische middenklasse. Om de Russische middenklasse vandaag te laten groeien, zijn er echter andere maatregelen nodig. Er moeten veel meer roebels vanuit de boorputten naar het ganse volk doorvloeien. Op dit vlak staan de Russische machtshebbers voor duidelijke keuzes.

Het Kremlin en de Kiescommissie

Het staat als een paal boven water dat het Russische machtssysteem (het Kremlin) heel wat vijanden heeft gemaakt. Zeker in het buitenland (de Verenigde Staten) maar ook in het binnenland. Een van de gevoelige punten, is het Russisch kiessysteem.

Het Russisch kiessysteem wordt geleid door een kiescommissie, een soort 'keuringscentrum'. Wie aan de verkiezingen wil meedoen, moet toestemming krijgen van deze Commissie. De Commissie geeft enkel toelating aan partijen die redelijk ongevaarlijk zijn voor het Kremlin. Ongevaarlijk wordt bedoeld in de zin van ofwel 'volgzaam' (LDPR, Rechtvaardig Rusland) ofwel 'ongevaarlijke oppositie' (Jabloko). 'Jabloko' betekent 'appel', overigens, zou Steve Jobs dit leuk gevonden hebben?

De liberalen, die electoraal via Jabloko in Rusland amper een stem halen maar daarentegen massaal de regeringspartij Edinaya Rossiya bevolken, willen nog meer plunderen. Het is een economische wet dat een kapitalist steeds meer wil.

De communisten zitten al jaren vast in de oppositie en willen uitbreken.

De radicalere nationalisten worden door de Commissie steevast geweigerd en kunnen nooit: lijsten indienen, op de Kremlinvriend Vladimir Zjirinovsky (LDPR) na dan.

De Commissie wordt geleid door Vladimir Churov. Omwille van de beschuldigingen aan het hoofd van de commissie 'oneerlijke verkiezingen' - vroegen de manifestanten het ontslag van Vladimir Churov. U begrijpt nu hoe het kiessysteem in Rusland in elkaar zit en waarom men de resultaten van de parlementsverkiezingen betwist.

Het Westen schreeuwt... en betaalt!

Het Westen is gespecialiseerd in 'het tonen aan anderen hoe het moet'. Het Westen wil de eigen cultuur wereldwijd uitdragen/opleggen, wat de nieuwe vorm van economisch kolonialisme is. Enkel het Westen heeft de waarheid in pacht, zo stelt men het althans. Westerse media gebruikten al langer de woorden 'revolutie,' 'Russische Sneeuwrevolutie,' 'Arabische Lente in Moskou', enzovoort. De media spraken zelfs over barsten in het Poetinregime. Franse en Angelsaxische media gebruikten zelfs beelden van buiten Rusland om vervalst verslag uit te brengen. Het Amerikaanse televisiekanaal van de steenrijke oligarch Rupert Murdoch, Fox News, voegde om de geloofwaardigheid te verhogen, beelden toe van... de rellen in Griekenland! Men ziet op de televisie aldus brandhaarden, gebroken ruiten, jongeren die molotovcocktails naar de politie gooien, enzovoort. Op een van de uitstalramen merkt men... Griekse letters. Men ziet er palmbomen en zomerse kledij. Nochtans staan er in Moskou geen palmbomen, toch niet bij mijn weten, en ik ben er regelmatig genoeg. De Fox News-verslaglezer zegt: "dit is Moskou. Dit zijn acties van diegenen die het niet eens zijn met de resultaten van de parlementaire verkiezingen." De zender gaf twee uur later de fout toe. Maar het nieuws is uitgebracht. Duizenden mensen blijven deze beelden geloven. Dit zijn echte Oranje Revolutie technieken.

De ware kiesfraude, die in bepaalde stembureaus, net zoals bij ons, inderdaad gebeurde, valt waarschijnlijk in het niets vergeleken met andere buitenlandse kiesfraude. En nee, niet alleen Congo, neem bijvoorbeeld Chicago 1982. Toen verdwenen er ook plots 100.000 stemmen. Maar dit terzijde.

Er huppelen in Rusland al jaren heel wat mensenrechtenactivisten rond. De Russische vereniging GOLOS ('stem' in het Russisch) keek mee naar het verloop van de stemverrichtingen. GOLOS wordt gefinancierd door het Amerikaanse USAID en NED. GOLOS had pech want er lekte in de Russische media een interne e-mail uit, waar GOLOS aan USAID vraagt hoeveel ze hen mogen 'factureren' voor de gemaakte onkosten om 'fraude en bedrog vast te stellen.' USAID en NED zijn Amerikaanse organisaties die de laatste jaren heel wat 'revoluties' in Oost-Europa ondersteund hebben. De VS hebben zelf aangekondigd dat ze de toelagen aan NGO's werkzaam in Rusland zullen verhogen.

Grote afwezige was Alexej Navalny, een bekende blogger die opriep om voor iedereen te stemmen maar niet voor Edinaya Rossiya. Zijn mailbox werd gekraakt. Hieruit blijkt dat de man door het Amerikaanse NED betaald wordt.

Opvallend was ook het gegeven dat de manifestanten naast witte linten ook bloemen droegen. Dit lijkt enorm op de 'revoluties' in Servië (2000), Georgië (2003) en Oekraïne (2004). De organisatie die de 'sneeuwrevolutie' wil organiseren, Belaya Lenta, legde haar domeinnaam vast in oktober 2011 en registreerde zich in... de Verenigde Staten.

Het klassieke Bilderbergergeblaat van Herman Van Rompuy en Hillary Clinton (Skull and Bones) alsook het geblaat van de Europese (Sovjet-)Unie maken in Rusland terecht weinig indruk.

Poetin 2.0 en de protesten

De regerende partij Edinaya Rossiya verloor sterk, wat overeenkomt met de peilingen en de verwachtingen. Tot hiertoe kunnen we niet spreken van een schandaal. Indien er gefraudeerd werd, dan is het om de partij van net onder naar net boven de drempel van 50% te halen. De Russen die tegen de verkiezingsresultaten demonstreren, willen geen revolutie zoals in 1917, zij willen absoluut geen bloedvergieten, maar zij willen wel dat de regering ook naar hen luistert.

Het staat vast dat Medvedev en Poetin een ander Rusland tegenover zich hebben. De Russische middenklasse laat van zich horen. Het Poetin-contract - verdere plunderingen van de Russische grondstoffen door oligarchen en de daarbij horende corruptie gepleegd door lager personeel in ruil voor stabiliteit en welvaart - loopt ten einde. De jeugd van vandaag is een jeugd die niet meer is opgegroeid in de Sovjet-Unie. Niemand zorgt voor hen. Het sociaal-economisch systeem dat de Sovjet-Unie kende, is vervangen door een hard liberaalkapitalistisch systeem. De jeugd begrijpt dat ze zelf voor hun levensonderhoud moeten voorzien, maar ook dat ze vanuit het systeem geen repressie hoeft te vrezen zoals ten tijde van de Sovjet-Unie.

Een deel van de verdeelde oppositie denkt dat Edinaya Rossiya zonder kiesfraude amper 30% zou gehaald hebben. Nochtans komen de verkiezingsresultaten redelijk overeen met de peilingen die op voorhand werden gehouden. Men kan zich aldus niet van de indruk ontdoen dat er zich in Rusland hetzelfde afspeelt als in Syrië.

Deze (verspreide) oppositie krijgt van het Kremlin een historische kans massaal te betogen. Medvedev schreef zondag op het net: "De burgers van Rusland hebben de vrijheid van meningsuiting en de vrijheid van vergadering. Mensen hebben het recht om de mening die zij hebben uit te drukken. Alles vond zaterdag plaats binnen het kader van de wet." Hij beloofde om de klachten over kiesfraude ernstig te nemen en deze te onderzoeken.

In elk geval is het zo dat het Kremlin heel intelligent met deze protesten omgaat. Door toelating te geven, blazen de demonstranten stoom af. Dit lijkt op de Belgische tactiek om de makke Vlaamse Beweging, die jaarlijks naar IJzerbedevaarten, IJzerwaken en Zangfeesten gaat, stoom te laten afblazen, waarna er niet veel concreets meer gebeurt.

We herhalen het niet genoeg: de Russische oppositie is enorm verdeeld. De betogers waren van verschillende pluimage. Soms is het erg hard zoeken naar een gemeenschappelijke noemer. Wat kan men anders verwachten: liberalen, communisten en nationalisten door elkaar. In sommige steden maakten ze onder elkaar al ruzie over de startplaats van de betoging. Men kon vertegenwoordigers zien van die andere partijen in de Doema, 'Rechtvaardig Rusland' en de 'Kommunistische Partij' (KPRF). Er waren leden van een uiterst links front van Sergej Oedalstsov. Ook de eeuwige vijanden Boris Nemtsov, Michael Kassianov en Vladimir Milov liepen zich warm in de Moskouse koude. Uiteraard ontbrak de partij 'Ander Rusland' van Garry Kasparov niet. Zijn beweging noemt zich 'Solidarity', genoemd naar de Poolse beweging die zich met Amerikaans geld tegen de communistische Poolse machtshebbers heeft afgezet. 'Solidarity' is een mengeling van liberalen, communisten en radicale nationalisten met een gemeenschappelijk programmapunt: zij willen verandering door Poetin weg te stemmen.

Men kan dus niet spreken van een actie georganiseerd door 'de oppositie' maar een actie ten gevolge van stijgende ontevredenheid.

Sommigen vragen zich af hoe zo'n bonte verzameling aan mensen en meningen nog overeenkomen. Het moet gezegd worden: er waren slogans tegen Poetin, maar geen afbraakwerken. In het Westen gebeurt het meer dan eens dat een betoging nadien zwaar uit de hand loopt en de binnenstad wordt gesloopt. Dit was in Moskou zeker niet het geval.

De politie trachtte in geen enkel geval de betoging te beïnvloeden. Er stond geen rem op de te gebruiken slogans en er werden geen identiteitspapieren gecontroleerd. Rond 18u00, rond het einde van de manifestatie, bedankten de organisatoren de politie: "Laten we de politie bedanken, want zij gedroeg zich als ordehandhavers van een ware democratische staat."

Belangrijk is dat men begrijpt dat het gros van de manifestanten niet de door de VS gestuurde marionetten steunen. Dmitri Rogozin, Russisch gezant bij de NAVO, vatte het als volgt samen: "Het blijkt nu dat de mensen ernstige aanspraken maken op de vele aspecten van hun leven. Ogenschijnlijk drukken ze hun mening uit. Van de autoriteiten mag men verwachten dat ze naar de mensen luisteren en diegenen die het geloof in onze wetten beledigen, afstraffen. Tegelijkertijd denk ik dat we voor een ingewikkelde situatie staan. Indien sommigen hier de boot willen doen zinken, zullen sommige vrienden uit het Westen niet aarzelen om hun krachtige mogelijkheden te gebruiken om Rusland te verzwakken. Dit deed het Westen al met Oranje Revoluties te organiseren in de GOS en het 'bombarderen om humanitaire redenen' van andere landen. Daarom moeten Russische patriotten voorzichtig zijn. Ze moeten elkaar respecteren. Hun energie moet gebruikt worden om het land te verbeteren en niet om mensen naar de barricades te sturen." Dmitri Rogozin werd recent officieel lid van de partij Edinaya Rossiya.

Het hoofd van de Raad voor Nationale Strategie, Josif Diskin, zei dat er veel mensen waren, maar het niet zo is dat een bepaalde politieke beweging of partij overduidelijk gesteund werd. De mensen willen gewoon niet als dummies behandeld worden.

Het buitenlands beleid van Poetin

Het buitenlands beleid van Poetin verdient evenwel positieve aandacht. Laat ons niet vergeten dat Poetin en Medvedev veel weg hebben van Sirius A en Sirius B. Dit zijn twee sterren die rond elkaar draaien. Ze horen bij elkaar. Toch zijn het twee aparte sterren met elk aparte eigenschappen, al was het maar omwille van de verschillende grootte. Het is duidelijk dat Poetin de grootste ster is. Medvedev heeft een eigen stellair... ehm, (geo)politiek programma. Kort door de bocht kan men stellen: Medvedev is 'iets Angelsaksisch' en Poetin 'iets meer Duits'.

Met Medvedev aan de macht, kunnen de internationale kapitalistische lobbies op beide oren slapen. De Amerikaanse geopolitici kunnen met Medvedev duimen en vingers aflikken. Met Poetin is dit anders en genuanceerder.

Recent bepleitte Vladimir Poetin nog het opnieuw in leven blazen van de Euraziatische Unie. Hij wil dat zijn land nauwere contacten onderhoudt met de ex-Sovjet Republieken en de voormalige bondgenoten. Er bestaat nu al een vrijhandelszone tussen Rusland, Wit-Rusland en Kazachstan. In 2009 zag dit project het levenslicht onder het alziende oog van Poetin en onder de noemer van een douane-unie. Vanaf 2012 wordt dit een vrije economische ruimte. Poetin beziet deze samenwerking als een noodzakelijkheid voor de Russische geopolitieke belangen anno 2012.

Het Westen reageerde onmiddellijk met angst en negativiteit. Men dacht aan de heroprichting van de Sovjet-Unie. De woorden 'gevaarlijk' kwamen in de mond. In het kielzog van de door de VS gestuurde commentaren, volgt het geopolitiek ongeschoolde deel van de Westeuropese nationalisten.

Het Westen is ook razend op Poetin & co omdat Rusland tot nu toe de totale NAVO-afbraakwerken in Syrië via de nodige afremmanoeuvres heeft tegengehouden. Dankzij het Russisch buitenlands beleid is Iran nog steeds niet aangevallen. Zelfs een kind kan begrijpen dat de VS zich de gebeten hond voelen, zeker nu de VS stilaan Irak en Afghanistan verliezen. Ooit valt ook Pakistan uit hun handen. Eigenlijk staan ze er redelijk selcht voor in continentaal Eurazië, zeker in de regio rond de Kaspische Zee. De VS hebben in het Midden-Oosten dus nieuwe uitvalsbasissen nodig.

Conclusie

De conclusie is tweeledig: nationaal en internationaal.

Internationaal

In Rusland vindt zich een enorme Amerikaanse inmenging in de binnenlandse aangelegenheden plaats. We stellen vast dat aan Amerikaanse zijde een diabolisatiecampagne aan de gang is wat betreft president Poetin 3.0. Het gebraak van Amerikaans minsister van Buitenlandse Zaken Hillary Clinton-Rodham, zij staat zogezegd aan de zijde van het Russische volk, komt totaal ongeloofwaardig over. Haar man stond in 1999 eveneens niet aan de zijde van het Servische volk. De ultra-imperialistische Verenigde Staten, die aan de zijde van de volkeren staan? Zelfs de beste humorist kan hier niets mee aanvangen.

De Verenigde Staten willen Rusland destabiliseren met als doel de komende aanvallen op Syrië en Iran gemakkelijker te verkopen. Rusland is het enige 'tegen-Imperium' dat de honger van de ultra-imperialistische Verenigde Staten kan stoppen. Zonder Rusland was Syrië en Iran al lang platgelegd met bommen, zelfs nucleaire desnoods.

Nationaal

Buiten Poetin, Medvedev en Zjoeganov zijn er geen echte sterke presidentskandidaten. Jammer voor Vladimir Zjirinovsky, maar die maakt geen enkele kans, indien president worden zijn bedoeling is. Jammer voor de betogers, maar ik zie niet in wie een enorm land als Rusland kan leiden. Het is in Europa's voordeel dat Rusland geleid wordt in eigen belangen, zonder dat het land aan de Verenigde Staten en de internationale bankiers wordt uitgeleverd.

Men kan niet spreken van een protestactie georganiseerd door een homogene oppositie, maar wel over een protestactie ten gevolge van begrijpelijke stijgende ontevredenheid. De betogingen verliepen rustig en hoffelijk, zowel van de kant van de betogers als van de kant van de overheid. De manifestanten hadden redelijke verzuchtingen zoals gratis gezondheidszorg en betere voorzieningen voor het onderwijs. Deze verzuchtingen zijn eigenlijk programmapunten van het linkse blok in de Doema (Kommunistische Partij en Rechtvaardig Rusland), dat ongeveer een derde van de verkozenen telt.

Het mag benadrukt worden: de betogers hebben redelijke en gerechtvaardigde verzuchtingen. We kunnen de betogers ten volle begrijpen en hun eisen ondersteunen. We kunnen zeker de patriottische betogers begrijpen die meer bescherming willen voor de ethische Russen. 'Rusland aan de Russen' is immers een courante slogan. De regering beloofde trouwens al naar de verzuchtingen te luisteren. De manifestaties hebben aangetoond dat de Russen op de straat kunnen komen zonder hulp van de VS. De betogers hebben Uncle Sam niet nodig om zich te uiten.

Ja, aan de Russen die hun mening via betogingen op de straat kenbaar maken.

Neen, aan de Amerikaanse perverse bemoeienissen in Rusland.

Ja, aan het recht voor de Russen om oppositie te voeren tegen eender wie in het Kremlin zetelt.

Neen, aan een door de Verenigde Staten gemanipuleerde oppositie.

Een stabiel Rusland is de beste partner en garantie voor het westelijk deel van Europa. Politiek analist Sergej Kurginyan stelt het zo: "Onze strijd, evenals de strijd van andere mensen, moet door de overtuiging van de nationale krachten worden uitgevoerd onder het motto: 'Heropbouwen zonder buitenlandse hulp.' Wie wil er dit nu niet doen met een overheid in het kader van een nationale consensus? Dit mag politiek niet geassocieerd worden met de Amerikanen en hun handlangers van de NAVO."

Kan dit nog beter worden gezegd?

Peder Jensen, alias “Fjordman”, inspirateur d’Anders Breivik?

phpThumb_generated_thumbnailjpg.jpeg

Manfred KLEINE-HARTLAGE:

 Peder Jensen, alias “Fjordman”, inspirateur d’Anders Breivik?

Immédiatement après le massacre perpétré à Oslo en juillet dernier, paraissait dans la presse norvégienne une photographie de l’homme censé avoir inspiré, par ses écrits, le tueur Anders Breivik. Ce soupçon était erroné mais le dévoilement de l’identité de “Fjordman” a surpris: l’écrivain préféré de Breivik ne ressemblait pas du tout à l’homme de droite ou d’extrême-droite telle que l’imaginent les médias de gauche. Peder Jensen, que le monde ne connaissait via internet que sous le pseudonyme de “Fjordman”, travaillait dans une institution sociale: les attentats et leur suite, qui l’ont forcé à dévoiler son identité, lui ont coûté son emploi.

Jensen, âgé de 36 ans, n’est pas né animé par des idées conservatrices: il les a acquises par l’étude. Il est issu d’une famille incarnant parfaitement l’établissement de gauche, qu’il n’a cessé de critiquer. Comme beaucoup de critiques de l’islamisme, que l’on peut ranger dans la catégorie des “contre-djihadistes”, il est un homme jadis socialisé à gauche de l’échiquier politique; il n’a révisé ses idées que fort tard, quand il a été confronté à l’islamisme. Le tournant dans son évolution date du 11 septembre 2001, une journée au cours son long séjour au Caire. Ce n’est pas tant le fait que dix-neuf musulmans auraient perpétré l’attentat qui l’ont fait changer d’avis sur l’islam alors qu’il apprenait la langue arabe dans la capitale égyptienne: c’est davantage le spectacle de millions de musulmans applaudissant au carnage qui l’a interpellé.

Depuis 2005, cet arabisant norvégien, à la vie tranquille, gèrait un blog sous le nom de “Fjordman” et, par le biais de ses articles bien argumentés, reposant sur les critères de cette discipline que les Allemands appellent la “Kulturkritik”, il touchait des centaines de milliers sinon des millions de lecteurs. L’impact de son travail est surtout dû au fait qu’il ne se contentait pas de critiquer l’islam ou l’islamisme. Il posait une question cruciale: pourquoi laisse-t-on l’islamisme se déployer? Fjordman, arabisant patenté, ne se bornait pas à disséquer la culture islamique mais se penchait de manière fort critique sur notre propre culture occidentale, où il repérait un masochisme suicidaire, des illusions infantiles et un oubli permanent de l’histoire. Il n’hésitait pas, sur base de ses diagnostics, à citer les noms des vecteurs européens, américains et occidentaux de cette déchéance intellectuelle.

Au fil des années, les essais de Fjordman devenaient de plus en plus sombres et pessimistes, parce que ses questions devenaient de plus en plus pertinentes et profondes. Fjordman a donc commencé sa carrière comme critique de l’islamisme mais, au fur et à mesure que sa quête progressait, il est devenu un fin critique des fondements de notre propre civilisation occidentale. Désormais, on peut suivre pas à pas cette évolution intellectuelle dans une première édition allemande de ses écrits, publiée fin novembre 2011.

Au départ, les positions de Fjordman étaient plutôt pro-américaines mais elles ont cédé la place à un anti-globalisme radical. La critique fjordmanienne du “globalisme” a ainsi reçu la priorité par rapport aux articles critiques sur l’islamisation de l’Europe. La crise de notre civilisation, conclut Jensen/Fjordman, dérive de l’acceptation a-critique de l’idéologie mondialiste (”One-World-Ideology”), que l’on considère aujourd’hui comme une évidence incontournable. C’est là que Jensen/Fjordman va plus loin qu’une simple critique de l’islamisme. Les élites occidentales font tout pour sacrifier à une utopie perverse les structures nées de l’histoire et les identités concrètes des peuples; or cette utopie mondialiste est inhumaine, elle relève d’une inhumanité qui ne se révèlera à tous que lorsqu’il sera trop tard...

Manfred KLEINE-HARTLAGE (*).

(article paru dans “Junge Freiheit”, Berlin, n°49/2011; http://www.jungefreiheit.de ).

(*) Manfred Kleine-Hartlage est le co-éditeur du livre intitulé “Fjordman. Europa verteidigen. Zehn Texte” (Edition Antaios – http://www.antaios.de )


Europa verteidigen Fjordman
Europa verteidigen

Zehn Texte
240 Seiten, broschiert, 19.00 €


ISBN: 978-3-935063-66-1
19,00 EUR
incl. 7 % UST exkl. Versandkosten
Als Internet-Publizist ist Fjordman seit einigen Jahren in der sogenannten Counterjihad-Szene ein Begriff: islamkritisch, multikultikritisch, liberalismuskritisch, ein belesener Essayist.
Die Herausgeber Martin Lichtmesz und Manfred Kleine-Hartlage haben zehn der besten Texte Fjordmans ausgewählt, die Übersetzungen bearbeitet und ein Buch zusammengestellt, das durch die Radikalität seines Tons provoziert und zugleich diese Radikalität rechtfertigt: Es geht um die Verteidigung des Eigenen. Dieses Eigene ist Europa.
In einem flankierenden Essay nimmt Martin Lichtmesz den Fall des Attentäters von Oslo und Utoya unter die Lupe: Anders Breivik berief sich in einem Pamphlet mehrfach auf Fjordmans Analysen. Er hat damit geistiges Terrain vermint, das es nun wiederum freizuräumen gilt.


Vorwort:
Der Fjordman Peder Jensen
von Manfred Kleine-Hartlage

Overtüre:

Vorbereitung auf Ragnaräck
Erster Text von Fjordman

I. Akt Islamkritik

Warum wir uns nicht auf moderate Moslems verlassen können
Zweiter Text von Fjordman

Was kostet Europa die islamische Zuwanderung?
Dritter Text von Fjordman

Vierzehn Jahrhunderte Krieg gegen die europäische Zivilisation
Vierter Text von Fjordman

II. Akt Kulturkritik

Political Correctness - die Rache des Marxismus
Fünfter Text von Fjordman

Die Wurzeln der Antidiskriminierung

Sechster Text von Fjordman

Westlicher Feminismus und das Bedürfnis nach Unterwerfung

Siebter Text von Fjordman

Die vaterlose Zivilisation

Achter Text von Fjordman

III. Akt Globalismus/EU

Die EU und die globalistische Allianz
Neunter Text von Fjordman

Wenn Verrat zur Norm wird

Zehnter Text von Fjordman


Nachwort

Fjordman verteidigen

Martin Lichtmesz

Ausgang

Entwurf einer Europäischen Unabhängigkeitserklärung

von Fjordman

Anhang

Anmerkungen
Quellennachweis

 

Une grande transformation

chriscaldwell.jpg

Une grande transformation

par Georges FELTIN-TRACOL

 

En 2009, le journaliste Christopher Caldwell faisait paraître Reflections on the revolution in Europe, clin d’œil appuyé à l’ouvrage contre-révolutionnaire du Whig Edmund Burke publié en 1790. Les Éditions du Toucan viennent de sortir sa traduction française sous le titre d’Une révolution sous nos yeux. Alors que les maisons d’éditions institutionnelles se gardent bien maintenant de traduire le moindre ouvrage qui irait à l’encontre de la pesante pensée dominante, saluons cette initiative qui permet au public francophone de découvrir un point de vue divergent bien éloigné de l’agencement ouaté des studios de radio et des plateaux de télévision.

 

caldwell.jpgÉditorialiste au Financial Times (le journal officiel de la City) et rédacteur au Weekly Standard et au New York Times Magazine, Christopher Caldwell relève du courant néo-conservateur anglo-saxon. Il en remercie même William Kristol, qui en est l’une des têtes pensantes. L’édition française est préfacée par la démographe Michèle Tribalat qui, avec son compère Pierre-André Taguieff, semble ébaucher une sensibilité néo-conservatrice dans l’Hexagone plus charpentée que les guignols de la triste revue Le meilleur des mondes.

 

On pourrait supposer qu’Une révolution sous nos yeux est un lourd pensum ennuyeux à lire composé de douze chapitres réunis en trois parties respectivement intitulées « Immigration », « L’islam » et « L’Occident ». Nullement ! Comme la plupart des enquêtes journalistiques anglo-saxonnes, les faits précis et détaillés sont étayés et argumentés. Il faut avouer que le sujet abordé est risqué, surtout en France…

 

« Ce livre, avertit l’auteur, évitera l’alarmisme et la provocation vaine, mais il évitera aussi l’euphémisme et cette façon de se coucher (à titre préventif) qui caractérise tant d’écrits sur les questions relatives à l’ethnicité (p. 53). » Qu’aborde-t-il donc ? « Ce livre, répond Caldwell, traite de l’Europe, de comment et pourquoi l’immigration et les sociétés multi-ethniques qui en résultent marquent une rupture dans son histoire. Il est écrit avec un œil rivé sur les difficultés que l’immigration pose à la société européenne (p. 52). 

 

 

Partant des déclarations prophétiques en avril 1968 du député conservateur Enoch Powell au Midland Hotel de Birmingham consacrées aux tensions raciales à venir, l’auteur estime que « l’immigration n’améliore pas, ne valorise pas la culture européenne; elle la supplante. L’Europe ne fait pas bon accueil à ses tout nouveaux habitants, elle leur cède la place (p. 47) ». Pourquoi ?


Les racines du mal

 

Avant de répondre, Christopher Caldwell rappelle que « l’immigration de masse a débuté dans la décennie postérieure à la Seconde Guerre mondiale. […] En Grande-Bretagne, en France, aux Pays-Bas et en Scandinavie, l’industrie et le gouvernement ont mis en place des politiques de recrutement de main-d’œuvre étrangère pour leurs économies en plein boom (p. 25) ». Par conséquent, « l’Europe devint une destination d’immigration, suite à un consensus de ses élites politiques et commerciales (p. 25) ». Il insiste sur le jeu du patronat qui préfère employer une main-d’œuvre étrangère plutôt que locale afin de faire baisser les salaires… Il y a longtemps que l’immigration constitue l’arme favorite du capital (1). Or « les effets sociaux, spirituels et politiques de l’immigration sont considérables et durables, alors que ses effets économiques sont faibles et transitoires (pp. 69 – 70) ».

 

Il importe d’abandonner l’image du pauvre hère qui délaisse les siens pour survivre chez les nantis du Nord… « Pour Enoch Powell comme pour Jean Raspail, l’immigration de masse vers l’Europe n’était pas l’affaire d’individus “ à la recherche d’une vie meilleure ”, selon la formule consacrée. C’était l’affaire de masses organisées exigeant une vie meilleure, désir gros de conséquences politiques radicalement différentes (p. 31, souligné par l’auteur). » Dans cette « grande transformation » en cours, en raison du nombre élevé de pratiquants parmi les nouveaux venus, l’islam devient une question européenne ou, plus exactement, le redevient comme au temps du péril ottoman et des actes de piraterie maritime en Méditerranée jusqu’en 1830… Dorénavant, « l’immigration jou[e] un rôle aussi perturbateur que le nationalisme (p. 402) ».

 

Très informé de l’actualité des deux côtes de l’Atlantique, Christopher Caldwell n’hésite pas à comparer la situation de l’Europe occidentale à celle des États-Unis. Ainsi, les remarques politiques ne manquent pas. L’auteur estime par exemple que, pour gagner les électeurs, Nicolas Sarközy s’inspire nettement des méthodes de Richard Nixon en 1968 et en 1972.

 

À la différence de Qui sommes-nous ? de Samuel P. Huntington qui s’inquiétait de l’émergence d’une éventuelle Mexamérique, Caldwell pense que les Latinos, souvent catholiques et occidentalisés, peuvent renforcer et améliorer le modèle social étatsunien. L’auteur remarque même, assez justement, que « les Américains croient que l’Amérique, c’est la culture européenne plus l’entropie (p. 447) ». En revanche, l’Europe est confrontée à une immigration pour l’essentiel musulmane. L’Europe ne serait-elle pas dans le même état si l’immigration extra-européenne était principalement non-musulmane ? L’auteur n’y répond pas, mais gageons que les effets seraient semblables. Le problème majeur de l’Europe n’est pas son islamisation qui n’est qu’une conséquence, mais l’immigration de masse. Il serait temps que les Européens comprennent qu’ils deviennent la colonie de leurs anciennes colonies…

 

L’injonction morale multiculturaliste

 

Si cette prise de conscience tarde, c’est parce que « le multiculturalisme, qui demeure le principal outil de gestion de l’immigration de masse en Europe, impose le sacrifice des libertés que les autochtones européens tenaient naguère pour acquises (p. 38) ». L’imposture multiculturaliste (ou multiculturelle) – qui est en fait un monothéisme du marché et de la consommation – forme le soubassement fondamental de l’Union européenne et des « pays occidentaux [qui] sont censés être des démocraties (p. 435) ». Néanmoins, sans la moindre consultation électorale, sans aucun débat public véritable, « sans que personne ne l’ait vraiment décidé, l’Europe occidentale s’est changée en société multi-ethnique (p. 25) ».

 

À la suite d’Alexandre Zinoviev, d’Éric Werner et d’autres dissidents de l’Ouest, Christopher Caldwell observe la démocratie régresser en Occident avec l’adoption fulgurante de lois liberticides contre les hétérodoxies contemporaines. En effet, « l’Europe de l’après-guerre s’est bâtie sur l’intolérance de l’intolérance – un état d’esprit vanté pour son anti-racisme et son antifascisme, ou brocardé par son aspect politiquement correct (p. 128) ». Après la lutte contre l’antisémitisme, l’idéologie multiculturaliste de la tolérance obligatoire s’élargit aux autres minorités raciales et sexuelles et renforce la répression. Il devient désormais tout aussi grave, voire plus, de dénigrer un Noir, un musulman, un homo ou de nier des faits historiques récents que de violer une fillette ou d’assassiner un retraité ! « Peu à peu, les autochtones européens sont […] devenus moins francs ou plus craintifs dans l’expression publique de leur opposition à l’immigration (p. 38). » Rôdent autour d’eux de véritables hyènes, les ligues de petite vertu subventionnées grassement par le racket organisé sur les  contribuables. Et garde aux « contrevenants » ! Dernièrement, une Londonienne, Emma West, excédée par l’immigration et qui l’exprima haut et fort dans un compartiment de transport public, a été arrêtée, accusée de trouble à l’ordre public et mise en détention préventive. « Le journal Metro puis un journaliste de la chaîne américaine C.N.N. ont lancé un appel à la délation sur Twitter (2) ». La police des transports a même appelé à la délation sur Internet pour connaître l’identité de cette terrible « délinquante » ! Sans cesse soumis à une propagande « anti-raciste » incessante, « les Européens ont commencé à se sentir méprisables, petits, vilains et asexués (p. 151) ». Citant Jules Monnerot et Renaud Camus, Caldwell voit à son tour l’antiracisme comme « le communisme du XXIe siècle » et considère que « le multiculturalisme est presque devenu une xénophobie envers soi-même (p. 154) », de l’ethno-masochisme ! Regrettons cependant que l’auteur juge le Front national de Jean-Marie Le Pen comme un parti « fasciste », doctrine disparue depuis 1945…

 

La mésaventure d’Emma West n’est pas surprenante, car « l’État-nation multiculturel est caractérisé par un monopole sur l’ordre moral (p. 413) ». Les racines de ce nouveau moralisme, de ce néo-puritanisme abject, proviennent du traumatisme de la dernière guerre mondiale et de l’antienne du « Plus jamais ça ! ». « Ces dernières années, l’Holocauste a été la pierre angulaire de l’ordre moral européen (p. 356) ». Il était alors inévitable que « le repentir post-Holocauste devient le modèle de régulation des affaires de toute minorité pouvant exiger de façon plausible d’un grave motif de contrariété (p. 357) ». Être victime est tendance, sauf quand celle-ci est blanche.

 

Dans cette perspective utopique d’harmonie interraciale, il paraît certain qu’aux yeux des tenants du politiquement correct et du multiculturalisme, « l’Islam serait tout simplement la dernière catégorie, après le sexe, les préférences sexuelles, l’âge et ainsi de suite, venue s’ajouter au langage très convenu qu’ont inventé les Américains pour évoquer leur problème racial au temps du mouvement des droits civiques (pp. 234 – 235) ». Pour Christopher Caldwell, c’est une grossière erreur, lui qui définit l’islam comme une « hyper-identité ».

 

Le défi musulman

 

Le choc entre l’islam et l’Occident est indéniable : le premier joue de son dynamisme démographique, de son nombre et de sa vigueur spirituel alors que le second se complaît dans la marchandise la plus indécente et la théocratie absconse des droits de l’homme, de la femme, du travelo et de l’inter… Les frictions sont inévitables entre la conception traditionnelle phallocratique musulmane et l’égalitarisme occidental moderne. Allemands et Scandinaves sont horrifiés par les « crimes d’honneur » contre des filles turques et kurdes « dévergondées » par le Système occidental. Les pratiques coutumières de l’excision, du mariage arrangé et de la polygamie choquent les belles âmes occidentales qui exigent leur interdiction pénale. Mais le musulman immigré n’est-il pas lui même outré par l’exposition de la nudité féminine sur les panneaux publicitaires ou de l’homoconjugalité (terme plus souhaitable que « mariage homosexuel ») ?

 

Caldwell rappelle que le Néerlandais Pim Fortuyn combattait l’islam au nom des valeurs multiculturalistes parce qu’il trouvait la religion de Mahomet trop monoculturelle et donc totalitaire. Des mouvements populistes européens (English Defence League, Vlaams Belang, Parti du Peuple danois, Parti de la Liberté de Geert Wilders, etc.) commettent l’erreur stratégique majeur de se rallier au désordre multiculturel ambiant et d’adopter un discours conservateur moderne (défense de l’égalité homme – femme, des gays, etc.) afin d’être bien vus de la mafia médiatique. Par cet alignement à la doxa dominante, ils deviennent les supplétifs d’un système pourri qui reste l’ennemi prioritaire à abattre.

 

Pour l’auteur d’Une révolution sous nos yeux, l’islam est dorénavant la première religion pratiquée en Europe qui connaît l’immense désaffection des églises. L’homme étant aussi un être en quête de sacré, il est logique que la foi mahométane remplit un vide résultant de décennies de politique laïciste démente. Et ce ne seront pas les tentatives désespérées de Benoît XVI pour réévangéliser le Vieux Continent qui éviteront cette incrustation exogène parce que Caldwell démontre – sans le vouloir – le caractère profondément moderniste du titulaire putatif du siège romain : l’ancien cardinal Ratzinger est depuis longtemps un rallié à la Modernité !

 

Dans ce paysage européen de l’Ouest en jachère spirituelle, « les musulmans se distinguent par leur refus de se soumettre à ce désarmement spirituel. Ils se détachent comme la seule source de résistance au multiculturalisme dans la sphère publique. Si l’ordre multiculturel devait s’écrouler, l’Islam serait le seul système de valeur à patienter en coulisse (p. 423) ». Doit-on par conséquent se résigner que notre avenir d’Européen soit de finir en dhimmi d’un quelconque califat universel ou bien en bouffeur de pop corn dans l’Amérique-monde ?

 

Puisque Caldwell souligne que « l’immigration, c’est l’américanisation (p. 446) », que « l’égalité des femmes constitu[e] un principe ferme et non négociable des sociétés européennes modernes (p. 317) » et que « vous pouvez être un Européen officiel (juridique) même si vous n’êtes pas un “ vrai ” Européen (culturel) (p. 408) », il est temps que, hors de l’impasse néo-conservatrice, le rebelle européen au Diktat multiculturel occidental promeuve une Alter-Europe fondée sur l’Orthodoxie traditionnelle ragaillardie, un archéo-catholicisme antétridentin redécouvert et des paganismes réactivés, une volonté de puissance restaurée et des identités fortes réenracinées. « L’adaptation des minorités non-européennes dépendra de la perception qu’auront de l’Europe les autochtones et les nouveaux arrivants – civilisation florissante ou civilisation décadente ? (p. 45) » Ni l’une ni l’autre; c’est la civilisation européenne qu’il faut dans l’urgence refonder !

 

Georges Feltin-Tracol

 

Notes

 

1 : Pour preuve supplémentaire, lire la chronique délirante d’Ariel Wizman, « Pourquoi les immigrés sont les meilleurs alliés du libéralisme », dans L’Express, 7 décembre 2011.

 

2 : Louise Couvelaire, dans M (le magazine du Monde), 10 décembre 2011. Pour soutenir au moins moralement Emma West, on peut lui envoyer une carte postale à :

 

Mrs Emma West

co HMP Bronzfield

Woodthorpe Road

Ashford

Middlesex TW15 3J2

England

 

• Christopher Caldwell, Une révolution sous nos yeux. Comment l’islam va transformer la France et l’Europe, préface de Michèle Tribalat, Éditions du Toucan (25, rue du général Foy, F – 75008 Paris), coll. « Enquête & Histoire », 2011, 539 p., 23 €.

 


 

Article printed from Europe Maxima: http://www.europemaxima.com

 

URL to article: http://www.europemaxima.com/?p=2342

 

Immixtion américaine en Russie

russia.jpg

Bernhard TOMASCHITZ:

Immixtion américaine en Russie

Après le vote pour la Douma, les Etats-Unis n’ont pas hésité à s’immiscer dans les affaires intérieures de la Russie

Les élections pour le parlement russe du 4 décembre ont suscité quelques turbulences politiques. Sous prétexte qu’il y aurait eu manipulations, les manifestations se multiplient à Moscou et à Saint Pétersbourg. L’Occident en profite pour tirer à boulets rouges sur les dirigeants russes. Pour ce motif, le premier Ministre russe Vladimir Poutine a annoncé que des mesures de rigueur seront prises contre ceux qui se mêlent de la politique russe “sur ordre de l’étranger”. “Nous sommes obligés de protéger notre souveraineté et nous nous sentons contraints d’y réfléchir”, a souligné Poutine, tout en reprochant à la ministre américaine des affaires étrangères Hillary Rodham Clinton d’avoir donné le signal pour que se déchaîne la vague de protestations et de manifestations. Ensuite, Poutine a ajouté, sur un ton très critique, “le travail actif a commencé avec le soutien du ministère américain des affaires étrangères”.

Tandis que bon nombre de commentateurs, dans les médias occidentaux inféodés au système, déclaraient que le premier ministre russe souffrait de paranoïa, nous pouvons tout de même objectivement constater que les reproches formulés par Poutine ne sont pas dénués de fondements. En effet, qui a joué un rôle-clef dans cette effervescence protestataire, tant avant qu’après le scrutin? Indubitablement, l’association “Golos” (= “La Voix”), soi-disant indépendante et posée comme “organisation non gouvernementale”. Ses “experts” (auto-proclamés) ont bénéficié de vastes colonnes dans les journaux occidentaux quelques jours avant les élections pour décrire le système semi-autoritaire de Poutine comme une abominable tyrannie obscurantiste. “Golos” a agité les esprits en Occident sous prétexte que des manifestants avaient été arrêtés.

En fait, “Golos” est tout autre chose qu’une ONG indépendante. Ainsi, on peut lire sur le site internet de l’“International Republican Institute”, une fondation du Parti Républicain: “Golos est une association qui a été fondée en 2000 pour protéger les droits des électeurs; elle reçoit des subsides des autorités américaines responsables du développement à l’échelle mondiale (USAID), du groupe ‘National Endowment for Democracy’ et de l’ambassade britannique. Le ‘National Democratic Institute’ offre la formation des cadres et l’International Republican Institute fournit une aide en offrant des vidéos d’information pour les électeurs”. Les autorités américaines de l’USAID sont directement inféodées au ministère américain des affaires étrangères et ont toujours joué un rôle prépondérant quand il s’est agi de s’immiscer dans les affaires intérieures de pays tiers. En règle générale, les subsides transitent par la NED (“National Endowment for Democracy”), considérée comme le bras civil de la CIA. La NED “sponsorise” soit directement des projets de “soutien à la démocratie” à l’étranger soit verse l’argent aux fondations des partis démocrate et républicain qui, à leur tour, apportent un soutien financier à des instances proches d’eux, émanant de la “société civile” du pays étranger placé dans le collimateur.

Le processus appliqué à la Russie pouvait se lire dans le “plan stratégique” de l’USAID pour les années de 2007 à 2012. Dans le texte de ce plan, les auteurs reprochent au Kremlin de court-circuiter les projets américains en Europe orientale, dans les Balkans et dans le Caucase, c’est-à-dire dans des régions qui doivent à terme être “ancrées” dans les structures euro-atlantistes. Washington s’insruge également contre la politique de Poutine au cours de ses deux premiers mandats: il a en effet visé et fait progresser l’indépendance économique et énergétique de son pays. Pour torpiller cette politique étrangère, économique et énergétique, il convient donc d’importer en Russie “les valeurs de la démocratie, des droits de l’homme et de la liberté”, tout en tentant d’imbriquer la vaste Fédération de Russie dans “l’économie mondiale”, c’est-à-dire dans l’ordre économique et dans le projet de globalisation ébauchés par la Maison Blanche et par Wall Street. 

En 2009, la NED a versé 75.234 dollars à “Golos” pour organiser des “audits officiels” et des campagnes de signatures. En 2007, la NED avait déjà versé 49.500 dollars à l’association russe. Le CIMA, ou “Center for International Media Assistance”, une branche de la NED, joue un rôle de premier plan dans tout appui aux forces politiques visant à instaurer quelque part dans le monde la “démocratie libérale” de type américain: depuis des années, ce centre apporte son soutien à des journalistes pro-américains, en les formant ou en leur offrant des programmes d’échange.

Le NDI (“National Democratic Institute”) démontre l’importance des fondations des partis américains dans l’immixtion constante de Washington dans les affaires intérieures russes. La NDI déclare officiellement qu’elle est active en Russie depuis le début des années 90, afin d’y “renforcer les institutions démocratiques”, en déployant quantité d’incitants pour qu’à terme il y ait “une plus grande participation des citoyens aux processus décisionnels” et pour que certaines organisations civiles et certains partis politiques soient renforcés en Russie grâce à “des échanges internationaux d’expériences acquises”. “Golos”, dans ce vaste complexe d’opérations stratégiques”, est un partenaire importants de la NDI: l’association subversive russe coopère effectivement avec la NDI depuis le jour même de sa fondation. Aujourd’hui, “Golos” est en mesure d’aller observer les élections dans 48 régions de la Fédération de Russie.

Mutatis mutandis, la situation observable aujourd’hui en Russie ressemble à celle que l’on pouvait constater en Ukraine lors de la “révolution orange”, il y a sept ans. En Ukraine aussi, on a évoqué des “fraudes électorales” pour mettre le feu aux poudres et pour déclencher la révolte. Et une fois de plus, on a vu se pointer à l’horizon le spéculateur boursier Georges Sörös. L’organisation que ce personnage soutient, le “Human Rights Watch”, vient d’entamer une campagne de presse, où elle se plaint que “Golos” est victime d’une “campagne de dénigrement” orchestrée par les autorités russes...

Bernhard TOMASCHITZ.

(article paru dans “zur Zeit”, Vienne, n°50/2011; http://www.zurzeit.at ).

 

jeudi, 29 décembre 2011

Wie westliche Mächte und Medien in Russland die nächste Revolution inszenieren

Weltkrieg? Wie westliche Mächte und Medien in Russland die nächste Revolution inszenieren

Russland und der Welt stehen gefährliche Zeiten bevor. Die schweren Umwälzungen, die nach dem sogenannten »Arabischen Frühling« funktionierende Länder wie Ägypten, Tunesien und Libyen inzwischen völlig destabilisiert haben, könnten jetzt bald auch Moskau ereilen. Die Massenproteste der letzten Wochen, vor allem in der Hauptstadt und in Sankt Petersburg, sind nach Meinung unabhängiger Beobachter schwerwiegende Beweise einer generalstabsmäßig geplanten Revolution, mit der man vor allem eins erreichen will: Den erstarkenden Wladimir Putin wegzukriegen, bevor er im März an die Macht kommt! Ernste Sorge: Man werde auch vor dessen Tötung nicht zurückschrecken. Denn es geht um die Weltherrschaft des 21. Jahrhunderts! Partei für die westlichen Mächte hat jetzt auch Michail Gorbatschow ergriffen: Er forderte gestern Putins Rücktritt.

Im direkten Visier des Westens stehen aktuell also nicht nur Syrien und Iran, sondern vor allem auch Russland. So sei es ebenso nicht ausgeschlossen, dass die USA und Großbritannien vor einem Anschlag unter Falscher Flagge nicht zurückschrecken werden, so USA- Journalist Webster Tarpley. Denn Russland ist zur Existenzfrage der anglo-amerikanischen Pläne geworden, die nun einmal vorsehen, Macht über die ganze Welt zu erlangen.

Mehr: http://kopp-online.com/hintergruende/deutschland/redaktion/weltkrieg-wie-westliche-maechte-und-medien-in-russland-die-naechste-revolution-inszenieren.html

L’Allemagne paiera !

 

 

29_gertraud funke_milchkuh.jpg

L’Allemagne paiera !

 

par Jacques GEORGES

 

On se croirait revenu en 1919 : l’Allemagne est coupable, la sale fourmi boche qui empêche de s’endetter en rond paiera !

 

Depuis qu’il y a une décennie l’Allemagne s’est imposé un Agenda 2010 à base d’efforts de compétitivité, de maîtrise de la dépense et des salaires, rien ne va plus. Confrontée au défi immense de la réunification, l’Allemagne a fait front avec responsabilité et sens du long terme, droite et gauche confondues. Cette attitude contraste avec celle de la quasi-totalité de ses voisins, cigales optimistes et légères trouvant leur bonheur grincheux qui dans l’inflation salariale, les 35 heures et la C.M.U., qui dans les profits faramineux et vite gagnés des activités de marché, qui dans l’immobilier à tout va, et tous dans la générosité à crédit avec l’immigrant et l’explosion joyeuse des salaires des footballeurs et présentateurs de télé. On en est d’ailleurs toujours là dans l’opinion française, puisque les politiciens irresponsables et incompétents des « Trente Piteuses » tiennent toujours le haut du pavé, préconisent la progression vers les 32 heures, et que les sondages attestent de records de popularité et d’amour envers politiciens et footballeurs dans le bon peuple qui regarde le 20 heures.

 

On comprend dans ces conditions la remontée des sentiments anti-boches : ces fourmis sans cœur ne prospèrent que sur notre dos, abusent de leur force injuste, voient conservateur, étroit et dogmatique, finissent par céder, mais toujours trop tard, bref sont responsables de ce qui nous arrive. Derrière ces critiques et ces insultes, on trouve les remugles anti-boches de notre Clémenceau national, la haine recuite des Bainville et maurrassiens de tout poil contre le « Boche », la nostalgie de Valmy, du Richelieu des traités de Westphalie ou de Louis XIV héros du Palatinat, bref tout un héritage de sentiments glorieux bidons qui portent tout leur poids de jalousie, de petitesse, de médiocrité et d’irréalisme pathétique. Seul contrepoids à ce sentiment d’exécration tourné vers la ligne bleue des Vosges, la sortie de la Grande-Bretagne de l’Accord européen à 26 laisse pantois et amène nos souverainistes à se gratter la tête : et si sortir de l’Europe signifiait se mettre totalement dans la main des marchés exécrés ? Ces Anglais sont utiles : ils nous montrent qu’il y a pire que les Boches !

 

La manière chaotique et éminemment discutable dont le couple à la Dubout franco-allemand gère la crise depuis la replongée des derniers mois n’ajoute certes pas une page glorieuse au livre si merveilleux et tragique de l’histoire de l’Europe. Beaucoup dans le vaste monde s’inquiètent et commencent à se dire que la crise de l’euro et de l’Europe est décidément une chose trop sérieuse pour être laissée entre les seules mains des Européens. La subvention permanente sur fonds publics faite aux banques au motif qu’elles sont le sang de notre économie, la reddition volontaire au F.M.I. et donc aux Américains pourtant plus atteints que nous, l’improvisation pagailleuse de sommets historiques devenus trimestriels, le constat que la crise approche inexorablement sans que nos Diafoirus de l’économie et de la politique y puissent mais, la multiplication des experts et petits maîtres plus ou moins démagos nés de la crise comme orties sur le fumier, tout ceci est préoccupant.

 

Pour nous, patriotes européens, plus les choses se compliquent, plus elles se simplifient. Dans la tempête qui vient, quelques idées fortes et élémentaires doivent s’imposer : priorité à tout ce qui va dans le sens des identités naturelles, régionales, nationales et européenne, et par-dessus tout priorité au Destin européen. Osons un gros mot pour les crétins que ce mot effarouche : la Fédération continentale européenne est notre ligne de mire pour les cent ans à venir. Caton, Drieu, Jünger, priez pour nous !

 

Jacques Georges

 


 

Article printed from Europe Maxima: http://www.europemaxima.com

 

URL to article: http://www.europemaxima.com/?p=2344

 

mercredi, 28 décembre 2011

Václav Havel: The “Inner Enemy”

Václav Havel: The “Inner Enemy”

By Kerry Bolton

 Ex: http://www.counter-currents.com/

An inner enemy is more dangerous than an outer one, because while he seems to belong, he is actually a kind of alien. An inner enemy is dangerous in two respects: first because of his own activity, and second, because of his usefulness to the outer enemy. . . . After the War, the American occupation of Europe and the despoliation of Europe were made possible only by the Michel-stratum,[1] which hired itself out to the enemy to establish vassal-governments, churchill-regimes, in every province of Europe. During this period between the Second and Third World Wars,[2] the Michel as an American agent is more dangerous than he would otherwise be himself. The reason for this is the advance of History since the 19th century has rendered his whole world-outlook completely useless to him, even for purposes of sabotage, while to the Americans it is still useful as a means of control over Europe. Thus the Culture-diseases of Culture-retardation remains in the body of Europe only because of the American occupation.Francis Parker Yockey[3]

havel3.jpgVáclav Havel, the last president of Czechoslovakia and first president of the Czech Republic, died on December 18, 2011. His eulogies reveal him to be an excellent specimen for the study of the role of the “inner enemy” in the process of cultural pathology. In Havel we have a particularly devolved example of the Michel element that worked for the spiritual, political, cultural, and economic subjugation of the Western Cultural organism by the forces of cultural parasitism, distortion, and retardation. Indeed, the cultural pathologist can place him in the genus michelus along with such contemporaries such as Boris Yeltsin, Lech Wałęsa, and Mikhail Gorbachev.

The most apparent symptoms in identifying an apparently normal human as a member of genus michelus are the accolades received from media pundits and political and plutocratic luminaries, and in particular those directly from the organs of the Culture-Distorter. In this instance, like the much-lauded Gorbachev,[4] Havel receives his acclaim for the role he played in dismantling the Soviet bloc.

That the collapse of the Warsaw Pact was greeted with such acclaim and is remembered as “inspirational” by the Right, from nazis to conservatives, is an indication of the banality of much of the “Right,” which remains oblivious to the Soviet bloc having been the only major force of conservatism in the world, and to the USA being the global harbinger of decay.[5] This American role was recognized not only by Yockey, but also — approvingly — by Trotskyites, many of whom became avid Cold Warriors,[6] and by necon strategists such as Ralph Peters.[7]

Given that the Warsaw Pact was the only geopolitical entity that constrained American global hegemony, Havel’s contribution to its demise is lauded as a great victory for “democracy” and “freedom.” However, those are words that are used by many regimes and systems, no matter what their character, and have been euphemisms since the time of Woodrow Wilson’s Fourteen Points for post-war international reconstruction in the image desired by the US for the subordination of all nations, peoples, and cultures to everything that is conjured by the word “America.”

Havel is said to have been an idealistic opponent of the consumerist ethic, yet what is one to think of an individual who allowed himself to be mentored and patronized by the likes of George Soros and flitted about among the luminaries of plutocracy? Solzhenitsyn did not allow himself to be used in such a manner by the forces of Culture Distortion nor did he succumb to their blandishments. Solzhenitsyn was a mystic, Havel, as will be shown, a seedy Zionist purveyor of cultural syphilis.

Havel’s critique of “The West,” like Solzhenitsyn’s was perceptive, stating: “There is no need at all for different people, religions and cultures to adapt or conform to one another. . . . I think we help one another best if we make no pretenses, remain ourselves, and simply respect and honor one another, just as we are.”[8]

Here was a cultural icon who obviously knew the processes of leveling that were taking place in the world, but who was nonetheless willing to let himself be used in their service, for the sake of nebulous sales pitches like “democracy” and “human rights.” Like the much lauded Gorbachev, Havel became an icon of manufactured dissent in the interests of international capital that pulls the strings behind the façade of “democracy,” and, as will be seen, of the Culture Distorters who had long been fearful of the directions being taken by the descendants of the Black Hundreds, and worried that the Warsaw Pact constituted a new Axis of the type predicted by Yockey in his final essay “The World In Flames.”

The “velvet revolutions” that were instigated, funded, and planned by the Soros network, National Endowment for Democracy, Freedom House, and dozens of others, were a prelude to the same types of revolt that continue to be inflicted upon the former Soviet bloc states and that are taking place under the mantle of the “Arab Spring.”[9]

“Rootless Cosmopolitanism”

The collapse of Czechoslovakia as part of the implosion of the Soviet bloc provides a special example of the role of Culture-Distortion. Other than Culture pathologists such as Yockey, the Soviet leadership following the ouster of Trotsky and the Old Bolsheviks, were fully aware of the destructive nature of cultural nihilism. Ironically, the Soviet bloc stood as the only significant bulwark against what Hitler had termed “cultural bolshevism.” While Yockey’s theory of Culture Pathology[10] shows that the presence of a foreign body in the cultural organism spontaneously creates the phenomena of Culture-distortion, Culture-retardation, and Culture-parasitism; these symptoms can also be consciously pressed into the service of politics.

Kulturkampf is a major part of the world offensives of both plutocracy and Zionism to the extent that at the very beginnings of the Cold War the CIA recruited sundry disaffected anti-Soviet socialists, and in particular Trotskyites, into the Congress for Cultural Freedom to try and subvert the Soviet bloc and impose “American” values over the world in the name of “freedom of artistic expression.” Their favored mediums were Abstract Expressionism and jazz.[11] The Congress was established under the figurehead of Professor Sidney Hook, a “lifelong Menshevik” who had organized a committee for the defense of Leon Trotsky at the time of the Moscow Trials, and a recipient of the Congressional Medal of Freedom from Ronald Reagan. Other Congress luminaries included Bertrand Russell, the pacifist CND guru who had sought a pre-emptive nuclear strike against the USSR in the interests of “peace.” The Congress promoted the type of art that had been exposed as subversive “rootless cosmopolitanism” by Stalin, et al., who correctly perceived it as part of a political offensive.[12]

The program of Kulturkampf against the Soviet bloc can be traced to Trotsky, always a very handy tool for international finance. In 1938 André Breton,[13] Mexican communist muralist Diego Rivera,[14] and Leon Trotsky issued a manifesto entitled: Towards a Free Revolutionary Art.[15] The manifesto was published in the Autumn 1938 issue of The Partisan Review, a magazine that was of significance in the Cold War-Trotskyite offensive. Trotsky, according to Breton, had actually written the Manifesto, which states:

Insofar as it originates with an individual, insofar as it brings into play subjective talents to create something which brings about an objective enriching of culture, any philosophical, sociological, scientific, or artistic discovery seems to be the fruit of a precious chance, that is to say, the manifestation, more or less spontaneous, of necessity. . . . Specifically, we cannot remain indifferent to the intellectual conditions under which creative activity takes place, nor should we fail to pay all respect to those particular laws that govern intellectual creation.

In the contemporary world we must recognize the ever more widespread destruction of those conditions under which intellectual creation is possible. . . . The regime of Hitler, now that it has rid Germany of all those artists whose work expressed the slightest sympathy for liberty, however superficial, has reduced those who still consent to take up pen or brush to the status of domestic servants of the regime. . . . If reports may be believed, it is the same in the Soviet Union. . . . True art, which is not content to play variations on ready-made models but rather insists on expressing the inner needs of man and of mankind in its time — true art is unable not to be revolutionary, not to aspire to a complete and radical reconstruction of society. . . . We recognize that only the social revolution can sweep clean the path for a new culture. If, however, we reject all solidarity with the bureaucracy now in control of the Soviet Union it is precisely because, in our eyes, it represents, not communism, but its most treacherous and dangerous enemy. . . .

The criterion for art given here by Trotsky seems more of the nature of the anarchism of Breton and of the future New Left than of the collectivist nature of Marxism. F. Chernov, whose important statement on the arts from a Stalinist viewpoint will be considered below, was to refer to such art as “nihilism.”

Given that the manifesto was published in The Partisan Review, which was later to receive subsidies from the CIA and the Tax-exempt Foundations as party to what became the “Cultural Cold War,” this Trotskyist art manifesto served as the basis for the art policy that was adopted after World War II by the CIA and the globalists as part of the Cold War offensive.[16] Trotsky wrote Towards a Free Revolutionary Art as a call for mobilization by artists throughout the world, to oppose on the cultural front Fascism and Stalinism, which to many Leftists and communists were synonymous:

We know very well that thousands on thousands of isolated thinkers and artists are today scattered throughout the world, their voices drowned out by the loud choruses of well-disciplined liars. Hundreds of small local magazines are trying to gather youthful forces about them, seeking new paths and not subsidies. Every progressive tendency in art is destroyed by fascism as “degenerate.” Every free creation is called “fascist” by the Stalinists. Independent revolutionary art must now gather its forces for the struggle against reactionary persecution.[17]

While the Congress for Cultural Freedom was established in 1949, and on a more formal basis in 1951, its origins go back to the defender of Trotsky, Professor Sidney Hook, who had established an embryonic movement of similar name in 1938, and who served as the figurehead for the Congress knowingly under the auspices of the CIA.

The Stalinists responded with a vigorous call not only to “Soviet patriotism” but also to the cultural legacy of the Russian people. If one were looking for a Marxist articulation of cultural theory, it would more likely be found coming from the official and semi-official agencies of the USA, rather than those of the Soviet bloc.

In 1949 a major article in the organ of the Central Committee of the Bolshevik party, Chernov condemned the infiltration of cosmopolitanism in Soviet arts, sciences, and history.[18] The article stands as a counter-manifesto not only to the Trotskyites and the “cultural cold war” of the time, but also as an enduring repudiation of modernism and rootless cosmopolitanism as it continues to manifest in the present age of chaos.

Chernov began by referring to articles appearing in Pravda and Kultura i Zhizn (“Culture and Life”), which “unmasked an unpatriotic group of theatre critics, of rootless cosmopolitans, who came out against Soviet patriotism, against the great cultural achievements of the Russian people and of other peoples in our country.” Chernov described this coterie as “rootless cosmopolitans” and “propagandists for decadent bourgeois culture,” while they were “defaming “Soviet culture.” The culture of the “West” is described as “emaciated and decayed,” a description with which any Spenglerian would concur. The “Soviet culture” referred to by Chernov is the classic “great culture of the Russian people” and should not be mistaken as a reference to the “communist culture” that one would have in mind when thinking of the mass and crass propaganda spectacles of Maoist China. By 1949 the highest Soviet authority, whose views Chernov must have been conveying, had perceived that the USSR was the target of broad-ranging cultural subversion: “Harmful and corrupting petty ideas of bourgeois cosmopolitanism were also carried over into the realms of Soviet literature, Soviet film, graphic arts, in the area of philosophy, history, economic and juridical law and so forth.”[19]

It seems that these “rootless cosmopolitans” were stupid enough to believe that they were in a State that was still pursuing Marxian ideas, despite the clear message that had been given during the Moscow Trials a decade previously,[20] along with the virtual extinction of the “Old Bolsheviks.” One, comrade Subotsky had, as presumably a good Marxist, sought to undermine the concept of nationality, and repudiate the idea of the heroic ethos that had become an essential ingredient of Soviet life and doctrine, especially since the “Great Patriotic War.” Hence Chernov wrote damningly of this “rootless cosmopolitan” whose views on culture seem suspiciously Trotskyite:

The rootless-cosmopolitan Subotsky tried with all his might to exterminate all nationality from Soviet literature. Foaming at the mouth this cosmopolitan propagandist hurls epithets towards those Soviet writers, who want “on the outside, in language, in details of character a positive hero to express his belonging to this or that nationality.”[21]

Chernov continued: “These cosmopolitan goals of Subotsky are directed against Soviet patriotism and against Party policy, which always has attached great significance to the national qualities and national traditions of peoples.” Chernov then described an “antipatriotic group” promoting “national nihilism” in theater criticism, this concept being, “a manifestation of the antipatriotic ideology of bourgeois cosmopolitanism, disrespect for the national pride and the national dignity of peoples.”

Chernov identified “rootless cosmopolitism” as part of a specific foreign agenda, which was certainly formalized that year – 1949 – with the founding of the Congress for Cultural Freedom:

In the calculation of our foreign enemies they should divert Soviet literature and culture and Soviet science from the service of the Socialist cause. They try to infect Soviet literature, science, and art with all kinds of putrid influences, to weaken in such a way these powerful linchpins of the political training of the people, the education of the Soviet people in the spirit of active service to the socialist fatherland, to communist construction.

Chernov warned with prescience of what is today called the “cultural cold war” as a part of the “ideological weapon” of encirclement:

The most poisonous ideological weapon of the hostile capitalist encirclement is bourgeois cosmopolitanism. Consisting in part of cringing before foreign things and servility before bourgeois culture, rootless-cosmopolitanism produces special dangers, because cosmopolitanism is the ideological banner of militant international reaction, the ideal weapon in its hands for the struggle against socialism and democracy. Therefore the struggle with the ideology of cosmopolitanism, its total and definitive unmasking and overcoming acquires in the present time particular acuity and urgency.

At the foundation of this “rootless cosmopolitanism” is the spirit of money. the worship of Mammon, and Chernov’s description is again prescient of the present nature of international capital:

The bourgeoisie preaches the principle that money does not have a homeland, and that, wherever one can “make money,” wherever one may “have a profitable business,” there is his homeland. Here is the villainy that bourgeois cosmopolitanism is called on to conceal, to disguise, “to ennoble” the antipatriotic ideology of the rootless bourgeois-businessman, the huckster and the traveling salesman.

Chernov cogently stated precisely the agenda of the “cultural cold warriors” that was about to emerge from the USA: “In the era of imperialism the ideology of cosmopolitanism is a weapon in the struggle of imperialist plunderers seeking world domination.” And so it remains, as will be outlined in the concluding paragraphs.

If any doubt remained as to what Chernov meant by nationalism as the bulwark against international capital, and that Stalinism was an explicit repudiation of Marxist notions of internationalism despite Chernov’s necessary ideological allusions to Lenin, Chernov makes it plain that it is precisely the type of nationalism condemned by Marx that was nonetheless the foundation of the Soviet State of the Great Russians:

National sovereignty, the struggle of oppressed nations for their liberation, the patriotic feelings of freedom-loving peoples, and above all the mighty patriotism of the Soviet people — these still serve as a serious obstacle for predatory imperialistic aspirations, they prevent the imperialists’ accomplishing their plans of establishing world-wide domination. Seeking to crush the peoples’ will for resistance, the imperialist bourgeoisie and their agents in the camp of Right-wing socialists preach that national sovereignty purportedly became obsolete and a thing past its time, they proclaim the fiction of the very notion of nation and state independence.[22]

Chernov showed that the USSR and the Soviet bloc considered their own historic mission not as the center for “world revolution,” the ideal of the Trotskyites, but as the bulwark against one-worldism, and condemned the USA as the homeland of internationalism:

In the guise of cosmopolitan phraseology, in false slogans about the struggle against “nationalist selfishness,” hides the brutal face of the inciters of a new war, trying to bring about the fantastic notion of American rule over the world. From the imperialist circles of the USA today issues propaganda of “world citizenship” and “universal government.”

The Role of Culture Distortion in Czechoslovakia: Charter 77, Plastic People of the Universe

This globalist Kulturkampf was directed with effect against the Soviet bloc. As can be seen from the seminal article by Chernov, the Soviet authorities knew precisely how this was being undertaken, and they remained conscious of it until overwhelmed by these forces. While the intelligentsia, the media, and their wire-pullers voiced their indignation and derision against the philistinism of the Soviet authorities, and their regressive character, and, like the Fascist aesthetic, the supposed “banality” of “socialist realism,” an examination of both the American sponsorship of cultural nihilism and the Soviet understanding of this, shows that the Soviets were correct in their suspicions.

The Czechoslovak Soviet authorities were regarded as ridiculous throwbacks for their actually rather lame efforts to keep their youth from the supposedly wonderful freedoms of their counterparts in the West. The Western liberal conception of art – which is the same as that formulated by Trotsky in his 1938 manifesto – is supposedly apolitical, harmless, a matter of individual taste and choice and other inanities typical of liberalism. However, leading strategists of American global hegemony to the present day are open in their lauding of the USA as both the leading revolutionary[23] state and the role of Culture-distortion in making a nation succumb to the blandishments of what Yockey termed the “ethical syphilis of Hollywood.”[24]

This globalist Kulturkampf in its present-day form has been described by neocon military strategist Ralph Peters, who worked at the Office of the Deputy Chief of Staff for Intelligence, and elsewhere, stating that, “We are entering a new American century, in which we will become still wealthier, culturally more lethal, and increasingly powerful.” Peters outlined a strategy for subverting nations and peoples reticent about entering the “new American century,” by way of Hollywood, pop icons, and the dazzle of technology,[25] imposing a type of soft servitude over the world of the type described in Huxley’s Brave New World.[26] As Peters and Huxley have perceived, youth in particular are unable to resist the temptation of the “soft” option, of ego-driven nihilism and what amounts s to “freedom” from responsibility, in comparison to the spartan regimentation of the Soviet bloc.

The “rootless cosmopolitanism” or Kulturkampf directed against Czechoslovakia centered around “pop” music. The Charter 77 manifesto was drafted and a movement formed after the imprisonment of fans of the rock band, “Plastic People of the Universe.” It is significant that this was catalyst for what became the “velvet revolution.”

The rot that was eating away within the Warsaw Pact was organizationally focused on groups such as Charter 77 in Czechoslovakia and Solidarity in Poland. These groups were instigated and funded by the network of currency speculator George Soros and an array of subversive, largely US-based and Government connected think tanks. When Charter 77 was co-founded by Havel in 1977, its manifesto was published by the Western media by pre-arrangement, in the Frankfurter Allgemeine Zeitung, Corriere della Sera, The Times of London, and Le Monde.[27]

Just how significant this Kulturkampf in the service of globalization is, and not merely as a matter of “free expression,” and individualistic “personal choice” or “taste,” etc., can be seen in the role the band Plastic People of the Universe (PPU) played in serving as a catalyst for the “velvet revolution.” The band is acknowledged as musically “unremarkable” yet its backers ensured that it became politically remarkable. Their origins go back to the Zionist-orchestrated revolt in Czechoslovakia in 1968.[28] The band obtained the assistance of Canadian music teacher Paul Wilson, then resident in Czechoslovakia. They became the “fathers of the Czech musical underground.”[29]

One commentator states that “an entire community of Czech dissidents sprung up around the band.” According to bassist and founding member Milan Hlavsa: “The Plastic People emerged just as dozens and hundreds of other bands — we just loved rock’n’roll and wanted to be famous. We were too young to have a clear artistic ambition. All we did was pure intuition: no political notions or ambitions at all.”[30]

Despite the expressions of naiveté by Hlavsa it was precisely the type of youthful nihilism that the CIA and plutocrats had been promoting in the West in the form of the “New Left” as a means of manipulating pseudo-dissent. It followed the formulae that had been prescribed by the Congress for Cultural Freedom, and which is still utilized.

Although the band’s professional license was revoked by the Government in 1970 they hedged around the regulations, and their music was released in the West. Lyrics for the “non-political” PPU were written by “Czech dissident poet Egon Bondy.”[31] What emerged around PPU was a so-called “Second Culture” or “Other Culture” which played at Music Festivals. There were arrests, but apart from a few, most were released due to “international protests.” Canadian Paul Wilson was expelled. The official indictment accused the bands of “extreme vulgarity with an anti-socialist and an anti-social impact, most of them extolling nihilism, decadence, and clericalism.”[32]

It was in support of this cultural nihilism that Charter 77 emerged as a movement, with Havel as the figurehead, Havel stating that PPU were defending “life’s intrinsic desire to express itself freely, in its own authentic and sovereign way.”[33] Havel began selecting lyrics for PPU. This supposedly “non-political,” innocent, artistic free expression has since been described by The New York Times as being “wild, angry, and incendiary,” and “darkly subversive.” The NY Times enthused that PPU “helped change the future direction of a nation,” stating:

Václav Havel, the music-loving former Czech president and dissident who championed the band’s cause when several members were imprisoned in 1976 for disturbing the peace, credits it with inspiring Charter 77, the manifesto demanding human rights that laid the groundwork for the 1989 revolution. “The case against a group of young people who simply wanted to live in their own way,” he recalled, “was an attack by the totalitarian system on life itself, on the very essence of human freedom.”[34]

It was, stated Bilefsky, “the ultimate rock ’n’ roll rebellion.”[35]

Paul Wilson reminisced that it was through music that the puerile ideals of manipulated Western youth were introduced to their Czechoslovak counterparts:

One of the things that was very marked in the 1960s was that although intellectuals found it very hard to get a hold of books it was very easy for kids to be right on top of things because records were brought in and the music was broadcast over Voice of America and other radio stations. So, there was a very current music scene here, with a lot of knock-off bands and a lot of fans of different groups just the way you’d find them in the West. The other thing, too, is that the Prague music scene, very early, attracted the attention of the western press, because for them the existence of rock bands in a communist country was a sign of change.[36]

Note that the Voice of America and other US agencies were promoting this movement.

Charter 77 & Soros

It was against this background that the Charter 77 Foundation was established in Stockholm. Soros relates that he had funded this since 1981. The movement “sprung into operation inside Czechoslovakia armed like Pallas Athena,” in 1989. Soros hastened to the country, and with Charter founder F. Janouch, set up committees in Prague, Brno, and Bratislava, and “I put $1 million at their disposal.” He then began paying the staffs of the Civic Forum party and the newspaper Lidove Noviny by currency speculation. Soros states that together with Prince Kari Schwarzenberg, a supporter of the Charter 77 Foundation, and acting President Marian Calfa, “we all agreed that it was imperative to have Vaclav Havel elected president by the current rubber-stamp parliament.”[37]

Havel, like Gorbachev, was duly recognized for services rendered. An exhibition in his honor was established at Columbia University in 2006, with support from luminaries such as Soros, George H. W. Bush, Bill Clinton, [38] Richard Holbrooke, et al.[39] Havel served on the Board of Directors of Soros’ Drug Policy Alliance, designed to liberalize laws on narcotics, which might be viewed as part of the Soros agenda for undermining the stability of societies that are targeted for globalization, as part of a “liberal” and “progressive” agenda. One is here again reminded of the use of a narcotic, “Soma,” to keep the citizens docile in Huxley’s Brave New World; another cause that can moreover be portrayed as “radical” and “anti-Establishment,” while serving the “Establishment.” Among members on the “US Honorary Board” are such “progressives” and “humanitarians” as Former Secretary of State George P. Schultz, and former Reserve Bank Chairman Paul Volcker. The “International Honorary Board” includes, apart from Havel, Richard Branson, Sting, and Ruth Dreifuss.[40]

Havel became a member of the globalist elite, in attendance at their international conclaves for reshaping the post-Soviet world. One of these is the Club of Madrid,[41] one of many globalist think tanks that are designed to arrive at consensus on global governance among the self-chosen rulers. The Club of Madrid is a grant-making foundation set up in 2004 to raise funds for causes that promote the plutocratic version of “democracy.”[42] As one would expect, the omnipresent Soros is among the Club’s “President’s Circle of Donors.”[43] Havel was also an “Honorary Chair” of Freedom Now, a globalist organization with a cross-over of membership with the US globalist think tank, the Council on Foreign Relations.[44]

National Endowment for Democracy

Of particular interest is Havel’s association with the Congressionally-funded National Endowment for Democracy (NED), established in 1983 by Act of Congress. Havel is esteemed by NED, an organization intended to take over the role of the CIA in sponsoring “regime change.” NED was conceived by veteran Trotskyites whose hatred of the USSR turned many — including Trotsky’s widow Sedova — into rabid Cold Warriors, and from there into the present clique of neocons. NED was the brainchild of Tom Kahn, International Affairs Director of the AFL-CIO. He was a veteran of the Shachtmanite faction of American Trotskyism, which pursued an avidly anti-Soviet line. He had joined the Young Socialist League, the youth wing of Max Shachtman’s Independent Socialist League,[45] and the Young People’s Socialist League, which he continued to support until his death in 1992. Kahn was impressed by the Shachtmanite opposition to the USSR as the primary obstacle to world socialism.[46] At the outset of the Cold War Max Shachtman set his course, declaring: “In spite of all the differences that still exist among them, the capitalist world under American imperialist leadership and drive is developing an increasingly solid front against Russian imperialism.”[47]

In 2004 Havel received the American Friends of the Czech Republic (AFCR) “Civil Society Vision Award,” and was on the occasion eulogized by NED’s founding President, veteran Social Democrat Carl Gershman. AFCR appears close to globalism. Its Officers include former US Government functionaries such as Thomas Dine, of Radio Free Europe. The Treasurer and co-Director, Hana Callaghan, is a former advisor to Goldman Sachs.[48] Zbigniew Brzezinski, the rabidly anti-Soviet and Russophobic former US National Security, presently with the Center for Strategic and International Studies, is an AFCR “adviser,” as is fellow Russophobe, former US Secretary of State Henry Kissinger. Another is Michal Novack of the neocon American Enterprise Institute.[49] Havel is listed as a sponsor of AFCR, along with George W Bush; former US Secretary of State Madeleine K. Albright; James D. Wolfensohn, of the World Bank; Colin L. Powell, former U.S. Secretary of State. On the AFCR “Wall of Honor,” along with Havel are many corporates, including American International Group; Goldman, Sachs & Co.; Citigroup; J.P. Morgan Chase & Co.; David Rockefeller.[50]

In 2007 Havel received NED’s “Democracy Service Medal.” [51]

NED, like Soros, had been a major factor in the “velvet revolutions” throughout the Warsaw Pact states. This is termed by NED as “cross-border work” and had its origins “in a conference that was sponsored by the Polish-Czech-Slovak Solidarity Foundation in Wroclaw in early November of 1989.” According to Gershman:

That conference was the culmination of collaborative meetings and joint activities of Solidarity and the Workers’ Defense Committee in Poland and the Charter 77 dissidents in Czechoslovakia that began in October 1981, shortly before the declaration of Martial Law, and continued throughout the 1980s with gatherings on the “green border” of Poland and Czechoslovakia in the Karkonosze Mountains. The purpose of the Wroclaw conference was to support from the base of the new Polish democracy the dissident movement in Czechoslovakia in the hope that a similar breakthrough could be achieved there. Vaclav Havel was later to credit the conference and the cultural festival that accompanied it with helping to inspire the Velvet Revolution that occurred less than two weeks later.[52]

Gershman alludes to NED’s role in sponsoring the subversion that spread from Poland to Czechoslovakia:

It became clear to me from the many discussions I had with Polish activists in the aftermath of 1989 that they had a very firm and clearly thought through determination to support democracy in Poland’s immediate neighborhood and in the larger geopolitical sphere that once constituted the Soviet Bloc. This determination was partly based on moral considerations, since these activists had received support in their struggle from the NED, the AFL-CIO and others in the U.S. and Europe and felt an obligation to extend similar support to those still striving for democracy.[53]

Gershman states that this “cross border work” continues, and reaches today throughout the former Soviet Union in providing training.

The Zionist Factor

The offensive against the Soviet bloc was multi-faceted, and the fantasies of many “Rightists” to the contrary, the Soviet bloc was not only a bulwark against American hegemony, but also against the international ramifications of Zionism. The USSR became the principal enemy of American hegemonic interests with Stalin’s repudiation of the United National World Government and of the “Baruch Plan.” This repudiation was the catalyst of the Cold War, as noted by Yockey in his previously cited 1952 essay.

However, the message was clear to Zionism with the purging of Zionists and Jews in 1952, that the Soviet bloc, which had armed Israel at an early stage as part of a geopolitical plan for the Middle East, considered Zionism a primary enemy. The battle lines were drawn in Prague. Yockey regarded the trial of Jewish elements from the Communist party hierarchy on charges of “treason” as a symbolic gesture to World Jewry, stating that the event would have “gigantic repercussions” on the world. This was an “unmistakable turning point” as part of an historical process,[54] although I believe that it was part of a process that began as soon as Stalin assumed authority and eliminated the Trotskyites in 1928,[55] and Yockey does state in his 1952 essay that the purge was “neither the beginning nor the end.” Yockey stated that “henceforth, all must perforce reorient their policy in view of the undeniable reshaping of the world situation . . .”[56] Of course, most did not “reorient their policy,” and Hitlerites such as Arnold Leese, Colin Jordan, and Rockwell, and most old-line anti-Semites maintained the policy that “Communism is Jewish,” no matter what the “historical process,” and they claimed that the supposed Soviet opposition to Zionism was part of a Jewish hoax.[57] Nonetheless, history proceeds anyway . . . The Zionists themselves went frenetic from this point, while the Soviet bloc established Governmental departments to examine Zionism, and some of the best material on the subject came from the Soviet presses. Moscow became what Lendvai termed the “center and exporter of anti-Semitism.”[58]

Hence, in 1968 Zionists were a major factor in the first strike against the Soviet regime in Czechoslovakia. Zionists acknowledge this. The 1967 Arab-Israeli war “became the catalytic agent” for the disruption of the Czechoslovak regime. The regime had launched an anti-Zionist campaign during the war and was the first Soviet state after the USSR to sever diplomatic relations with Israel in 1967, and the first to send high-level military delegations to Egypt and Syria.[59] As with the revolt led by Havel, the liberal-infected intelligentsia were behind the effort to establish “socialism with a human face.” Letters and articles by disaffected elements protested against the regime’s anti-Zionist campaign, and these were read at the Czechoslovak Writers’ Congress of June 26–29, 1967. Ladislav Mnacko, the country’s most successful playwright, defiantly visited Israel, and condemned the Czechoslovak regime for its opposition to Zionism, with allusions to the 1952 purge.

A familiar theme emerged: supposedly “spontaneous” student protests, held on May Day, where youth carried Israeli flags and banners reading “Let Israel Live.” Students and faculty at Prague’s Charles University issued a petition calling for diplomatic relations with Israel to be resumed. This was followed by an appeal in the youth paper, Student, which announced the formation of a “Union of the Friends of Israel.” Student riots occurred in Warsaw, Poland, and the Communist party in Yugoslavia also condemned the anti- Zionist position of the Czechoslovaks.[60]

It seems difficult to imagine that all this sudden Zionist agitation arose “spontaneously,” any more than the “velvet revolutions” today occur “spontaneously” despite the same claims. TASS reported, “Israel and international Zionism had watched developments in Czechoslovakia closely since January 1968. . . . Israel as well as Zionist organizations in the United States and the West European counties have allocated huge sums to finance internal opposition in Czechoslovakia.”[61]

The pattern is the same as the actions of Soros, the NED, et al. in Poland, Czechoslovakia, and elsewhere. The attempt by Dubcek to install “socialism with a human face” was aborted by the Soviet military. The reconstructed regime was more avidly opposed to Zionism than ever. The Slovak Minister of the Interior, General Pepich, referred to “thirty-two foreign centers organizing subversive activities against Czechoslovakia,” including Zionist organizations operating from Austria.[62] Lendvai states that the Soviet invasion and its aftermath put an end to hopes by the Jews that the celebration of the Jewish millennium would be held in Prague. Few Jews were left, and only one rabbi.[63]

The subversion of Czechoslovakia had been long in the making. In 1951, shortly before the “treason trial,” William Oatis, Associated Press correspondent, was sentenced to 10 years imprisonment for espionage. In September 1968, Newsweek mentioned that he had had extremely wide connections in Czechoslovakia among Zionists. In 1957, a Secretary at the Israeli Embassy, Moshe Katz, was expelled from the country.[64] While Zionist apologists such as Lendvai insist that the pro-Zionist activism in Czechoslovakia that prompted the Russian invasion in 1968 was a spontaneous opposition to anti-Semitism, even he admits broadly to the allegations of the Soviet press and regime. Yuri Ivanov, in possibly one of the best books on World Zionism, writes:

A leading role in the Zionist activities was to be played by the inconspicuous “Main Documentary Centre” tucked away in Vienna. On the eve of the events in Czechoslovakia the Centre created a “daughter enterprise,” the Committee for Czechoslovak Refugees. It is significant that almost simultaneously a Centre for the Co-ordination of Fighters for the Freedom of Czechoslovakia was set up in Israel (which must have seemed a rather strange move, surely, to the ordinary Israeli, for whom the main thing in 1968 was the Israeli-Arab conflict).[65]

The Tel Aviv Zionist newspaper Maariv revealed the nature of the Centre’s activities in a routine report of October 6, 1968.

Yesterday the Co-ordination Centre sent a group of young Czech intellectuals resident in Israel to various European countries. The group’s task is to establish contact with Czechoslovak citizens outside the country. They are also to investigate the possibility of establishing contact with various groups inside Czechoslovakia. Part of the group is to go to Prague.

“The Co-ordination Centre in Israel,” the paper went on to say, “is becoming a world center of fighters for the freedom of Czechoslovakia. . . . Those who meet material difficulties and have insufficient means for activities in or outside Czechoslovakia are given material support . . . The Co-ordination Centre has prepared a program for organizing the publication of Literarni Listy, a paper which is the voice of democracy in Czechoslovakia. Contributions for this purpose may be sent to: Discount Bank, account No. 450055, Tel Aviv.”[66]

Zionist apologists do not explain the Soviet documentation on Zionism but broadly refer to Soviet contentions as being without merit and lacking credible evidence. The reader is invited to read the entire Ivanov book, which has been put online by Australian Nationalists.[67]

Havel Feted by Zionists

Hence, given the history of relations between Zionism and the Soviet bloc, and in particular Czechoslovakia, Havel readily endeared himself to the Zionists, as did Gorbachev.[68] As can be seen by comparing the modus operandi between the recent and present “velvet revolutions” in the Warsaw Pact states and the machinations of Zionism in Czechoslovakia in 1967–1968, there are many parallels. Eulogies quickly appeared for Havel throughout the world Zionist press.

Jewish World reported that the European Jewish Congress, “mourning the death” of Havel, issued a statement that, “Havel was known as a great friend of the Jews and did much to confront anti-Semitism and teach the lessons of the dark chapter of the Holocaust during his two terms in office.”

EJC President Dr. Moshe Kantor, who was a colleague of Havel’s on the European Council on Tolerance and Reconciliation, said that he would be sadly missed. “He was a figure for a new and modern Europe to emulate. President Havel lived through communism and led the Czech Republic to a new era helping move his countrymen through a troubled past to a more open, free and tolerant future. “President Havel was a true and steadfast friend of the Jewish people and will be missed by European Jewry.”[69]

Israeli President Shimon Peres described Havel’s death as “a loss for the entire world.” “Peres said that Havel was both his personal friend and a friend of Israel.”[70] The Jewish newspaper Forward relates the occasion that Havel attended the 1990 Salzburg Music Festival where he delivered a speech pointedly aimed at former UN Secretary General Kurt Waldheim (albeit without naming him) who was being pilloried for having fought with Germany during World War II, like most Austrians. As related by Forward, World Jewry found Havel’s moralizing humbuggery as the finest of sentiments, Havel ending with “confession liberates.” It is perhaps indicative of how low Havel would stoop to curry favor with those of wealth and power, and one might ask how much moral fortitude it takes to merely join the clamor of a global lynch party? Forward comments: “It was a quintessentially Havel-esque performance: deeply moral and slightly mischievous at the same time.”[71] Kirchick in the Forward article alludes to Czechoslovakia’s special role in opposing World Zionism, and Havel’s having pledged on New Year’s Day 1990 to re-establish diplomatic relations with Israel, which was done the following month. Kirchick continues:

In April of that year, Havel became the first leader of a free former Soviet bloc country to visit Israel. It was his second foreign trip as president of Czechoslovakia. . . . As president, Havel opposed the sale of weapons to regimes hostile to Israel, like Syria, a controversial move considering that communist-era Czechoslovakia (and Slovakia in particular) was a major exporter of arms to Soviet clients. Today, according to Israeli Ambassador Yaakov Levy, “the Czech Republic is considered by Israel to be its best friend in Europe and the European Union.”

In the early years of Czechoslovak independence, when many in the West worried about a resurgence of nationalism across the newly independent nations of the Eastern Bloc, Havel spoke out forcefully against anti-Semitism. Because of this, he became an enduring enemy of the nationalist right. In 1993, following the “Velvet Divorce” from Slovakia, a far-right party tried to block Havel’s election as president of the Czech Republic with a parliamentary filibuster, accusing Havel of being paid off in “shekels” by outside forces.

Havel continued to speak out for Israel and against anti-Semitism well after his retirement, in 2003. Last year, he co-founded the Friends of Israel Initiative, aimed at combating delegitimization of Israel in the realm of international institutions. Earlier this year, he criticized a Czech education ministry official revealed to have ties with far right organizations and Holocaust denial. When the man’s defenders said that his views should not have any bearing on his ability to hold a government job, Havel replied that he was “struck . . . that quasi-fascist or quasi-anti-Semitic or similar opinions should be expressed in one’s spare time, or during vacation, but not at the office. Yes, that’s it exactly: After all, a certain house painter also founded his party in a pub in Munich, not at the workplace.”

The above shows just how far Havel believed in “freedom.” Like all such “liberals” his liberality only extended to those who agree with liberal views. Havel was apparently happy to see a Government official purged from his job on the basis that he did not share Havel’s sycophantic attitude towards Zionism and plutocracy.

The author of the Forward eulogy, Kirchick, is a Fellow with the Foundation for Defense of Democracies, yet another neocon Cold War II think tank founded after 9/11 to help ensure that “the new American century” comes to fruition. Funded by the likes of the Bronfmans, its “leadership council” includes a scabrous crew of neocon identities such as former CIA director James Woolsey, Steve Forbes of Forbes Magazine, Bill Kristol of The Weekly Standard, Sen. Joseph Lieberman, et al.[72] Its advisers include such familiar names as Charles Krauthammer and Richard Perle.[73] A founding Chair was Jean Kirkpatrick, veteran post-Trot neocon.[74]

According to FDD “Freedom Scholar,” neocon strategist Michael Ledeen,[75] he can’t watch a video of Havel’s funeral without “tearing up.” One might wonder whether he has the same reaction to footage of Palestinian children being shot by Israeli soldiers, of wars of destruction meted out by the USA on the civilians of Serbia, Iraq, and Libya? Tellingly Ledeen brings us back to a major theme of this article, writing of Havel:

Did I mention that he loved music? Both rock and jazz, because he recognized their subversive power. He loved Frank Zappa, and made him the Czech “cultural ambassador.” When Bill Clinton visited Prague in the mid-nineties, Havel took him to a seedy nightclub, where the American president played sax with the locals (and his wife, Dagmar, visited the club on a walking tour of the city shortly after Havel’s death) . . . Havel loved to write “absurdist” plays and poems. He was a true heir to Kafka. Like Kafka, he had an uncanny grasp of the dynamics and resulting horrors of bureaucracy. And, like Kafka, he was a Zionist.[76]

Havel, as the pundits enthuse, was a lackey of international capital and globalization. By Ledeen’s own account, Havel was a seedy Zionist. The neo-Trotskyite-Zionist-plutocratic network has “unfinished business,” ensuring that there is no resurgence of a Europe of the spirit, but only an edifice founded on Mammon, a Europe subordinated to NATO, of which Havel was an enthusiast, and the continuation of the policy of surrounding Russia, until that land also succumbs to the same forces that shaped and cultivated Havel.

Notes

[1] For a definition of the Michel element see Yockey, Imperium (Sausalito, Ca.: The Noontide Press, 1969), pp. 405–406.

[2] Ironically, in seeing an inevitable world conflict between the USA and the Soviet bloc, might Yockey not have been underestimating the power of the Culture-distorter to cause the implosion of the Soviets?

[3] F. P. Yockey, The Enemy of Europe (Reedy, W.Va.: Liberty Bell Publications, 1981), “The Inner Enemy of Europe,” p. 48.

[4] K. R. Bolton, “Mikhail Gorbachev: Globalist Super-Star,” Foreign Policy Journal, April 3, 2011, http://www.foreignpolicyjournal.com/2011/04/03/mikhail-gorbachev-globalist-super-star/ [2]

[5] K. R. Bolton, “Origins of the Cold War and how Stalin Foiled a New World Order,” Foreign Policy Journal, May 31, 2010, http://www.foreignpolicyjournal.com/2010/05/31/origins-of-the-cold-war-how-stalin-foild-a-new-world-order/all/1 [3]

[6] K. R. Bolton, “America’s ‘World Revolution’: Neo-Trotskyist Foundations of U.S. Foreign Policy,” Foreign Policy Journal, May 3, 2010, http://www.foreignpolicyjournal.com/2010/05/03/americas-world-revolution-neo-trotskyist-foundations-of-u-s-foreign-policy/ [4]

[7] R. Peters, “Constant Conflict,” Parameters, Summer 1997, pp. 4–14. http://www.usamhi.army.mil/USAWC/Parameters/97summer/peters.htm [5]

[8] Philip K. Howard, “Vaclav Havel’s Critique of the West,” The Atlantic, December 20, 2011, http://www.theatlantic.com/international/archive/2011/12/vaclav-havels-critique-of-the-west/250277/ [6]

[9] K. R. Bolton, “Egypt and Tunisia: Plutocracy Won,” Foreign Policy Journal, June 28, 2011, http://www.foreignpolicyjournal.com/2011/06/28/egypt-and-tunisia-plutocracy-won/0/ [7]

[10] F. P. Yockey, Imperium, “Cultural Vitalism (B) Culture Pathology.”

[11] Frances Stonor Saunders, The Cultural Cold War: The CIA and the World of Arts and Letters (New York: The New Press, 1999).

Also see the CIA website: “Cultural Cold War: Origins of the Congress for Cultural Freedom, 1949-50”; https://www.cia.gov/library/center-for-the-study-of-intelligence/kent-csi/docs/v38i5a10p.htm#rft1 [8]

[12] F. Chernov, “Bourgeois Cosmopolitanism and its Reactionary Role,” Bolshevik: Theoretical and Political Magazine of the Central Committee of the All-Union Communist Party (Bolsheviks) ACP(B), Issue #5, March 15, 1949, pp. 30–41.

[13] Breton was the founding father of Surrealism. Joining the Communist Party in 1927, he was expelled in 1933 because of his association with Trotsky. Breton wrote of Surrealism in 1952: “It was in the black mirror of anarchism that surrealism first recognised itself.”

[14] In Mexico Trotsky lived with Diego Rivera and then with Diego’s wife, the artist Frida Kahlo, having reached Mexico in 1937, where he had his brain splattered by a Stalinist assassin in 1940.

[15] Leon Trotsky, André Breton, Diego Rivera, Towards a Free Revolutionary Art, July 25, 1938.

[16] The Cold War was precipitated by Stalin’s rejection of the United Nations as the basis for a world government. Stalin insisted that authority be vested in the Security Council with members’ power to veto, rather than the American proposal of authority being with the General Assembly where the Soviets would always be outvoted. Secondly, the Soviets perceived that the Baruch Plan for the “internationalization of atomic energy,” would mean US control. K. R. Bolton, “Origins of the Cold War: How Stalin Foiled a New World Order,” Foreign Policy Journal, May 31, 2010, http://www.foreignpolicyjournal.com/2010/05/31/origins-of-the-cold-war-how-stalin-foild-a-new-world-order/all/1 [3]

Yockey recognized the significance of this rejectionism by Stalin, writing of it in his 1952 essay “What is Behind the Hanging of the Eleven Jews in Prague?”

[17] Trotsky, Breton, Rivera, Towards a Free Revolutionary Art.

[18] Chernov, “Bourgeois Cosmopolitanism and its Reactionary Role.”

[19] Chernov, “Bourgeois Cosmopolitanism and its Reactionary Role.”

[20] K. R. Bolton, “The Moscow Trials in Historical Context,” Foreign Policy Journal, April 22, 2011, http://www.foreignpolicyjournal.com/2011/04/22/the-moscow-trials-in-historical-context/ [9]

[21] Bolton, “The Moscow Trials in Historical Context.”

[22] Chernov, “Bourgeois Cosmopolitanism and its Reactionary Role.”

[23] In a nihilistic sense, insofar as America does not represent any high Idea, but was founded as an anti-Traditional revolt against Europe and on the basis of the political and ideological excrescences of Europe at its most decadent.

[24] F. P. Yockey, “Program of the European Liberation Front,” London, 1949, Point 5.

[25] Ralph Peters, “Constant Conflict,” Parameters, Summer 1997, 4–14. http://www.usamhi.army.mil/USAWC/Parameters/97summer/peters.htm [5]

[26] K. R. Bolton, Revolution from Above: Manufacturing “Dissent” in the New World Order (London: Arktos, 2011), pp. 48–54.

[27] “Charter 77 After 30 Years,” The National Security Archive, The George Washington University, http://www.gwu.edu/~nsarchiv/NSAEBB/NSAEBB213/index.htm

[28] http://www.progarchives.com/artist.asp?id=2800

[29] http://www.progarchives.com/artist.asp?id=2800

[30] R. Unterberger, “The Plastic People of the Universe,” http://www.richieunterberger.com/ppu.html

[31] Unterberger, “The Plastic People of the Universe.”

[32] Unterberger, “The Plastic People of the Universe.”

[33] Unterberger, “The Plastic People of the Universe.”

[34] D. Bilefsky, “Czech’s Velvet Revolution Paved by Plastic People,” New York Times, November 15, 2009, http://www.nytimes.com/2009/11/16/world/europe/16iht-czech.html

[35] Bilefsky, “Czech’s Velvet Revolution Paved by Plastic People.”

[36] J. Velinger, “The Impact of the Plastic People on a Communist Universe,” Radio Praha, May 31, 2005, http://www.radio.cz/en/section/one-on-one/paul-wilson-the-impact-of-the-plastic-people-on-a-communist-universe

[37] G. Soros, Underwriting Democracy: Encouraging Free Enterprise & Democratic Reform Among the Soviets & in Eastern Europe (Jackson, Tenn.: Public Affairs, 2004), pp. 26–27.

[38] “Havel at Columbia,” http://havel.columbia.edu/about.html

[39] http://havel.columbia.edu/hostcommittee.html

[40] Drug Policy Alliance, http://www.drugpolicy.org/about-us/leadership/board-directors Dreifuss is a Swiss Social Democrat.

[41] Club of Madrid, Members, http://www.clubmadrid.org/en/estructura/members_1/letra:h

[42] http://www.clubmadrid.org/en/about

[43] “Partners & collaborators,” http://www.clubmadrid.org/en/partners_collaborators

[44] Freedom Now, Honorary co-Chairs, http://www.clubmadrid.org/en/partners_collaborators

[45] Rachelle Horowitz, “Tom Kahn and the Fight for Democracy: A Political Portrait and Personal Recollection,” Dissent Magazine, pp. 238–39. http://www.dissentmagazine.org/democratiya/article_pdfs/d11Horowitz.pdf

[46] Horowitz, “Tom Kahn and the Fight for Democracy,” p. 211.

[47] Max Shachtman, “Stalinism on the Decline: Tito versus Stalin, The Beginning of the End of the Russian Empire,” New International, vol. 14, no.6, August 1948, 172–78.

[48] AFCR, “Officers,” http://www.afocr.org/afocr-officers.html

[49] AFCR “Advisers,” http://www.afocr.org/afocr-advisors.html

[50] http://www.afocr.org/afocr-wall-of-honor.html

[51] http://www.ned.org/about/board/meet-our-president/archived-remarks-and-presentations/061704

[52] C. Gershman, “Giving Solidarity to the World,” symposium on Solidarity and the Future of Democratization, Georgetown University, Washington, D.C., May 19, 2009, http://www.ned.org/about/board/meet-our-president/archived-remarks-and-presentations/051909

[53] Gershman, “Giving Solidarity to the World.”

[54] F. P. Yockey, “What is behind the Hanging of Eleven Jews in Prague?”

[55] K. R. Bolton, “The Moscow Trials in Historical Context.” The canard that Stalin’s birth-name Dzhugashvili means “son of a Jew” in Georgian seems to be as etymologically sound as the British Israelite/Identity claim that Saxon means “Isaac’s Sons,” or the claim that Judah P. Benjamin was a “Rothschild relative.” A. Vaksberg, Stalin Against the Jews (New York: Alfred A. Knopf, 1994).

[56] F. P. Yockey, “What is behind the Hanging of Eleven Jews in Prague?”

[57] King Faisal of Saudi Arabia was a proponent of this theory, for example.

[58] P. Lendvai, Anti-Semitism in Eastern Europe (London: Macdonald & Co., 1971), p. 10.

[59] Lendvai, Anti-Semitism in Eastern Europe, pp. 260–61.

[60] Lendvai, Anti-Semitism in Eastern Europe, pp. 260–69.

[61] Lendvai, Anti-Semitism in Eastern Europe, pp. 290–91.

[62] Lendvai, Anti-Semitism in Eastern Europe, p. 294.

[63] Lendvai, Anti-Semitism in Eastern Europe, p. 296.

[64] Y. Ivanov, Caution, Zionism: Essays on the Ideology, Organization, and Practice of Zionism (Moscow: Progress Publishers, 1970), chapter 5, http://home.alphalink.com.au/~radnat/zionism/index.html

[65] Ivanov, Caution, Zionism, chapter 5.

[66] Ivanov, Caution, Zionism, chapter 5.

[67] Ivanov, Caution, Zionism, chapter 5.

[68] K. R. Bolton, “Mikhail Gorbachev: Globalist Superstar.”

[69] “EJC mourns death of Havel,” Jewish World, ynetnews.com, December 19, 2011, http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-4163744,00.html

[70] N. Mozgovaya, “Israel President: Vaclav Havels’ death loss for entire world,” Haaretz.com, December 18, 2011, http://www.haaretz.com/news/international/israel-president-vaclav-havel-s-death-a-loss-for-the-entire-world-1.402157

[71] J. Kirchick, “Havel was friend of Israel and Jews: Czech Playwright-Turned-President Led Region to Right Path, The Jewish Daily Forward, December 20, 2011, http://www.forward.com/articles/148247/

[72] FDD Team, Leadership Council, http://www.defenddemocracy.org/about-fdd/team-overview/category/leadership-council

[73] FDD Team, Board of Advisers, http://www.defenddemocracy.org/about-fdd/team-overview/category/board-of-advisors

[74] http://www.defenddemocracy.org/about-fdd/team-overview/dr-jeane-j-kirkpatrick/

[75] Former consultant to the National Security Department, Defense Dept., and State Dept., media pundit.

[76] M. Ledeen, “Havel, Kafka and Us,” FDD, December 21, 2011, http://www.defenddemocracy.org/media-hit/havel-kafka-and-us/


Article printed from Counter-Currents Publishing: http://www.counter-currents.com

URL to article: http://www.counter-currents.com/2011/12/vaclav-havel-the-inner-enemy/